L'8 dicembre di 150 anni fa l'ingresso in diocesi di Geremia Bonomelli. Il vescovo degli anni difficili, tra Chiesa, Stato liberale e lotte operaie
L’8 dicembre del 1871, centocinquanta anni fa, faceva il suo ingresso a Cremona Geremia Bonomelli, nominato il 5 ottobre 1871, uno dei vescovi più importanti per la nostra diocesi e figura di riferimento culturale e politico negli anni che vanno dall’unificazione d’Italia ai primi del Novecento. Un episcopato non facile il suo, vista la situazione che trovò in diocesi al suo arrivo, come racconta in una lettera scritta al cardinale Caterini: “Ho ricevuto la diocesi in una condizione che non voglio descrivere. Un seminario con 32 chierici con una diocesi di 360 mila abitanti. Venendo trovai 35 preti apostati dieci o dodici in città”. Il fenomeno più evidente di questi anni è sicuramente l’apostasia, dovuta a svariati motivi, ma soprattutto alla crisi di coscienza attraversata dal clero “liberale” in seguito all’acuirsi della questione romana e all’eredità lasciata dagli ultimi epigoni del giansenismo tardo-settecentesco, coltivato soprattutto negli ambienti vicini al vicario capitolare Luigi Tosi da sacerdoti come Luigi Lodigiani e Gian Battista Vertua. Alle loro idee furono sensibili sia Antonio Parazzi, che Carlo Tessaroli, che pure, scrivendo al primo, diceva: “Si attribuiscono a noi e alla logica della nostra dottrina le diserzioni dei preti dal Ministero sacerdotale che noi deploriamo e che colle dottrine e il fatto nostro condanniamo”.
Al momento del suo ingresso in diocesi Geremia Bonomelli rileverà che il 5% del clero cremonese, cioè trentacinque sacerdoti, aveva gettato la tonaca alle ortiche e ne attribuirà la responsabilità al suo predecessore Tosi e alla debolezza del vescovo Novasconi. Tra i casi più noti si ricordano quelli di Diomede Bergamaschi, diventato in seguito direttore del periodico della prima Associazione Anticlericale; Pietro Fecit arrivato a negare l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio; Stefano Bissolati, padre di Leonida, diventato ateo e ferocemente anticlericale; Costantino Soldi, già parroco di Picenengo che abbandona l’incarico poco prima dell’ingresso di Bonomelli dopo altri quindici, tra parroci coadiutori e cappellani che già l’avevano preceduto nell’ambito della stessa parrocchia. Oltre a questi anche molti insegnanti in Seminario, come Giovanni Bertolani, professore di pastorale e liturgia; Giovanni Bertolini, professore di filosofia; Giulio Chiappa, professore di matematica e fisica; Luigi Tagliati, professore di umanità e retorica. D’altronde era stato proprio nel Seminario vescovile di Cremona che avevano esercitato la loro missione educativa nell’ultimo decennio del Settecento due tra i più insigni portavoce del giansenismo lombardo, come Alessandro Maria Pagani, rettore e professore di dogmatica, pastorale e liturgia, e Lorenzo Aliprandi, prefetto degli studi e docente di storia ecclesiastica. E lo stesso Bonomelli, qualche anno dopo il suo ingresso in diocesi, non poteva fare altro che ricordare come il seminario allora contasse solo 32 seminaristi, scesi in seguito a 14, ma tornati, dopo il suo indefesso lavoro, a 250 in pochi anni, grazie anche alla realizzazione di un nuovo seminario nel 1887.
L'ambiente cremonese, negli anni dopo il 1870, era caratterizzato da vivaci fermenti anticlericali e massonici, che rendevano particolarmente difficile l'attività pastorale del nuovo vescovo. Egli era giunto a Cremona animato da spirito di intransigenza nei confronti del liberalismo, ma ben presto, si convinse della necessità di stringere buoni rapporti con la classe dirigente liberale e con le autorità civili della sua diocesi. Qualche anno dopo, infatti, nel 1877, fu al centro di una vivacissima polemica contro il foglio cattolico intransigente cremonese Il Corriere della Campagna, che aveva ingaggiato un'aspra battaglia con gli ambienti anticlericali della città, e in particolare con il Circolo anticlericale e con il settimanale Papà Buon Senso. Bonomelli era profondamente convinto che fosse necessario procedere ad una intesa fra lo Stato liberale e la S. Sede e nel 1882, sollecitato dal papa Leone XIII, si dichiarò favorevole a una partecipazione cattolica alle elezioni politiche, sostenendo che non credeva "conveniente insistere sul divieto”.
Il passo più importante e clamoroso di Bonomelli in favore di una conciliazione tra Stato e Chiesa in Italia fu la pubblicazione, sulla Rassegna Nazionale del 1º marzo 1889, di un articolo, poi apparso come opuscolo, dal titolo Roma e l'Italia e la realtà delle cose. Pensieri di un prelato italiano, in cui, tra le altre cose, suggeriva che al papa doveva essere concesso "un tratto di territorio abbastanza vasto, dove a suo agio si possa muovere, dove sia libero di sé, padrone e Re"; e proponeva la riva destra di Roma con una striscia fino al mare e con una zona di qualche chilometro, dietro il Vaticano, dove dar vita a una nuova città. L’opuscolo fu messo all’indice cosicché Bonomelli, al termine della funzione di Pasqua del 1889, dovette ammettere di esserne l’autore leggendo poi un atto di sottomissione al papa.
Bonomelli dovette anche affrontare alcuni scottanti problemi, quali la questione operaia e il socialismo, che, sotto la guida di Turati, Bissolati e Ferri, stava acquistando sempre maggior influenza tra il proletariato urbano e rurale della Lombardia. Sua preoccupazione costante fu quella di sottrarre le classi lavoratrici alla propaganda socialista; da qui i suoi ripetuti inviti ai proprietari ad avvicinarsi agli operai e ai contadini, ad aiutarli, a soccorrerli, istradarli verso una democrazia "quieta, rispettosa, cristiana". In questa direzione non mancano parole chiare e decise contro le esosità dei padroni e contro lo sfruttamento dei contadini. Dopo i moti del 1898 nel 1901 favorì la nascita del Circolo interparrocchiale S. Omobono, che incrementò la formazione di società di mutuo soccorso (35 nel 1905), banche (2 nel 1905), casse rurali, ecc.
Nel 1907 il vescovo aderì alla richiesta di Guido Miglioli di festeggiare anche in campo cattolico la festa del 1º maggio. Fin dal maggio 1900 Bonomelli aveva fondato a Cremona l'Opera di Assistenza agli emigrati italiani, inizialmente osteggiata dal Vaticano, fino a quando nel 1909 Pio X la riconobbe e benedì. Questa, che prese poi il nome del suo fondatore, si assunse il compito di assistere spiritualmente e materialmente gli emigrati. Svolse attività particolarmente intensa presso gli operai dei trafori del Sempione (1903), del Loetschberg (1907) e di Vallarbe, Montiers e Olten (1910), nei bacini siderurgici e minerari dell'Alsazia e della Lorena, in Svizzera, in Francia, in Austria e nei posti di frontiera. Fino alla sua morte, avvenuta il 3 agosto 1914 a Nigoline, Bonomelli fu il sostenitore, spesso incompreso, di nuovi amichevoli rapporti tra la Chiesa e la società civile, da attuarsi sul piano del diritto comune al di fuori di vincoli concordatari. La salma, sepolta nel cimitero di Cremona, fu traslata nella cattedrale il 5 ottobre 1920.
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