12 giugno 2021

La diversità, la “stortura” per affermare se stessi. PAF evento sold out per il libro di Piero Pelù, rocker istrionico e affabulatore

E' un “quasi romanzo”, quello che Piero Pelù, già fondatore e frontman dei Litfiba e oggi fortunato solista con l'anima sempre rock, ha concepito durante il lockdown. In quei giorni “o impazzivo o iniziavo a scrivere. Mi sono dovuto reinventare perché in quel momento il mio lavoro era finito”, ha detto nel corso del confronto con Marco Turati in cortile Federico II nell'ambito di una delle tante iniziative messe in campo per la sesta edizione del PAF (Porte Aperte Festival).

L'evento, andato sold out nel giro di pochi giorni, segna uno dei picchi di questa edizione del PAF. E d'altra parte l'esuberanza del personaggio rimane intatta, che Pelù calchi un palco con la sua band o presenti il suo libro, “Spacca l'infinito – Il romanzo di una vita” (Giunti Editore). 

Piero si presenta in cortile Federico II poco prima delle 18. Giubetto nero (che presto toglierà per il caldo), canotta nera, pantalone scuro gessato, stivaletti neri scamosciati e occhiali neri. Istrionico come sempre, firma autografi sulle copie del volume, si presta a qualche scatto con agenti della Polizia Locale e con i fan, riceve un disegno da una bambina, a fatica lascia i fan e guadagna il palco tra gli applausi dopo l'introduzione di Turati.

Comincia subito a gigioneggiare: “Parlo io o mi fate domande?”, punta il dito verso il pubblico, “tu con la maglietta di Lou Reed, ce l'hai il libro?”. A un certo punto si volta e riprende ad alta voce, con forte cadenza toscana, un gruppo che manda schiamazzi, probabilmente un matrimonio: “Basta là dietro! Che è sto casino? Qui si fa cultura!”. Animale da palco da quasi quarant'anni, Pelù non si smentisce e incanta il pubblico fermando Turati che nel mentre ha il suo da fare per introdurre il libro: “Adesso basta, stai spoilerando”, scherza.

Poi esce un poco dal personaggio e ricama attorno al suo “quasi romanzo”, suo primo vero libro dopo un paio di biografie uscite negli anni scorsi. Il filo conduttore è il dialogo tra un uomo e un bambino, quattordici racconti di altrettanti “pezzi di vita” di “P.”, vale a dire Pelù stesso narrato in terza persona. Nel volume c'è un po' tutta la sua vita, tutto il suo percorso all'insegna di quell'unico grande amore e filo conduttore che è la musica.

C'è il motore propulsore rappresentato dalla curiosità, che “è sempre stata uno dei grandi motori dell'uomo” e grazie alla quale “ho cercato di accerchiare l'omologazione imperante”. Racconta di un viaggio in America centrale in cui – anno domini 1991 – si prese la scabbia. Racconta soprattutto il disagio del sentirsi “diversi”. Quella sensazione, quel “sentirsi storti”, come la definisce lui stesso, che lo ha accompagnato sin da giovane e con la quale ha in qualche modo imparato a convivere: “Mi sono abituato a questa mia stortura, ho imparato a dialogarci”. Ha imparato, Pelù, che “non necessariamente si deve essere accettati dagli altri”, perché a volte “è bello confrontarsi anche con una coccinella, non necessariamente con altri esseri umani”. Quella “stortura” che ha plasmato il Piero Pelù che tutti conoscono “rimane, ma più passa il tempo più l'accetto con autoironia. Alla fine è diventata anche uno stimolo”. “Per me – ha detto aprendosi al pubblico – la diversità in famiglia è stata uno stimolo per andare avanti con la musica”.

Un po' come la maschera di Arlecchino, che tanto lo ha segnato da piccolo: “tutti quei colori e sul volto quella maschera nera, a segnare la dualità del personaggio”. Ma tutto serve, tutto si recupera, perché ciò che conta “è avere sempre lo sguardo al di là del muro che ci circonda”.

Non è un caso se, per la quarta di copertina l'editore ha scelto una frase in particolare tra le tante usate da Pelù per narrarsi, quella in cui al sé bambino confessa: “Se mi fossi dimenticato di te non sarei stato felice nemmeno un minuto”.

Nel dialogo tra Turati e il cantante non è mancato un passaggio sull'ambiente, tema sul quale Pelù si batte da anni e che contribuisce a rendere la cifra artistica del personaggio. Uno dei più impegnati, anche politicamente, del panorama musicale italiano. E questo, piaccia o meno la sua musica, piaccia o meno l'artista, è un merito che va riconosciuto, a maggior ragione in un contesto musicale – quello attuale – piatto e troppo spesso lontano dalle tematiche sociali, politiche, ambientali e unicamente incentrato sulla hit fine a sé stessa. Perché il rock, non va dimenticato, non è la hit del momento, il rock è impegno, ribellione, contestazione e sudore.

Federico Centenari


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