Il Vescovo ai funerali di don Cavedo: «Gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca»
Una città riunita. Una comunità – quella diocesana – raccolta nella chiesa di S. Agata, a Cremona, nel cordoglio per la memoria di don Romeo Cavedo, deceduto lo scorso 27 settembre. Le esequie sono state presiedute, nella mattina di venerdì 29 settembre, dal vescovo Antonio Napolioni, alla presenza di numerosi sacerdoti. Tra i concelebranti don Massimo Calvi, vicario generale della Diocesi di Cremona, don Gianpaolo Maccagni, vicario episcopale per il clero e il coordinamento pastorale, e don Irvano Maglia, parroco dell’unità pastorale “Cittanova”.
«È lui!». Nell’omelia il vescovo Antonio Napolioni ha voluto riprendere ciò che spesso si diceva, riferendosi a don Cavedo. «Ma non la ripetiamo come fosse uno scrollare le spalle per non prenderlo sul serio, come fosse un etichetta che ne fa un personaggio – ha subito precesiato –. Lo diciamo oggi con infinito rispetto e gratitudine, riconoscendone l’unicità e l’originalità».
Don Cavedo come Barzillai, vicino al re Davide pur senza essere cortigiano, con grandi capacità, sapendo riconosce i propri limiti e non volendo pesare sul re. «Don Romeo, che a volte ha pesato, ma ha sempre saputo chiedere scusa – ha evidenziato il vescovo –. Ha sempre desiderato un rapporto di comunione: schietto, faticoso, ma autentico». Il brano del secondo libro di Samuele si conclude dicendo: “Allora il re baciò le mani a Barzillai e lo benedisse. Quegli tornò a casa”. «È quello che noi stiamo facendo oggi con don Romeo».
Per questo il vescovo ha voluto “vestire” la figura di don Romeo Cavedo di quell’abito fatto di storie e di personaggi biblici che tanto gli si addicono: «È lui che come Natanaele pone sempre le sue domande dirette, anche a Dio. Non credo si lasci semplicemente esaminare da san Pietro, ammesso che ci sia l’esame di san Pietro alle porte del Paradiso. Penso che anche lui ponga le sue domande». «È lui sotto l’albero di fichi, un’immagine che rappresenta coloro che vogliono gustare la sapienza delle Sacre Scritture, senza mai dar nulla per scontato o superficialmente acquisito, e introducendo tanti alla stessa passione». «È lui, con la sua vicenda di credente inquieto e trasparente, di maestro autorevole e provocante, di presbitero cremonese che ha lasciato una traccia speciale anche lontano da qui».
Alla vigilia della sua ordinazione, avvenuta nel 1961, don Romeo Cavedo scrisse così al vescovo Bolognini: “Voglia il Signore attuare efficacemente la mia volontà di essere un buon sacerdote e di dare alla Diocesi tutto quanto potrò”. «E direi che lo ha fatto. Strenuamente», ha commentato Napolioni. E, citando il messaggio scelto dal compianto sacerdote nel ricordo della sua Prima Messa (“Affinché il mondo creda che il Salvatore è venuto”), il vescovo ha voluto sottolineare: «Sul come si può discutere all’infinito, ma non sul cosa: don Romeo è stato fedele testimone del Salvatore».
«Non si accontentava che la Chiesa fosse un popolino di pecore, ma desiderava che fosse un popolo di cristiani adulti», ha concluso il vescovo. «Ora anche il suo genere letterario qui è finito, salvo le narrazioni che gli sopravviveranno nel tempo. Ma inizia la pienezza della realtà e della vita. E gli auguriamo il compimento della sua inesausta capacità di ricerca, non di una risposta che gli tappi la bocca, ma in uno stupore senza fine».
Al termine delle esequie la salma è stata trasferita verso il Cimitero di Cremona, dove è stata tumulata all’interno della Cappella dei Canonici.
(www.diocesidicremona.it)
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