Il Po in secca in inverno. Ma non è una novità. Già succedeva a Cremona quando non si parlava di cambiamenti climatici
Il Po ridotto quasi ad un rigagnolo durante l'inverno e l'allarme sulla siccità che ha interessato la pianura padana al punto da far temere una vera e propria catastrofe idrica. Siamo in presenza di un cambiamento climatico senza ritorno? Niente affatto. Nella fattispecie la situazione che stiamo attraversando, almeno per quanto riguarda le nostre campagne ed il grande fiume, non ha nulla di eccezionale. Già più di cinquant'anni fa aveva previsto un suo aggravarsi Giancarlo Grasselli in un opuscolo che oggi risulta profetico (Giancarlo Grasselli, Crisi idrica e conflitti d'interesse, 1966): “Stante l'aridità estiva del clima mediterraneo– scriveva Grasselli nel 1966 – Il Po e i suoi affluenti di sinistra, se non fruissero dell'apporto dei ghiacciai, avrebbero un regime semitorrentizio analogo a quello dei corsi d'acqua appenninici, che rimangono quasi in secca per gran parte dell'estate. Si deve d'altra parte aggiungere che i ghiacciai delle Alpi sono in fase di riduzione da più di un secolo, e che la quantità delle acque provenienti dal loro parziale scioglimento durante la stagione calda non può non risentire di tale fatto. Così come, inoltre, non può non andare abbreviandosi la durata del periodo stagionale dello scioglimento per effetto del progressivo ritiro dei ghiacci verso il freddo più prolungato delle massime altezze e dei versanti in ombra. Evidentemente non è possibile prevedere per quanto tempo ancora tale processo di riduzione continuerà; né prevedere se subirà in futuro dei rallentamento oppure delle accelerazioni. Dovrebbe invece essere non solo possibile, ma anche abbastanza facile, calcolare approssimativamente entro quanto tempo, in caso di prolungata invarianza del fenomeno (prolungata invarianza che è però l'eventualità da prendere per prima in considerazione, stante l'ordine delle grandezze cronologiche usuali per questi processi), le portate di magra estiva del Po e dei suoi affluenti alpini diminuirebbero in misura tale da comprometterne sensibilmente l'utilizzazione economica. Potrebbe darsi che una valutazione di questo tipo portasse a conclusioni confortanti, nel senso di fornire serie prospettive e talmente lunga scadenza, da poter esser tranquillamente trascurate, sia ai fini delle utilizzazioni già in atto, e prevalentemente irrigue e idroelettriche, sia di quella per ora soltanto in progetto, e cioè della navigazione interna per via fluviale con battelli di grande tonnellaggio; quantunque, nei riguardi di quest'ultima, si debba peraltro far osservare che la grande rete dei canali navigabili dell'Europa centro-occidentale, sempre citata come esempio, fruisce di un clima estivo piovoso, ed è quindi alimentata con sovrabbondanza, anche nella stagione calda, da fiumi che non dipendono esclusivamente dai ghiacciai delle Alpi e che, inoltre, non sono sottoposti a emungimenti competitivi per esigenze di irrigazione agraria, come sono invece i corsi d'acqua della pianura padana. Potrebbe darsi, però, che dalla misurazione della velocità di riduzione dei ghiacciai alpini condotta ai detti fini (e in un'operazione del genere sarebbe particolarmente importante vedere se, oltre l'arretramento delle fronti inferiori delle formazioni, esista pure perdita di spessore delle coltri ghiacciate nelle parti medio-alte, e cioè pure nelle parti esposte alle temperature più rigide) sortissero indicazioni poco confortanti anche per un futuro non molto lontano. E ciò fanno del resto temere le notizie di sorprendenti punte di magra verificatesi negli ultimi tempi: punte di magra occorse, si badi bene, nonostante la regolazione artificiale del livello delle acque dei grandi laghi subalpini, e da valutare, inoltre, depurate del mascheramento dovuto all'innalzamento del letto del fiume per effetto del sovrabbondante contenuto in alveo delle arginature durante le piene (le quali piene salgono perciò, quantunque non solo per ciò, ma anche per effetto diretto del progressivo innalzamento e rafforzamento delle arginature, al livelli sempre più alti rispetto alla circostante pianura”. Così scriveva Grasselli quando ancora non si parlava di cambiamenti climatici conseguenti ai gas serra.
Ma è dal Cinquecento che gli storici cremonesi annotano scrupolosamente gli andamenti climatici, con particolare attenzione ai fenomeni meteorologici, come freddo e siccità, grandi piogge e copiose nevicate, che hanno sempre stimolato la fantasia delle popolazioni e vengono spesso descritte iperbolicamente accompagnate da invasioni di locuste, eclissi, apparizioni di comete, epidemie ed eventi calamitosi che uccidono uomini e animali.
Uno degli storici più attenti alle bizzarrie del tempo è sicuramente Ludovico Cavitelli (Annales, Cremona 1588), che intreccia le vicende della città a quelle del clima, annoverando anno per anno i principali eventi a cui fa seguire una postilla sulla specificità meteorologica di quell'anno. Sappiamo così che nel 1303 ci fu una grande siccità: “Fuit magna siccitas aeris, ut terra nil boni produxerut praeter vinum in multa copia”. Nel 1500 “Viguit gravis aestus, er subsequutum fuit grave frigus, et fuerunt vehementes venti”, ancora nel 1536 non piovve da febbraio ad ottobre, ed una grande siccità è ricordata anche nel 1540, con un'estate particolarmente calda attribuita alla comparsa di una cometa, apparsa in cielo il 7 aprile, e ad una eclissi: “Et aestate valde torrida, et sicca vini, ed filiginis fuit urbertas, se feni, et olerum penuria causata, ut creditur, ob cometem, et solis eclipsim, quade fuit die septima aprilis per horas duas, et viguerunt multis in locis incendia, et ibi incendiarij quamplures extremo supplicio affecti fuerunt”.
“Nondimeno – commenta Angelo Grandi – al dir del Campi si raccolsero grani ed uve in abbondanza, ed il raccolto si fece assai più per tempo del solito, poiché si tagliarono le biade molto mature e a mezzo il mese di maggio, e si vendemmiò sul principiar d'agosto”. Anche il 1563 fu un anno di grande siccità con piogge assenti da febbraio ad ottobre e pozzi prosciugati. Nel 1639 a Casalmaggiore, a causa della grande siccità, l'acqua veniva venduta al pari di tutti gli altri generi di consumo: “Nella state del 1639 – racconta il Grandi – fu così straordinaria la siccità, che si asciugarono tutti i pozzi e tutte le sorgenti, in modo che per abbeverare gli uomini e le bestie bisognava ricorrere ai fiumi, notabilmente anch'essi smagriti. Grande incomodo fu per quelle popolazioni he avevano i fiumi assai distanti dalle loro abitazioni. Si trasportava l'acqua nelle botti, e si vendeva come gli altri generi di commercio. La somma magrezza del Po produsse al comune di Casalmaggiore due considerabili pregiudizij: il primo, che non potendo macinare i mulini 'galleggianti', ricorrevasi all'estero per la macinazione, e conciò rimase defraudato il dazio della macina di un reddito rilevante tanto necessario in quelle disastrose circostanze; il secondo che rimanendo impedita la navigazione del fiume,, non si poterono imbarcare i vini,che per l'eccessivo calore si guastarono e in gran parte”. E nell'estate del 1683 il Po si poteva comodamente guadare. Anche l'estate del 1769 fu avara di precipitazioni anche se sul mantovano, invece, precisamente a Governolo, un tremendo uragano distrusse parecchie case e causò la morte di "ben 30 e più persone". Tre mesi infernali furono quelli dell'estate 1774, quando "è stato tale il caldo che non potevasi se non alle 23 sortire di casa". Anche il 1851 e 1879 furono caratterizzati da una grande siccità estiva.
Così Angelo Grandi nell'Ottocento descrive episodi di grande siccità (Angelo Grandi, Descrizione dello stato fisico..., Cremona 1856) Ad esempio nel 1562: “Riferisce il Gionta che quest'anno fu travagliato da una siccità estrema; e lo storico Locato aggiugne che fu questa causata da una totale privazione d'acqua pluviale dal febbrajo sino all'ottobre, e che la maggior parte de' pozzi e delle fonti rimasero secche: la qual siccità fu causa d'un estrema carestia di frumento e d'ogni sorta di legumi”. Nel 1576 la siccità si fece particolarmente nella zona di Casalmaggiore, già pesantemente colpita dalla peste: “Quasichè la contemporanea mortalità degli uomini e de' bovini non fosse stato un sufficiente flagello per opprimere la casalasca popolazione, un altro non men grave infortunio dovette questa soffrire dalla straordinaria lunghissima siccità, ch'ebbe luogo in autunno,per cui i terreni divenuti oltremodo inariditi e tenaci, mal poterono essere rotti e coltivati per le semine, massime per la deficienza dei coloni e de' bestiami. Fu per conseguenza la seminagione così malamente seguita, che il raccolto del successivo anno non fu sufficiente all'alimentazione degli abitanti”. Ancora nel 1722 vi fu “una siccità cotanto straordinaria, che i contadini per poter seminare erano obbligati di spaccar colle mazze le impietrite glebe. Cionullostante il raccolto dell'anno successivo fu molto abbondante. Il fiume Po per la sua continua siccità era ridotto a sì estrema magrezza. Che potè un uomo valicarlo a cavallo”. Questo non impedì che solo quattro anni dopo vi fosse una straordinaria inondazione. Anche l'incendio del Santuario di Castelleone, il 9 agosto 1853 a causa di un fulmine, racconta sempre il Grandi, faceva seguito ad un lungo periodo di siccità: “Erano alcuni mesi che ardentissima siccità affliggeva le campagne, e solo sugli ultimi giorni qualche lieve ed avara pioggia era caduta, la quale anziché ristorarle, vie più le rendeva arsiccie, quando nella predetta fatale giornata si fè torbido il cielo d'agglomerate nubi, e dal lato di maestro si facea ognor più procelloso, orrido all'aspetto e minacciante rovina”.
Per quanto riguarda il secolo scorso Achille Leani, che al panorama climatico cremonese ha dedicato alcuni interessanti studi, cita «una "Relazione statistica sull'attività economica della Provincia di Cremona" che precisa: "L'anno solare 1933 non fu.... tanto sfavorevole alle coltivazioni se si eccettuano alcuni elementi particolari, quale la grandine ed il vento che duramente colpirono alcune località" e quindi, rispetto al 1932, "può essere considerato leggermente migliore" (perciò anche il 1932 non fu un anno del tutto tranquillo!). Poi la relazione puntualizza: "L'inizio dell'anno 1933 fu caratterizzata da un primo periodo di freddo intenso... Le abbondanti nevicate della fine gennaio..... preoccupavano gli agricoltori a causa delle cosiddette gelate". In febbraio le "condizioni climatiche.... si manifestarono assai miti, con discrete piogge", che durarono anche i marzo e fin verso la fine di aprile, con "un abbassamento di temperatura". C'è una violenta grandinata nella parte orientale della provincia nella prima quindicina di maggio, mentre nella seconda decade di giugno inizia "una serie di piogge abbondanti e quasi quotidiane", che trovarono spazio anche nella "prima decade di luglio". Poi il tempo si fa "costantemente bello", con "forti temperature" e con la "conseguente siccità". In settembre, piogge non eccessive; ma in ottobre le cose cambiano: "ebbe inizio un periodo di piogge dapprima intermittenti....facendosi di mano in mano più frequenti, oltre il consueto....", che "continuarono abbondanti" in novembre sino a "precludere l'effettuazione di parti delle semine del frumento autunnale". Poi, la rituale e abbondante nevicata "verso la metà di dicembre". Insomma, nulla di nuovo, anche dal punto di vista delle temperature massime: nel 1952 si toccarono a Cremona i 39,8°, un record forse mai più raggiunto, preceduto però dai 37,8° del 1950.
Quando si parla di siccità il pensiero va ovviamente subito al periodo estivo, la stagione senza o con poche piogge per eccellenza. E in generale è così. Ma vi sono anche casi di siccità più estremi che hanno colpito la pianura padana e non solo quindi nei mesi estivi. Anzi, le siccità del periodo autunnale o invernale sono anche più gravi perché sono periodi in cui terreni e falde acquifere dovrebbero essere "riforniti" proprio per affrontare la normale mancanza di piogge e il caldo estivi. Specialmente la neve è importante che si accumuli in quantità sulle montagne, allo scopo poi di rilasciare l'acqua più lentamente durante la fase di scioglimento. Limitandoci solo agli ultimi decenni ricordiamo, tra gli episodi più gravi di siccità, l'estate del 1959 con assenza ininterrotta di pioggia per più di 100 giorni in Sardegna, alta Pianura Padana, bacino del fiume Adige, Piemonte e Liguria.Il primo semestre del 1976 specie in Piemonte, Lombardia, Alpi centrali. Ad esempio a Milano e Como solo 200 millimetri in sei mesi, il valore più basso degli ultimi 200 anni. Il Po il 20 luglio toccò la portata minima di 335 metri cubi al secondo (il minimo storico era di 275). Tra il 1980 e il 1981 vi furono 106 giorni a secco, dal 26 novembre al 13 marzo, in Lombardia, con non più di 20 millimetri di pioggia. Un inverno molto siccitoso per tutto il Nord-Ovest in generale (ma non per il resto d'Italia). Una siccità davvero intensa interessò il periodo tra settembre e marzo del 1988-989, peraltro durante quello che dovrebbe essere il periodo più piovoso dell'anno. Durata ed estensione come non avveniva da 250 anni. Praticamente totale assenza di neve con solo 2 o 3 deboli nevicate. Oltretutto il clima mite e i cieli sereni sciolsero quel poco che c'era, eccetto i ghiacciai perenni a quote oltre i 2500 metri. Come se non bastasse la siccità si ripeté ancora in questo periodo dell'anno successivo. Da settembre a gennaio si ebbe appena il 30-50% delle piogge che si hanno normalmente sull'intera Penisola. Dunque ulteriore aggravio del deficit idrico che si protraeva dall'anno precedente, con tanto di razionamento dell'acqua potabile in molte città.
Tra il 1994 e il 1995 un'alluvione mise in ginocchio il Piemonte all'inizio di novembre, ma poi scarse o assenti furono le precipitazioni sulla Pianura Padana fino alla fine di febbraio, con l'eccezione poco dopo metà gennaio di una debole perturbazione atlantica che anche grazie alle basse temperature fece nevicare a Milano e Torino, ma furono pochi centimetri. E solo dopo oltre cento giorni senza alcuna precipitazione.
Nel 2000 ancora una volta la siccità colpì soprattutto il Nord e durò per i primi 70 giorni dell'anno. Su tutto l'arco alpino la neve non fece la sua comparsa con danni anche al turismo.Parliamo pure di cambiamenti climatici, dunque, ma che “non ci sono più le mezze stagioni” lo diceva anche Leopardi nello Zibaldone: “Egli è pur vero che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di Pasqua di resurrezione, ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno dì impegnar la camiciola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch’ei portava nel cuor dell’inverno"...
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commenti
Enrico
6 febbraio 2022 13:33
Articolo ben fatto, ricco di documentazione storica. Bellissima la citazione finale da Leopardi. Le siccità hanno sempre caratterizzato la storia dell'uomo. Ciò non toglie che in Era Industriale le attività umane impattino in modo negativo con l'ambiente. Nell'ipotesi che attualmente avessimo potuto godere, rispetto al passato, di un momento favorevole pende comunque sulle nostre teste (come una Spada di Damocle) il sospetto che la presente siccità sia causata da cambiamenti climatici indotti dall'uomo (nessuno ormai li nega più) . Però rispetto al passato oggi abbiamo i satelliti e possiamo osservare meglio la realtà nella sua dimensione globale. Inoltre, per quanto riguarda la siccità, abbiamo, fortunatamente, bacini idrici e canali tutti collegati ed amministrati da specifici consorzi delle acque. Un enorme vantaggio rispetto al passato; infatti non mi risulta che al momento l'acqua sia razionata o ci siano divieti d'innaffiare il giardino o lavare l'auto.