14 dicembre 2023

In trent'anni scomparse o a rischio in città 88 specie di uccelli. Insetticidi, potature selvagge, coltivazioni, interventi edilizi le cause. I dati allarmanti dall'ultimo studio di Riccardo Groppali

Nel giro di trent’anni, tra il 1990 ed il 2021 sono scomparse, o sono in via di esserlo, ben 88 specie di uccelli svernanti o nidificanti in città, a fronte di 30 mai segnalati prima o comunque in aumento. Sono le amare conclusioni cui giunge lo studio di Riccardo Groppali “Avifauna della città di Cremona tra 1990 e 2021, quattro studi ornitologici a cadenza decennale in un ambiente urbano”, con 156 schede illustrate da disegni del grande ornitologo Sergio Frugis, di Anna Mosconi e dell’autore, presentato oggi pomeriggio nella sede della Fondazione Città di Cremona dal presidente Uliana Garoli e Anna Mosconi per il Museo di Storia Naturale di Cremona. Si tratta d’una delle poche indagini a livello mondiale con una durata così lunga del periodo d’indagine, caratterizzata inoltre dall’esatta perimetrazione urbana, che esclude le aree esterne che hanno caratteristiche ambientali completamente differenti. Quattro i periodi di osservazione: 1990-1993, 2001-2004, 2010-2013 a cui si è aggiunto uno sguardo d'insieme tra 1990 e 2020.  I 1.430 ettari d’area urbana sono stati divisi in unità di rilevamento ampie 0,25 kmq, e ciascuna delle oltre 2.600 segnalazioni raccolte da Groppali è stata riferita al suo sito di censimento e alle tipologie urbane del punto di rilevamento, una peculiarità che, insieme all'estensione temporale,  rende lo studio un unicum tra quelli effettuati finora. Il motivo per cui alcune specie proliferano nell'ambiente urbano è dovuto a un ambiente più ospitale rispetto ad una campagna quasi del tutto priva di siepi e fasce boscate tra un campo e l'altro, elementi fondamentali per garantire luoghi dove nidificare, cibarsi e sostare.

E poi hanno contribuito un miglior microclima invernale e l'assenza di persecuzione antropica, compensata però da una maggiore aggressività dei gatti: ben 52 le colonie rilevate da Groppali, per 4000 esemplari che, insieme ai cani lasciati liberi nei parchi, stanno facendo strage degli esemplari più giovani e dei nidi a terra.

I motivi di questa contrazione dell’avifauna urbana sono diversi. Innanzitutto la riduzione delle risorse alimentari, le uniche specie d’uccelli favorite dall’antropizzazione del territorio e dalla vita negli ambienti urbani sono infatti quelle che approfittano dell’abbondante e diffusa disponibilità di rifiuti commestibili, dello spargimento di quantità eccessive di liquami nei campi intorno alla città, dell’alimentazione diretta da parte d’alcuni cittadini o del cibo destinato alle colonie di gatti randagi, quando i destinatari sono assenti. A questo proposito bisogna considerare soprattutto l’impiego d’insetticidi, che colpiscono non solo le specie-bersaglio ma anche la totalità degli altri insetti. Un’altra causa di riduzione dell’entomofauna urbana è costituita dall’illuminazione stradale, che attira e provoca la morte di numerosi insetti notturni, e danneggia quindi indirettamente gli uccelli che li utilizzano come prede. Per questo, insieme ad altre concause, numerose specie d’uccelli che erano comuni in passato sono diminuite anche drasticamente negli ultimi anni, e la loro presenza ridotta ha determinato anche una minor disponibilità di prede per i rapaci specializzati nella loro cattura.

Esiste poi il problema della gestione della vegetazione urbana. Per quanto riguarda il patrimonio arboreo urbano, in parte d’età avanzata e compromesso da malattie e spesso da potature inadeguate eseguite nel passato, l’applicazione di metodi scientifici d’indagine a tutte le alberature della città ha determinato un aumento degli esemplari individuati come pericolosi, che sono stati eliminati per garantire l’incolumità dei cittadini. Perciò negli ultimi anni gli abbattimenti si sono attestati su una media di circa 200-250 all’anno. Sono invece diminuite le potature, che vengono effettuate ogni 5-8 anni, ma trattandosi d’interventi eseguiti d’inverno la loro incidenza sull’avifauna si limita soprattutto al disturbo temporaneo durante le operazioni e non distrugge nidi attivi.

La crescente intolleranza nei confronti dell’avifauna urbana ha determinato l’eliminazione diretta d’alcune colonie di balestrucci e di nidi di rondini, per evitare la sporcatura dei muri e delle strutture sottostanti, mentre una maggior cura manutentiva o la ristrutturazione di costruzioni antiche ha cancellato numerose possibilità di nidificazione per rondoni, piccioni, taccole, passeri e storni in città. Sulle facciate di varie chiese il restauro ha determinato la chiusura completa delle buche pontaie, in molti edifici che erano stati abbandonati gli abbaini e le soffitte sono stati ristrutturati e resi inaccessibili per l’avifauna, e un diffuso impiego delle punte contro i piccioni ha reso inagibili numerosi posatoi sugli edifici. Inoltre nel rifacimento dei tetti, spesso necessario per la vetustà di numerosi edifici del centro storico e la recente modificazione del regime delle piogge, hanno un impiego sempre più diffuso le griglie dette anti-passero: si tratta di lunghi pettini di plastica che vengono collocati sotto i nuovi sottofondi ondulati dei tetti (sui quali vengono poi appoggiati i coppi), che impediscono l’accesso a qualsiasi uccello, anche di ridotte dimensioni. Alcuni edifici vengono inoltre protetti contro l’avifauna da differenti tipologie di difese, che vanno da campi elettromagnetici a sostanze adesive, che - se pur in minor misura - contribuiscono alla riduzione di molte delle specie abbondanti fino a un recente passato in città come Cremona. 

Altra concausa è il disturbo arrecato dalla presenza di persone che nelle aree verdi sostano, corrono o transitano in bicicletta, e soprattutto che vi lasciano i loro cani liberi: se infatti numerose specie ornitiche possono abituarsi abbastanza rapidamente alla vicinanza delle persone che non costituiscono una reale minaccia e non escono dai percorsi a loro destinati, ciò non avviene per i cani che esplorano liberamente l’ambiente. Tali intrusioni non sono tollerate in particolare nel periodo riproduttivo delle specie che nidificano sul terreno. 

Inoltre non bisogna sottovalutare l’incidenza dei gatti domestici e delle colonie dei randagi, soprattutto di quelle situate in spazi verdi o ambienti periferici, dove la loro azione predatoria può essere estremamente dannosa. Oltre ai numerosi gatti da compagnia, che ogni tanto escono di casa e vanno in cerca di prede, in Cremona sono attualmente censiti circa 4.000 randagi in ben 52 colonie, dislocate in svariati punti della città con ripari per la notte e fornitura di cibo. A Cremona l’imminente spostamento del Rifugio dei gatti in un’area periferica recintata dovrebbe però ridurre la predazione d’uccelli in città. Per avere un’idea dell’impatto di questi predatori, nel 2003 sono stati studiati quasi 1.000 gatti inglesi, che hanno catturato 14.370 animali, per il 24% uccelli appartenenti ad almeno 44 specie differenti. Le vittime più frequenti sono i granivori, che s’alimentano spesso a terra e sono perciò più facili da catturare: si tratta soprattutto dei passeri, del Verdone e del Verzellino, che anche per questo motivo sono in marcata diminuzione negli ambienti urbani.

Infine, ma non da ultimo, un enorme problema le cui ricadute sull’avifauna urbana sono molto pesanti è la costante, fortissima, progressiva banalizzazione della maggior parte del territorio che circonda la città. Infatti gli unici interventi significativi che hanno modificato tale tendenza sono quelli di riqualificazione ambientale e naturalistica della vasta area a sud di Cremona (Parco del Po e Isola Soragna), che però comunque anche in precedenza era in discrete condizioni di conservazione. Oltre alla crescente diffusione della maiscoltura senza rotazione, la campagna intorno a Cremona - come quella di tutta la Pianura Padana interna, soprattutto dove i digestori sono più numerosi - ha perduto e continua a perdere la sua dotazione di vegetazione legnosa al margine dei campi. Siepi e filari che sono gli elementi portanti alla base della biodiversità nei coltivi, per l’avifauna come per tutti gli altri animali che fino a non molti anni fa erano comuni e ora sono rari, se non scomparsi, da territori planiziali sempre più ampi. 

Tra le specie un tempo presenti e oggi  scomparse, si annoverano l'averla, il corvo, la beccaccia. Le rondini sono minacciate da svariati fattori tra cui la riduzione di prati  (Groppali è l'ispiratore dei recenti "prati selvatici" lasciati crescere in varie zone di Cremona), la diversa struttura delle stalle, l'uso eccessivo di insetticidi; sempre meno anche i cardellini, in crisi profonda il passero d'Italia. E non sono mancate critiche alla gestione del verde in città, come a proposito del recente drastico taglio avvenuto nell'ex polveriera di Via Milano: "Capisco i motivi legati alla sicurezza", ha commentato lo studioso, "ma ci si poteva limitare ai pioppi più vicini all'ingresso, mentre ritengo eccessivo aver aperto viali e vialetti per il passeggio". Inoltre, "le potature drastiche eseguite per tanti anni in città hanno contribuito ad indebolire le piante". Tra le presenze stabili, oltre all'onnipresente piccione di città, ormai difficile da contenere se non agendo sui fabbricati che lo ospitano, ci sono il picchio rosso maggiore, la ghiandaia, l'airone cinerino e persino il gabbiano reale che iniziato a nidificare in centro città. In crescita anche l'ibis sacro, il guardabuoi, l'occhione osservato nell'ex raffineria, il Cavaliere d'Italia.

Amara la conclusione di Groppali: la scomparsa di 88 specie in trent'anni, a cui si potrebbe porre rimedio ad esempio riducendo fortemente insetticidi e diserbanti e rinaturalizzando gli ambienti,  potrebbe prefigurare una città in cui il suono dei clacson prevarrà sempre più su quello dell'avifauna: "E' questo il futuro che vogliamo?", la domanda finale.

La foto è di Mauro Tironi

 


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