6 agosto 2025

La chiesa di Ca' de Bonavogli e i suoi misteri: non ci sono documenti storici, ma al suo interno si trova una speciale pala d'altare; fu lazzaretto ed ospedale militare. La devozione dei suoi fedeli

Una chiesetta di campagna, povera e costruita senza troppa perizia, di cui peraltro non si trovano notizie storiche, nemmeno negli archivi parrocchiali. Anche il ‘nostro’ Angelo Grandi non spende troppe parole per descriverla, limitandosi a dire cheConta un oratorio all'Annunciazione di M. V. , di patronato Gadi”.

Siamo a Ca’ de Bonavogli, piccola frazione di Derovere, il comune più piccolo della provincia, a due passi dalla strada consolare Via Postumia e in territorio di centuriazione romana, ricco di storia e di tracce storiche.

Non sorprenderà raccontare che pure Ca’ de Bonavogli, oggi un pugno di case con poche decine di abitanti, in passato fu Comune autonomo insieme a Ca’ de’ Cervi, Ca’ de Dermagni o Magni (oggi Ca’ de Dramagni), fino al 1868 quando con regio decreto numero 4375 del 29 aprile 1868, a firma di Vittorio Emanuele, venne soppresso per essere aggregato al Comune di ‘De Rovere’ insieme a Casalorzo Geroldi (altra frazione odierna di Derovere).

Ma torniamo alla nostra chiesa di cui non si trovano notizie storiche rilevanti. 

Sfogliando i polverosi documenti dell’archivio parrocchiale di Derovere, sono pochi i riferimenti a questo oratorio, di cui si trovano solo alcune sporadiche indicazioni a partire dalla metà del XVII secolo. 

Partiamo proprio da quelle poche parole di Grandi, che fa riferimento alla famiglia dei marchesi Gadi o Gadio (o Gazzo), una delle più antiche di Cremona; “fu un Bartolomeo Gazzo l'architetto che disegnò il tempio di S. Sigismondo (seconda metà sec. XV) in cui furono celebrati gli sponsali di Francesco Sforza con Bianca Maria Visconti. Ed un altro Gazzo, Jacopo di nome, vissuto nel secolo decimosesto lasciò una Cronaca, che, inedita, si conserva ora nella publica Biblioteca di Parma” e ancora “V. GADI GIOVANNI E PIETRO fratelli dal 1480 all'82 eseguirono N.o 4 Antifonari ed Epistolari, pregevoli per miniature e dorature”. La famiglia si estinse nel 1754. Già queste poche informazioni tracciano una fascia temporale in cui la chiesa potrebbe essere stata costruita, senza però essere troppo precisi. 

Passiamo allora all’archivio della parrocchia, che oggi è unificato a quella di Derovere. 

In particolare, in alcuni appunti scritti a mano su un vecchio foglio incartapecorito, si fa menzione di un certo don Venanzio Azzi quale cappellano di Bonavogli nel 1624, mentre poche pagine dopo nel 1634 viene indicato il nome di don Francesco Marini. Questi sono i primi riferimenti trovati in merito alla presenza di una chiesa o di un oratorio a Ca’ de Bonavogli. E allo stesso modo, nel registro dei battesimi, è più o meno da quel periodo che si riescono a trovare riferimenti a sacramenti impartiti in quella chiesa (o per lo meno, per quanto risulta possibile leggere dalle vecchie e fragili pagine, complice anche la calligrafia corsiva e poco leggibile e dall’inchiostro che va sbiadendo man mano che si arretra negli anni).

Se le origini dunque sembrano portarci a supporre che quel luogo si sia aperto al culto più o meno a cavallo della metà del 1600, anche gli anni a seguire sono piuttosto anonimi e oscuri dal punto di vista delle informazioni scritte. 

La pala d’altare e la sua attribuzione

Iniziamo ora a guardare l’interno della chiesa, spoglio e, come si legge nella relazione degli architetti che si occuparono del restauro del tetto alcuni anni fa: “caratterizzato da povertà costruttiva ed è evidente prodotto di mano d’opera scarsamente qualificata. [...] si notano numerose irregolarità d’esecuzione che vengono maggiormente sottolineate dalle cornici, lesene, capitelli e cornicioni [...] che per notevole imperizia, sono stati resi in modo assai grossolano. Tutte queste carenze ed ingenuità d’esecuzione denotano l’impiego di maestranze locali, abituate a ben altro tipo di costruzione”

Eppure dietro l’altare campeggia un’imponente pala di importanti dimensioni, con una tela che raffigura una pregevole annunciazione racchiusa in una cornice lignea riccamente decorata e sovrastata da uno stemma araldico, di cui ci occuperemo tra poche righe.

La tela in questione è stata attribuita dalla storica dell’arte Mina Gregori al pittore Francesco Franco, allievo del “Malosso”, datata 1595. Ora, la domanda che sorge spontanea è la seguente: è sensato ritenere che questa tela sia stata commissionata per questa chiesa, così povera e grezza? Potrebbe invece essere stata portata a Ca’ de Bonavogli successivamente? La seconda appare l’opzione più verosimile, anche perché lo stemma che sovrasta la pala d’altare non riporta i simboli araldici della famiglia Gadi. Da dove derivano dunque quella tela e quella pala d’altare e quando furono portate a Ca’ de Bonavogli e perché proprio in quella povera chiesa?

La lapide del cimitero di Ognissanti e il colera del 1855

Tornando di nuovo alla ricerca di informazioni storiche, ci viene in aiuto, oltre alle scarne  carte dell’archivio parrocchiale, una lapide del cimitero di Ognissanti, ad un paio di chilometri di curve sterrate da Ca’de Bonavogli: qui, sul pilastro che sorregge il cancello di ingresso, troviamo una pietra grigia ancora leggibile che celebra la memoria di don Giuseppe Soldi Salomoni, “maestro dei sordo muti in Cremona e pro-parroco di Ognissanti durante la pestilenza cholerica del 1855 nell’ospedale di Ca’ de Bonavogli sacerdote coraggioso”. 

A Cremona il morbo portò oltre 3500 vittime, con un tasso di mortalità tra i malati che sfiorò il 50%; ancora una volta però non troviamo informazioni che attestino la presenza a Ca’ de Bonavogli di edifici specificamente dedicati ai malati di colera del 1855. Stavolta ci vengono in aiuto le notizie tramandate oralmente che raccontano di come fu proprio la chiesa ad essere adibita a lazzaretto durante i mesi in cui la malattia imperversava. E non si limitò ad essere ospedale solo in quell’occasione perché anche durante la prima guerra mondiale quelle mura accolsero i soldati feriti, divenendo ospedale di guerra (come del resto avvenne spesso nei paesi più piccoli, dove chiese ed oratori nel periodo bellico assunsero quella funzione, come ad esempio a San Daniele Po).

Processioni, zingari e la corrispondenza con il sindaco

Divertendomi a cercare di interpretare i fogli manoscritti custoditi in archivio, scorrendo tra le sinuose pieghe del corsivo tracciato con maestria dal pennino intinto nell’inchiostro, ecco che emerge una lettera dell’allora sindaco Carantani, scritta ‘addì 9 agosto 1875’, in cui “il sottoscritto nella persuasione che non abbia ad insorgere inconveniente di sorta” concede l’autorizzazione al parroco di fare la processione, sulla strada pubblica, con la statua di San Fermo. 

Di tono ben diverso lo scambio epistolare diversi anni dopo tra il primo cittadino e gli abitanti di Ca’ de Bonavogli. Motivo della tensione, la presenza di zingari sulla piazzetta della chiesa. 

“I sottoscritti capifamiglia della frazione di Ca’ de Bonavogli chiedono che la piazzetta antistante l’oratorio venga a cura del parroco cintata con muretto onde evitare lo sconcio e la profanazione del luogo da parte di zingari e di usi profani”, richiesta a cui seguono  una cinquantina di firme dei ‘capifamiglia’, ad eccezione di due donne, firmatarie in quanto vedove. Don Mario Ghidoni passa la palla all’amministrazione comunale quindi, con una missiva in cui informa che “Una carovana di zingari si è fermata per 60 ore anche se dall’alto del muro spicca a chiare lettere ‘divieto di sosta’” chiedendo dunque al Sindaco per chiedere al Comune di erigere un muretto per proteggere la piazzetta.

La risposta del 10 ottobre da parte dell’amministrazione comunale sarà però un categorico ‘no’, mitigato però dalla promessa “verrà in merito esplicata la maggiore possibile sorveglianza”.

Chissà se gli zingari tornarono ancora a turbare i pensieri dei fedeli e del parroco, ma sta di fatto che nessun muretto venne eretto intorno a quella piazzetta defilata su cui si affaccia la modesta chiesa, annunciata da un piccolo protiro ed racchiusa tra una casa privata e una cascina fatiscente. Il suo interno è ben tenuto, nonostante siano evidenti i segni del tempo che si manifestano in crepe ed umidità sui soffitti. Al suo interno, oltre alla pregevole pala d’altare, si trovano anche una semplice statua della Madonna e una lignea di San Fermo, che ogni anno viene portata in processione il 9 agosto, dopo il rosario e la messa. Poi, nonostante l’isolamento della piccola frazione, il patrono viene festeggiato non solo con le celebrazioni religiose, ma anche con appuntamenti conviviali che riuniscono numerose persone affezionate a quel piccolo angolo di campagna che non vuole cedere all’abbandono e porta avanti con decisione ogni tradizione: dalla messa di Sant’Antonio, celebrata ongi anno nella stalla, all’allestimento del presepe su quella piazzetta che anni fa avrebbero voluto chiudere con un muro.



Michela Garatti


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