25 dicembre 2024

L'omelia del Vescovo Napolioni: "Natale ci impegna ci chiama a vita nuova, a riattivare la dinamo del rinnovamento e rinascita"

Nel presepe allestito in Cattedrale, alle spalle di Gesù, Maria e Giuseppe, ci sono due vecchie ante di una porta. Sono appena socchiuse, come a svelare un qualcosa – o qualcuno – che entra nel nostro mondo. Una luce nuova che, se accolta, è in grado di cambiare la realtà. Ed è in questo dettaglio più che simbolico di quella scenografia che si ritrova la ricchezza di questo Natale 2024 nella Diocesi di Cremona, legato a doppio filo con l’inizio del Giubileo 2025 avvenuto con l’apertura della Porta Santa a Roma nella serata del 24 dicembre.

«Questo Natale, questa celebrazione che attualizza sempre quel momento della storia, facciamo memoria perché Dio possa essere con noi nel cammino nelle nostre esistenze, a maggior ragione quest’anno in cui si apre l’anno giubilare» ha sottolineato monsignor Antonio Napolioni nelle solenni celebrazioni eucaristiche da lui presiedute della Notte e del Giorno di Natale, concelebrate dal vescovo emerito Dante Lanfranconi, dal Capitolo della Cattedrale e dai diaconi. Entrambe le liturgie, molto partecipate dai fedeli, sono state animate dal coro della cattedrale insieme ad una piccola ensemble di archi e tromba, che ha regalato canti natalizi come Adeste Fidelis e Astro del Ciel.

«“Gesù, sole di grazia, ci chiama a vita nuova”: è un versetto delle Lodi mattutine di questi ultimi giorni di Avvento prima del Natale» ha ricordato il vescovo durante l’omelia della Santa Messa a mezzanotte dopo la proclamazione del Vangelo di Luca. «Questo sole ci dà luce per liberarci dalla confusione e da motori di ricerca pieni di dubbi ci trasforma in cercatori di verità e senso; ci dà calore per riabbracciare un cuore vivo che palpita nella nostra corporeità; ci dà energia di cui abbiamo bisogno e che è nascosta dentro le creature più impensate come i bambini o le persone con disabilità o alcuni anziani».

La speranza cristiana è quella, dunque, in grado di cambiare da dentro la quotidianità di chi crede e di essere concreta attraverso le scelte di ciascuno. «Dio ci chiama da dentro ma anche da fuori: dai volti dei parenti, del luogo di lavoro, delle generazioni dei poveri della storia, delle inquietudini del nostro tempo. Ci chiama a non restare a guardare, a fare la nostra parte e a rialzarci in piedi e a usare una vita nuova, non una nuova vita». Un rinnovamento del cuore con la presenza e compagnia di Cristo, «che ci accompagna nel nostro percorso di vita». Ognuno è pellegrino di speranza, come il tema del Giubileo 2025. «Cristo è venuto a spalancarci le porte del suo Regno per dirci che la nostra vita non è a scadenza: tutti i nostri istanti hanno un valore eterno specie se li viviamo con lui. “Gesù, sole di grazia, ci chiama a vita nuova” era la grande notizia che avevamo bisogno di riascoltare tutti – ha sottolineato monsignor Napolioni – che possiamo continuare a scrivere giorno per giorno come programma di vita, come esperienza autenticamente umana, come rinnovamento di Chiesa e testimonianza da dare a tutti».

Proprio l’attualità è stata il centro dell’omelia della Messa del Giorno, con il vescovo che durante la riflessione ha condiviso con i presenti un passaggio personale. «Qualche giorno fa don Alberto, celebrando la messa con i ragazzi della cremonese, ricorda di aver visitato una famiglia e di aver visto il presepio fatto dai figli con due Bambinelli. Uno dei bambini ha spiegato che uno era per lui e l’altro per suo fratello. Purtroppo al telegiornale vediamo fagotti bianchi a forma di caramella: bambini morti ammazzati nei bombardamenti delle guerre avvolti nelle lenzuola. “Deum infantum panis involuto tum”, il Dio bambino avvolto in fasce, si canta nell’Adeste Fidelis. Come vorrei risolvere questa angustia, questo mio tormento, mettendo in braccio a Gesù nel nostro presepe questi fagotti di morte che invocano giustizia, pace e salvezza; che chiedono un amore più grande dell’amore dei propri genitori. Perché possa consolarli, ridare fiducia nella vita ad un mondo che rischia di avere più fiducia nella morte e nella guerra» ha aggiunto il vescovo. Ecco perché, sostiene monsignor Napolioni, c’è bisogno di questo Giubileo; c’è bisogno di pace e speranza a partire da sé stessi, e non solo per gli altri. «La porta spalancata ieri dal Papa renderà questo tempo un Natale prolungato. In anno in cui possano nascere ragioni, progetti e gesti di speranza per gli altri, ma anche per ognuno di noi con sano egoismo». E allora, ha aggiunto il vescovo nella conclusione della sua riflessione, il primo gesto da compiere è accogliere quel bambino in noi e fargli spazio. 

«La nostra carne – del bambino, del giovane, dell’adulto, della politica e dell’economia e delle grandi scelte – è talmente fatta a immagine di Dio che solo in Lui respira, trova senso, riprende forza e inventa le vie della giustizia e della pace; altrimenti queste corporeità imputridiscono e si ammalano». E questa responsabilità di essere speranza tocca innanzitutto ai credenti. «E allora Natale ci impegna ci chiama a vita nuova a riattivare la dinamo del rinnovamento e rinascita. E non sarà solo Giubileo: sarà un nuovo inizio. A cominciare da noi, insieme». (www.diocesidicremona.it)


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