La bandiera bianca, segno di resa, è nata a Cremona. Fu sventolata la prima volta dai Vitelliani assediati in città dalle truppe flaviane di Marco Antonio Primo nel 69. Ma non evitò il massacro
La tragica morte dei tre ostaggi uccisi per sbaglio dai soldati israeliani nella striscia di Gaza, nonostante stessero sventolando una bandiera bianca, simbolo universale di resa od estraneità ad un conflitto, riporta alla memoria un’altra tragica circostanza accaduta secoli fa, quando per la prima volta pezzi di stoffa bianca vennero sventolati per chiedere una tregua o l’inizio di trattative di resa. E, come racconta Tacito nelle Historiae, fu sotto le mura di Cremona. In precedenza invece i soldati romani erano soliti arrendersi mettendo i propri scudi sopra la testa. Era il 25 ottobre del 69 e le truppe flaviane sostenitrici di Vespasiano guidate da Marco Antonio Primo stringevano d’assedio la città, dove si erano rifugiati i Vitelliani. La situazione era drammatica. I Vitelliani avevano posto un campo fortificato con fossati ed altre opere davanti alle mura di Cremona per difendersi dall’attacco dei flaviani. Il loro comandante aveva dato l’ordine di accerchiare il vallo. Si lanciarono saette e sassi, ma i difensori colpivano dall'alto, quindi le perdite erano maggiori presso i flaviani. Antonio assegnò a ciascuna legione una parte del vallo, affinché, così distribuiti, potessero distinguersi i migliori ed i peggiori soldati, e con l'emulazione, i militi seguissero i più valorosi. Alla legio III ed alla VII Galbiana fu affidato il lato orientale, all'VIII ed alla VII Claudia quello meridionale ed alla XIII quello settentrionale. I Flaviani assaltavano le mura in formazione a testudo con zappe, picconi, falci e scale. Dall'alto li bersagliavano con macigni e giavellotti, affinché il muro di scudi si sfaldasse, ed i soldati rimanessero scoperti, facili bersagli. I capi flaviani, vedendo i soldati esausti e sordi alle esortazioni, indicarono loro le ricchezze di Cremona, e con la prospettiva di un ricco saccheggio li rianimarono al punto che riuscirono a scalzare il terrapieno e si accanirono sui difensori del campo issandosi gli uni sulle spalle degli altri o salendo sulla testuggine formata di nuovo. Aperta una breccia nel vallo i Flaviani entrarono e fecero grande strage. Ora però dovevano conquistare le alte mura della città, con torri di pietra e porte rinforzate di ferro, al cui interno i soldati scagliavano dardi e potevano contare sull'appoggio della popolazione e dei molti mercanti che vi erano convenuti in occasione della fiera che cadeva proprio in quei giorni. La presenza di mercanti d'altra parte eccitava i flaviani avidi di bottino. Antonio ordina quindi di incendiare i più lussuosi edifici fuori porta, per provare la fedeltà del popolo, e riempie le case vicine alle mura e sovrastanti le stesse per altezza con molti soldati, per scompigliare i difensori lanciando quanto avessero a portata di mano. Inoltre manda all'attacco i legionari in formazione a testuggine.
All’interno di Cremona i comandanti vitelliani, temevano che, distrutta la città, non ci sarebbe stata più pietà per loro. I soldati semplici invece, protetti dall'anonimato, non imploravano la pace, ma sbandavano per la città, attendendo di vedere che piega avrebbero preso gli eventi. Gli ufficiali quindi fanno sparire le immagini di Vitellio ed il suo nome dalle insegne e liberano Aulo Cecina Alieno, ancora in catene per avere tentato di passare al nemico, pregandolo di intercedere con gli assalitori in loro favore. Egli rifiuta sprezzante davanti ai pianti di quelli che lo avevano incatenato. Ed è allora, in questo preciso momento, che i Vitelliani fanno pendere dalle mura rami d'ulivo e bende bianche per chiedere la resa.
Antonio dà l'ordine di cessare l'attacco, e dalla città vengono portate fuori le insegne, mentre dietro segue vergognosa la schiera di disarmati, occhi a terra, che viene subito coperta da insulti e da minacce dai soldati flaviani. Quando poi questi vedono che gli sconfitti sopportano in silenzio queste umiliazioni, si placano, pensando al fatto che quegli stessi sconfitti erano stati vincitori clementi nella prima battaglia di Bedriaco dell’anno precedente. Gli animi si riaccendono però quando esce Cecina, in pompa magna nelle vesti di console, e gli rinfacciano anche il suo tradimento, disprezzando questo gesto sebbene a loro favore. Antonio lo manda allora sotto scorta a Vespasiano. Intanto il popolo di Cremona, circondato dagli armati, rischiava il massacro, ma i capi frenarono con preghiere i soldati. Antonio convoca l'assemblea e pronuncia un discorso nel quale non parla né pro né contro Cremona, ma i soldati, spinti da rancore e da bramosia di bottino, si accaniscono a volerne il saccheggio e l'eccidio degli abitanti. I motivi del rancore erano che si credeva che i cremonesi avessero appoggiato i Vitelliani anche contro Otone; avevano schernito con la petulanza tipica della plebaglia la legio XIII inviata lì a costruire un anfiteatro; Cecina vi aveva dato uno spettacolo di gladiatori; era stata usata come base bellica, aiutando i Vitelliani con vettovaglie e con le armi, tanto che alcune loro donne si erano frammischiate ai soldati nella battaglia ed erano state uccise. Antonio, per lavarsi del sangue, si reca velocemente alle terme, dove, alle sue rimostranze per la freddezza dell'acqua, gli vien risposto da uno schiavo che le avrebbe subito scaldate. Questa risposta fece ricadere su Antonio la responsabilità per l'incendio di Cremona, sebbene i soldati, privi di comandanti energici, senza attendere ordine, lo avessero già iniziato.
“Quarantamila armati fecero irruzione in Cremona, - racconta Tacito nelle Historiae, III, 33 - con un numero di servi e portatori anche maggiore, gente assai portata alla crudeltà ed ai disordini. Nessuno era protetto dall'età o dal grado. Si consumarono stupri e uccisioni. Uomini e donne vecchissimi erano trascinati come oggetto di ludibrio...Se capitava tra le mani qualche giovane fanciulla di particolare bellezza veniva fatta a pezzi... Qualcuno che portava via denaro o doni votivi d'oro dai templi veniva ucciso da un altro più forte di lui... altri disseppelirono tesori, battendo con verghe e torturando i padroni... soldati provvisti di torce, dopo aver rubato la preda, le lanciavano per divertimento dentro le case...come suole accadere in un esercito dalle parlate e dalle usanze diverse, nel quale si frammischiavano cittadini, alleati e forestieri, anche le passioni erano varie, e chi si credeva lecita una cosa, chi un'altra: e nulla era illecito.”
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commenti
Anna
20 dicembre 2023 11:39
La guerra e' uno schifo