5 marzo 2025

Il dramma della trincea nella prima guerra mondiale rivive nelle lettere dal fronte di Giuseppe Denti. "Siamo qui come le foglie" scriveva alla moglie dal Carso: chissà se lì incontrò Ungaretti...

“Quando fra molti anni si ripenserà a queste cose, sembreranno incredibili. Eppure tale è la civiltà in pieno secolo ventesimo. Quanti babbi muoiono! Quanti figli rimangono orfani!” Scriveva così il 21 dicembre 1916 Giuseppe Denti dal fronte dell’Isonzo, sotto i bombardamenti nemici. È passato oltre un secolo ma la lezione non l’abbiamo mica imparata, nonostante in questi 110 anni il mondo ne ha vissuto un altro di conflitto mondiale, uscendone a pezzi. 

Ma oggi non voglio parlare di guerra in termini filosofici o retorici, bensì voglio entrare direttamente nella vita degli uomini in trincea sul fronte, nella loro solitudine segnata da freddo, pioggia o sole cocente, con il sibilo delle pallottole nelle orecchie e il rombo dei cannoni, eterno ‘memento mori’ a far da mesta compagnia nelle lunghe notti. Perché la guerra è quella roba lì, fatta di uomini nel fango, di corpi dilaniati dalle granate e di famiglie nell’angoscia di ricevere notizie. 

In trincea ci portano direttamente le lettere di Denti, che ogni giorno scrive a casa, per raccontare loro la sua vita lontano da casa, da quella Cingia de’ Botti dove aveva famiglia, lavoro e passioni; dove la sua vita quotidiana però si stravolge però agli inizi di aprile del 1915, quando viene richiamato alle armi col grado di tenente: dovrà andarsene da casa ed essere arruolato, anche se quella condizione non fa per niente parte del suo modo di vivere, dei suoi ideali e dei suoi valori. 

Ed è proprio in trincea, dove si vive “in una specie di canile dove si entra caproni e dentro si sta ammucchiati”, dove i topi sono una presenza costante giorno e notte “quanti e come sono domestici! Di notte me li sento passeggiare addosso”, è appunto proprio in una trincea sul fronte del Carso che Giovanni Denti scriverà alla moglie la frase che poi verrà usata per titolare la raccolta di lettere: “Siamo sempre come le foglie esposte a tutte le folate di vento” e ancora “lo dico sempre che siamo qui come le foglie”: parole che non possono non richiamare alla mente la lirica ‘Soldati’ di Giuseppe Ungaretti che, un anno dopo questa lettera di Denti, scriveva “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. 

Ebbene, Denti scriveva nel gennaio 1917 quelle parole alla moglie dal fronte di Cormons, lo stesso dove, in quelle stesse settimane, si trovava proprio Ungaretti: e allora mi piace immaginare che in una fredda notte, tra i boati lontani dei cannoni, Ungaretti e Denti si siano trovati in trincea e, forse fumando una sigaretta, abbiano scambiato qualche parola sul senso di precarietà della loro vita da soldati, quelle foglie esposte alle folate di vento improvvise. Due uomini e due soldati accomunati da una particolare sensibilità e da una certa cultura, lontani da casa e spaventati da una guerra terribile e logorante. 

Per questo Denti porta avanti la sua fitta corrispondenza con la famiglia, decine di lettere scritte giorno dopo giorno, che andranno poi a comporre un’antologia vera e propria dal fronte, dove il tono dell’uomo non è mai drammatico oltre misura, forse perché da graduato poteva godere di più agi o forse per non far preoccupare troppo la famiglia, ma probabilmente anche per evitare che la censura bloccasse le sue lettere. Ma, seppur tra le righe, si legge la difficoltà di accettare di essere stati mandati lontano da casa, in “quei luoghi maledetti e pur tanto belli, incantevoli, selvaggi” o ancora, come scrive la Vigilia di Natale del 1915 da Padova “Sono ancora fortunato, in confronto di tanti! Domani, per esempio, partono 15 ufficiali dei granatieri, proprio il giorno di Natale! Almeno questa bella ricorrenza toccasse il cuore di chi potrebbe far cessare la guerra. È già il secondo Natale di sangue questo: non è dunque anche troppo?”

Poi, man a mano che la guerra si fa sempre più feroce, con l’inverno gelido, la difficoltà a spiegare la vita al fronte “Ah, la trincea! Chi non l’ha vissuta o vista, non può comprendere cosa sia” e ancora “di giorno la guerra si sente più che non si veda; è un frastuono immenso, incessante, in cui si resta come travolti, ma di notte, oh la notte com’è tremenda! Bagliori di granate che arrivano, cannonate che partono, razzi luminosi, riflettori e il tutto accompagnato dai più strani e diversi miagolii, boati vicini e lontani e grida e lamenti […] e intanto si sta rannicchiati nella trincea, chè il mettere fuori la testa vorrebbe dire andare all’altro mondo”. Un racconto drammaticamente lucido e angoscioso, che trasmette l’idea della vita appesa a un filo, sempre sul filo della lama, sempre in pericolo. Sempre come quelle ‘foglie’ in balìa del vento che bene descrivono la precarietà e la drammaticità della vita al fronte.

“Ho fatto anche seppellire una decina di cadaveri; si è potuto farlo col favore della fitta nebbia. […] Sono poveri morti nell’azione del 1° ottobre, già tutti sfatti. Non credo che la sepoltura si debba a incuria, […] ma sono tra la nostra trincea e la nemica, posizione pericolosissima, di notte come di giorno” racconta alla moglie Denti, testimoniando come anche una pietosa sepoltura diventi quasi un lusso per chi muore in trincea.

Giuseppe Denti nacquee a Pugnolo (frazione di Cella Dati) il 3 ottobre del 1882, in una casa con una grande meridiana sulla facciata; da sempre la musica accompagnò la sua vita fin da bambino, dove da autodidatta imparò a suonare l’organo della chiesa parrocchiale. Nel 1901 si trasferì a Cingia dè Botti, dove iniziò a vivere la sua vita tranquilla di maestro elementare con la moglie Carmela, pure lei maestra, e le due figliolette Rina e Linda; ma Denti fu pure insegnante di musica, organista, compositore e artista del pennello. Un uomo di una estrema sensibilità artistica e culturale; dopo l’esperienza del fronte e la reclusione a Celle Lager (durante la quale continuerà a scrivere a casa, inviando decine di disegni e ritratti, trovando nella musica un grande conforto e istituendo una vera e propria orchestra), Denti tornò a casa sano e salvo per vivrere i suoi giorni nella ritrovata normalità della famiglia fino al 1977.

Immagini tratte dal libro "Giuseppe Denti, Siamo qui come le foglie. Lettere, immagini e note dal fronte e dalla prigionia 1915-1918"

Michela Garatti


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