Il coccodrillo di Cattelan nel Battistero non deve stupire: draghi, serpenti e basilischi erano rettili comuni nel Medioevo e simboleggiavano il maligno
Coccodrilli, draghi, serpenti, basilischi. Il bestiario medioevale è particolarmente ricco di questi rettili, a testimoniare in notevole interesse naturalistico dei secoli di mezzo e dall’altro il persistere di una simbologia cristiana ben precisa, che identificava nel rettile il maligno, che opera nel mondo ma che è incatenato e nulla può di fronte a Maria che intercede per i fedeli. Ma ci sono anche i santi che sconfiggono i draghi: quello ucciso da San Giorgio assume anche il significato di vittoria contro il paganesimo, tant’è vero che nelle Sacre Scritture il drago simboleggia i nemici di Israele nel Vecchio Testamento e Satana o un suo strumento nel Nuovo Testamento, come nel caso del rettile ucciso da San Michele, e quando è calpestato da santi si riferisca all’idolatria. Non deve dunque stupire il fatto che, coerentemente con questa tradizione, Maurizio Cattelan abbia appeso il suo coccodrillo “Ego” alla volta del Battistero. Nell’immaginario e nei luoghi della pianura padana, sono rimaste vive le tracce dell’antico abitante del lago Gerundo, Tarànto, Tarantasio o Tarando, il leggendario drago acquatico che ne avrebbe infestato le acque sino al suo prosciugamento. Proprio da questa mitologica creatura prenderebbero il nome Taranta, frazione di Cassano d’Adda, così come le numerose vie della Biscia site nei paesi che all’epoca si ritrovavano lungo le coste del lago. Ma una testimonianza ancor più tangibile la si aveva a Calvenzano (BG), dove gli abitanti del luogo avevano eretto un muro alto tre metri e lungo 15 chilometri per difendersi dagli attacchi del mostro. E nel 1110 il monaco Sabbio parla di torri dotate di anelli per l’ormeggio delle barche, le cui rovine sono sopravvissute sino ai nostri giorni. Alla base della leggenda del Tarantasio è probabile che ci siano i numerosi reperti conservati tuttora o in passato nelle chiese del Bergamasco, del Cremonese e del Lodigiano. Si tratta di ossa di eccezionali dimensioni custodite come reliquie e attribuite proprio al temibile abitante del lago Gerundo. Dal soffitto dell’abside della chiesa di Almenno S. Salvatore pende una gigantesca costola animale della lunghezza di 260 cm, che secondo la tradizione sarebbe appartenuta ad una creatura catturata nei pressi del fiume Brembo. A soli 3 km di distanza, un altro reperto simile, della lunghezza di 180 cm é conservato all’interno del Santuario della Natività della Beata Vergine di Sombreno. Si narra che provenisse da un drago del Gerundo, ucciso da un giovane eroe. La costola attirò l’attenzione del naturalista Enrico Caffi, al quale è dedicato il Museo di Storia naturale di Bergamo, che la identificò come appartenente ad un mammuth. Infine nella parrocchia di Pizzighettone, presso la sacrestia della chiesa di S. Bassiano, è custodita una costola lunga 170 cm. La presenza di questi curiosi oggetti non deve però stupire, dato che spesso ossa di animali esotici, come ad esempio capodogli o elefanti, erano portate in dono da pellegrini giunti da terre lontane. Inoltre, non dobbiamo rimanere perplessi nemmeno di fronte alle cronache dell’epoca, secondo cui le ossa sarebbero state rinvenute in loco, dato che nell’area del Gerundo non sono infrequenti i ritrovamenti di ossa fossili appartenute a mammuth o altri animali preistorici. Dietro la nascita di molte leggende sui draghi ci sarebbero i resti di dinosauri o di altri giganteschi esseri del passato.
Nel 1995, ad esempio, il Corriere della Sera ha riportato la notizia di un’enorme vertebra di un animale preistorico ritrovata nei fondali del fiume Adda nei pressi di Pizzighettone, alta 75 centimetri, con una base di 39 e la sede circolare di un diametro di 16 cm.
Per quanto ne sappiamo però, tutte le costole che rientrano all’interno di una documentazione storica più o meno attendibile, sono posteriori alla bonifica delle zone ed al prosciugamento del Gerundo: questi reperti avrebbero così contribuito ad alimentare la leggenda di Tarantasio e dei suoi simili, ma non è altrettanto certo che siano anche state la causa della loro origine, per risalire alla quale si rende forse necessario affrontare una particolare caratteristica dei draghi: il loro alito pestilenziale.
Nel Medioevo non era infrequente attribuire morti improvvise od inspiegabili alla minacciosa presenza di misteriosi rettili ed il caso del basilisco è un esempio lampante di questo. Molto spesso questa mitologica creatura, che secondo la tradizione nasce da un uovo di gallo covato da un rospo, prendeva dimora di pozzi le cui acque avvelenavano tutti coloro i quali ne attingessero.
Secondo una leggenda nel IV secolo San Siro liberò la città di Genova da un basilisco che si era insidiato in un pozzo, mentre a Vienna sarebbe esistita una lapide che recava iscrizioni secondo le quali nell’anno 1202 un pozzo infestato da un basilisco fu sotterrato dopo che numerose persone erano morte per essersi ivi abbeverate.
Secondo il criptozoologo Maurizio Mosca (autore, tra gli altri, del volume “Mostri dei laghi”, edito da Mursia) inoltre, le leggende sul drago potrebbe essere state suscitate dalla presenza nel Gerundo di storioni di eccezionali dimensioni, in grado per la loro conformazione anatomica di essere scambiati per grossi biscioni, o di coccodrilli importati da terre esotiche. A tale proposito esiste l’affascinante reperto custodito nella chiesa di Ponte Nossa in provincia di Bergamo: un coccodrillo impagliato lungo tre metri, di cui parla un documento conservato presso la Curia di Bergamo, risalente al 1594. La tradizione orale narrava che un nossese, invocando la Vergine di Campolungo, avesse ucciso il coccodrillo, partito dal Nilo, a Rimini. Tuttavia altre versioni narrano di un grosso rettile che infestava le acque del fiume Serio catturato da alcuni abitanti e portato nella chiesa come ringraziamento alla Madonna. Ma mentre sappiamo che questi rettili vivevano in alcuni fiumi della Sicilia sino al 1600 dopo che furono importati dagli arabi, individui di una popolazione presumibilmente esigua difficilmente avrebbero potuto sopravvivere a lungo nel Nord Italia. Tuttavia un analogo esemplare è conservato presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Mantova, catturato, secondo la tradizione, nelle acque del Mincio, altri sono conservati nella chiesa di Santa Marta a Como e presso il Sacro Monte di Varese. Altri santuari ‘conservano’ analoghi rettili, appesi al soffitto, come quello di Curtatone (MN), Montallegro (Rapallo, GE), San Michele Extra a Verona (dove venne tolto per ‘restauro’ e poi collocato in diversa sede), nella Farmacia del Monastero di Camaldoli a Poppi (AR), nel santuario di Nostra Signora delle Vergini a Macerata, o nella chiesa di San Giorgio a Ragusa Ibla, in Sicilia.
Anche l’elemento più caratteristico dell’iconografia araldica dei Visconti, antichi signori di Milano, é senza dubbio il sinuoso “serpentone” ritratto nell’atto di ingoiare uno sventurato essere umano, ma le leggende circa la sua reale origine sono talmente diversificate e numerose che risalire ad una sicura genesi storica é impresa praticamente impossibile. Tra le varie storie riguardanti la morte del Tarantasio, una accredita infatti l’uccisione del biscione a Uberto Visconti, giunto in soccorso di un fanciullo. Tuttavia tale ipotesi riguardo la leggendaria origine del simbolo di Milano sarebbe poco plausibile, dato che l’adozione dello stemma del drago da parte del capoluogo lombardo sarebbe antecedente la nascita di Uberto.
A contendersi il merito dell’uccisione del Tarantasio con il Visconti è nientemeno che San Cristoforo in persona, che secondo una leggenda locale sarebbe stato invocato dal vescovo di Lodi Bernardo Tolentino e avrebbe fatto prosciugare il lago Gerundo provocando così la morte del suo “fastidioso inquilino”. Di qui il voto di far restaurare la chiesa di San Cristoforo a Lodi, effettivamente ristrutturata nel 1300.
Nel suo “De Magnalibus Mediolani” Bonvesin de la Riva riporta: “Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso: e questo vessillo si porta innanzi ad ogni altro: e il nostro esercito non si accampa mai se prima non vede sventolare da un’antenna l’insegna della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saracini da un Ottone visconti valorosissimo uomo”.
Il cronista Galvano Fiamma, riferendosi sempre allo stesso episodio, lo ha tramandato ai posteri con maggiore dovizia di particolari, spiegando che durante l’assedio di Gerusalemme Ottone sconfisse in un duello il terribile nobile saraceno Voluce, che per sottolineare la sua presunta invincibilità, era solito combattere sotto il simbolo di un serpente che ingoiava un uomo.
Un’altra versione vuole invece che dopo la morte di San Dionigi un drago giunse nei dintorni di Milano trovando dimora in una grotta situata oltre le mura della città. Dopo diversi infruttuosi tentativi di uccisione da parte di disparati cavalieri, giunse a Milano Uberto Visconti che affrontò e sconfisse il mostro prima che quest’ultimo potesse ingoiare del tutto un fanciullo che aveva già cominciato a ghermire tra le sue fauci.
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commenti
Marco Vinicio Bissolotti
29 maggio 2023 14:10
Il coccodrillo di Cattelan non stupisce proprio per nulla, è una immagine che rimanda ad una simbologia a noi fin troppo conosciuta.Questo artista considerato e celebrato dalla critica come un geniale e noto provocatore è condannato per suo ufficio a stupire.In questo specifico caso probabilmente ha fallito,ritrovandosi, consapevolmente o inconsapevolmente, a percorrere un già poco sentito e logoro sentiero della devozione popolare.
Martelli
29 maggio 2023 16:51
Ottimo pezzo!
Monica
30 maggio 2023 07:37
Tanto x iniziare …Buona informazione generale …. Così si è liberi di … apprezzare o meno ….le .. cosiddette opere d arte …