23 gennaio 2024

La nostra storia: 1951, la vita di paese (a Gussola), la sua gente e le campane a martello della grande alluvione

Il cielo piovigginoso di fine ottobre diffondeva al mattino una luce quasi boreale sotto l'androne delle scuole; in attesa che si aprisse il cancello interno per accedere alle aule vi riecheggiavano richiami concitati, perché era una occasione, non frequente, in cui si assisteva a tutta quella varietà di giochi che, pur senza grandi mezzi, i ragazzi praticavano. Il materiale più pregiato, accessibile solo a pochissimi, erano i rari cuscinetti, a sfere abbastanza grosse, rottamati da Razzini, il meccanico delle macchine agricole: da essi si estraevano le biglie di acciaio luccicante e dal valore eccezionale nel gioco delle palline.  Molto apprezzati erano anche i rocchetti in legno che avevano già avvolto il filo per le macchine domestiche da cucire, le Singer, così pure le camere d'aria non più riparabili, che il meccanico delle biciclette aveva scartato. Tagliandole con le forbici, dalle camere d'aria si ricavavano o anelli elastici di gomma oppure strisce diritte; queste servivano per costruire fionde utilizzando anche un ramo biforcuto a ipsilon; con gli anelli, calzandoli in tensione e con regolare distribuzione, uno sopra l'altro, attorno a un cartoccio di carta o di paglia, si ottenevano palle molto flessibili da far rimbalzare contro i muri. Un anello elastico di gomma serviva anche con i rocchetti: infilato attraverso il loro foro assiale, da un lato esso si agganciava a un chiodino e nell'occhiello che sporgeva dall'altro si infilava un'asticella oppure uno zolfanello, cioè un lungo fiammifero già usato per accendere il camino; quando si spingeva l'asticella facendola ruotare, l'elastico si avvolgeva su se stesso a spirali strette, strette, caricandosi come una molla e, se si posava a terra l'ordigno, l'elastico, che tendeva a svolgersi, valendosi dell'asticella come leva, faceva rotolare il rocchetto che avanzava tra l'ammirazione dei presenti, superando perfino piccoli ostacoli. 

I gatti non vivevano in casa, ma nei cortili e il loro compito principale non era quello di fare compagnia ai ragazzi, ma quello di dare la caccia ai topi domestici; i ragazzi però ci si affezionavano ed Egidio quell'inverno ebbe il dispiacere di non vedere più ritornare il suo gatto a chiazze bianche e nere; si chiamava Pirolampo, partito attraverso i tetti muscosi del fienile per una sua perlustrazione, era scomparso. In Primavera fu ben presto rimpiazzato da un gattino tutto nero al quale fu messo nome Saltaspini, perché, quando metteva una zampina sul bagnato, la ritirava di scatto come se l'avesse appoggiata sopra uno spino pungente. In quella stessa stagione però, quando il sole cominciava a brillare e, sotto il cielo finalmente azzurro, l'aria, come quando nevicava, si riempiva tutta di quei fiocchi bianchi e leggeri che trasportano i semi dei pioppi, alcuni ragazzi giocavano con arruffati pulcini di corvo. Questi talvolta cadevano implumi dal loro nido, solitamente intrecciato sulla cima degli alberi più alti del bosco, erano raccolti dai braccianti della Cartiera e, regalati a quei fortunati, diventavano i loro compagni di gioco anche in seguito, quando da adulti avevano raggiunto l'abilità del volo; in autunno, ai richiami degli stormi in migrazione che passavano neri in alto nel cielo, i giovani corvi mostravano dapprima grande agitazione, camminando, guardavano in su a collo torto con un occhio solo e poi davano qualche gracchiata di risposta spalancando le ali,  alla fine fuggivano e di loro non si sapeva più nulla. 

La stagione agricola era trascorsa in maniera favorevole e a Giugno perfino nel cortile di Libero, il Magro, adiacente a quello di Egidio, era arrivata  la grande macchina per trebbiare: un enorme cassone di legno tutto di colore arancione; giravano volani, pulegge, cinghioni, fremevano le aste dei crivelli per separare la pula,il rombo del trattore rimbalzava sui vecchi muri, gli uomini trasportavano grossi sacchi sulle spalle, il tutto era avvolto da una nuvola di polvere pruriginosa. Il Magro riusciva a stento a sopravvivere con il lavoro sul suo campicello fuori dal paese, vi si recava con il biroccio trainato da un'asina che prima della mietitura aveva partorito un puledro giudicato spettacolare dai ragazzi per i suoi primi trotti e per le contorsioni nella polvere  in cui si grattava la schiena.

Il paese era fuori da tutte le principali vie di comunicazione terrestri ed aeree e, quando in cielo passava un aeroplano, si trattava sempre di piccoli monomotori, per i ragazzi era un avvenimento affascinante e curioso, essi si spostavano correndo per osservarli e molti proclamavano che da grandi avrebbero fatto il “pilota”, cioè l’aviatore; quell'anno videro passare con grande frastuono anche aeroplani velocissimi di tipo nuovo e i più grandicelli vennero a sapere che si trattava di aerei “a reazione”, cioè senza elica. Egidio non  capiva come potessero volare senza elica e le informazioni che riusciva a raccogliere non erano mai né chiare né complete: l'elica non è fuori, ma all'interno della fusoliera; l'aereo viene spinto dall'aria infuocata che viene espulsa attraverso l'apertura posteriore, gli spiegava il padre; funziona come i razzi; insomma tutto appariva poco chiaro nonostante le nozioni  che raccoglieva con pazienza, leggendo i settimanali “La Domenica del Corriere” e “Il Vittorioso”; in paese infatti non operava una biblioteca, non erano disponibili altre fonti di informazioni scientifiche e, a dire il vero, Egidio non era neppure in grado di capire il funzionamento delle eliche. Il paese si pregiava di avere una “frazione”, essa era una contrada che costituiva parrocchia autonoma con una propria chiesa e relativa rendita o beneficio per il prevosto; anche se la chiesa era dedicata a San Benedetto, il quale notoriamente è un santo tipicamente primaverile, la fiera vi si svolgeva a fine Settembre, essa iniziava al pomeriggio con le funzioni religiose solenni  che costituivano una delle poche occasioni in cui il vecchio organo suonava, perché funzionava ancora con antiquati mantici manuali; Callisto entrava nello sgabuzzino polveroso vicino al soppalco, dove Vasco già seduto era pronto per suonare davanti al doppio schieramento dei tasti bianchi e neri, e iniziava a manovrare con i due sacchi di pelle floscia del mantice; questi erano chiusi nella parte superiore da un coperchio rigido in legno che recava una valvola a membrana nel suo centro; traendo verso l'alto il  coperchio, il sacco si raddrizzava e si riempiva di aria, Callisto appoggiava subito un enorme sasso sul coperchio, il sacco ne veniva schiacciato e l'aria pressata arrivava alle canne dell'organo; caricato un coperchio, si alzava alternativamente quell'altro per garantire la continuità del flusso di aria al vecchio strumento musicale. 

Finalmente diminuiva il numero dei disoccupati e coloro che lavoravano alle terre demaniali lungo il Po cominciavano a raccogliere i primi frutti. L'autunno si presentava però particolarmente piovoso e anche dopo la festa dei morti, invece che nebbia, neve e gelo che immobilizzava ogni cosa, cadeva insistete la pioggia la quale ormai aveva saturato tutto il terreno, coprendolo di pozzanghere luccicanti. Giungevano notizie di piogge non solo su tutta la pianura del Po, ma anche in quelle dei suoi affluenti e si cominciò a temere che si potesse verificare qualche alluvione disastrosa. Sulla riva opposta del Po e più a valle  l'acqua del fiume rigonfio  aveva rotto il primo argine, “l'argine comprensorio”, e iniziava a motivarsi l'apprensione per  l'arrivo di un'onda di piena particolarmente alta. Il lungo ponte di barche che a poca distanza dal paese attraversava il grande corso d'acqua era stato interrotto a causa della corrente troppo impetuosa la quale minacciava di strappare gli ormeggi dei barconi che lo reggevano e di disperderli. Tutti si informavano del livello raggiunto dalle acque; nessuno allora lo sapeva, neanche in paese, ma si stava verificando un evento che le statistiche avrebbero definito molto improbabile: i flussi di massimo livello di  ciascuno  degli affluenti più grandi  si stavano riversando nel Po proprio in coincidenza col passaggio della sua onda di piena aumentandola e rinforzandola a dismisura. Pure il vento era ostile e alzava la marea dell'Adriatico impedendo il deflusso allora necessario. Fu diffuso l’avvertimento che il livello raggiunto dalle acque avrebbe superato l'altezza dell'argine comprensorio anche in paese, quest'argine sarebbe stato scavalcato e travolto e non si sapeva se l'argine maestro,  che come ultimo baluardo proteggeva il paese, avrebbe retto all'urto. Il livello della Lanca, collegata  con il Po attraverso falde sotterranea, intanto era cresciuto in maniera preoccupante, allagando i campi circostanti; le talpe fuggivano, abbandonando le loro tane, e scavavano gallerie nel corpo dell'argine maestro, indebolendo la sua struttura; infiltrazioni di acque, le “fontanazze”, si  formarono anche all'esterno di quel  terrapieno, il cui tracciato era a ridosso delle prime case del paese. 

Il sindaco chiamava a raccolta tutti gli uomini validi del luogo, nella bruma le campane suonavano a martello; il prete più giovane, nella sera piovigginosa, correva per le strade, con il viso bagnato, soffiando con foga nel fischietto col quale soleva dirigere le partite di calcio più importanti; nonostante il buio, l'umido e il freddo bisognava accorrere, riempire di terra i sacchetti di juta e disporli a cresta sulla sommità dell'argine. Se l'argine fosse crollato, l'acqua, spandendosi per tutta la campagna, avrebbe raggiunto l'altezza di due o tre metri, sommergendo tutta la parte inferiore delle abitazioni, e gli aiuti chissà quando sarebbero arrivati. Le case sarebbero crollate? La madre di Egidio aveva fatto trasportare la pesante stufa, che fungeva anche da cucina economica, dal piano terreno ad una camera da letto al primo piano, poi aveva portato legna da ardere, farina, zucchero di cui aveva tanto sofferto la mancanza durante la guerra finita da poco, aggiunse fiammiferi, pasta e uova. Guardava trepidante e timorosa fuori dalla finestra e chiedeva rassicurazioni. 

Le scuole erano chiuse, quando una sera Egidio andò a letto,  ben presto fu svegliato da un forte tramestio dalla strada e da un ululare lontano sordo e continuo come di vento che irrompe in una foresta piegando alberi e schiantando fronde. Il Po aveva sfondato l'argine comprensorio, le sue acque si precipitavano violentemente, correndo, verso   l'argine maestro dopo aver attraversato i boschi con il loro strepito furibondo;  l'ondata, alzandosi rapidamente, al mattino aveva raggiunto la sommità della massicciata, trattenuta fortunatamente dai sacchetti di terriccio appena disposti; i vortici devastanti, atroci e inarrestabili correvano sulle terre golenali minando e travolgendo ogni cosa; per il momento il paese appariva salvo, ma ciò sarebbe durato? Circolava la voce che uno straripamento sarebbe avvenuto sull'altra sponda, e che nell'economia generale delle cose questo era più conveniente, perché i terreni di là erano più elevati e quindi l'acqua avrebbe allagato con livelli più bassi  un'area meno vasta. “E allora perché non provocare artificialmente quello straripamento!” Una valutazione analoga poteva essere formulata anche sull'altra sponda e perciò occorreva vigilare. I cacciatori, calata la sera, si recavano sull'argine portando il fucile per sorvegliare ed evitare che eventuali sabotatori arrivassero dalla sponda opposta; si mandavano segnali tra di loro per tutta la lunga notte, sparando colpi in aria, che in paese avvertivano con trepidazione; l'acqua lambiva insidiosa i sacchetti già disposti e occorreva aggiungerne altri per rafforzare la loro barriera: serpeggiava una paura sorda. Un mattino la radio comunicò che erano crollati gli argini nel Polesine: l'acqua avrebbe trovato uno sfogo in quella lontana regione e il suo livello non sarebbe ulteriormente aumentato. 

Egidio non sentiva più nessun rumore proveniente dal Po, la pioggia era cessata, verso mezzogiorno appariva qualche scialba spera di sole e suo padre l'accompagnò a vedere cosa era successo. All'interno dell'argine, al posto dei campi e delle verdi pozze stagnanti, si mostrava un immenso lago desolato di acqua torbida, limacciosa e quasi immobile; qua e là spuntava la cima nera di un albero spoglio o il culmine bruno dei tetti di qualche casa  o di qualche fienile. Dalle cascine allagate e dai fienili, dove si erano rifugiati, fuggivano ancora animali spaventati e affamati; le anatre galleggiavano a loro agio, anche le galline tentavano stranamente di nuotare, però quasi subito, come se  incespicassero, cadevano sul davanti sopra la superficie dell'acqua profonda, ci tuffavano la testa, affondavano come risucchiate e non   riemergevano più. C'era una vacca che tentava di nuotare in mezzo a relitti neri fluttuanti, il suo padrone, invece che spostarsi su una barca, si muoveva galleggiando dentro il lungo mastello in legno del bucato primaverile, riuscì a raggiungerla e a legarla per le corna, la trascinò sull'argine poco distante e la mise in salvo. In seguito arrivarono anche barche vere per portare soccorso a uomini e animali rimasti intrappolati dall'alluvione. Non appena il livello delle acque calò fino a metà dell'altezza dell'argine, Egidio andava a vedere il luogo assieme con gli amici e trovava fango dappertutto, questo aveva un  aspetto inconsueto, perché non era sabbioso, ma era particolarmente plastico, si trattava di argilla e i ragazzi, sempre attratti dalle loro fantasie in ogni situazione, iniziarono a giocarci, modellando pupazzetti. Quanto lavoro fu vanificato! Le terre demaniali concesse ai disoccupati neanche due anni prima a costo di ingenti e faticose dispute, furono sconvolte. 

Sui giornali e alla radio si continuò per molto tempo ancora a parlare del Polesine, di morti e di distruzioni, di colpe e di errori e solo molto più tardi si capì veramente cosa era successo. Il fiume rientrò nel suo letto; appena che la stagione lo consentì,  furono avviati  i lavori di miglioramento e di rafforzamento dell'argine maestro del Po lungo tutto il suo corso; doveva diventare più alto e in paese fu aggiunto un terzo contrafforte; si creò lavoro per scariolanti e  zappatori; per trasportare terriccio furono usati anche carrelli da miniera che scorrevano sopra un piccolo binario e che nella immaginazione fanciullesca evocavano una ferrovia in miniatura quasi fosse un giocattolo meccanico. Il cantiere non aveva protezioni come teoricamente succederebbe ora, perché la sicurezza era affidata unicamente al buon senso, genere non molto diffuso, e i ragazzi più grandicelli nei giorni di festa usavano talvolta quelle attrezzature per i loro giochi, non senza il pericolo di brutti incidenti. Quella primavera l'argine non si ricoprì di ciocche di violette blu o di piccole margherite candide sparse sull'erba appena spuntata e, invece che un lungo vallo verde serpeggiante a ridosso dei paesi, esso appariva una barriera brulla e grigia a causa del terriccio appena riportato e che lo copriva per intero.

Saltaspini, il gatto di Egidio, camminando con flemma guardinga lungo la cima della muraglia, dopo la consueta incursione mattutina tornava dagli orti dei vicini. Il “Leoncino Fiat" di Aldo, il lattaio, ha già conferito il latte al caseificio del paese, prima dell'alba. La Nini è sul marciapiedi davanti casa, l'ha ramazzato e ora fa chiacchiera con un parente di passaggio. L'orologio del campanile suona le ore lento e tranquillo. Passa un trattore di Razzini e, col fracasso consueto, arriva il “treassi”, Dodge, che porta i tronchi di pioppo alla fabbrica di legno compensato, il camion un po' spartano e rustico era ancora un residuato della seconda guerra mondiale. Tutti i negozi hanno già aperto le serrande appena rinnovate. I panettieri Gorla, Ramella e Ruggeri hanno sfornato il pane: si intuisce dal suo profumo accompagnato da quello della mortadella. La conserva di pomodoro è ancora una ghiottoneria. Nel campo chiamato “la Breda”, che si estende dietro la muraglia che accompagna la strada principale, Bini, instancabile, e la sua intera famiglia sono intenti ai lavori agresti, maneggiando tridente e rastrello. Il figlio più grande vorrebbe fidanzarsi con la figlia del calzolaio e forse per questo lo si vede più raramente nel luogo di ritrovo per ragazzi, l'Oratorio, all’ombra del campanile. Anche Ampelio non si vede più all'Oratorio: è andato a lavorare a Milano e di lui non si sa più niente; era considerato eccellente ad arbitrare le concitate partite di calcio, disputate sul campo incolto e polveroso dietro la chiesa. Nella cartoleria delle sorelle Bertone il Gian ha appena acquistato i suoi due giornali, “La Provincia” e la “Gazzetta dello Sport”, il tecnico ufficiale della squadra di calcio locale beve il caffè nel bar del Lusèr e poi, a piedi, si reca al suo lavoro negli uffici del Comune. Tutti praticamente si spostano solo a piedi per il paese, tranne gli operai delle due piccole fabbriche, perché l'intervallo per il pranzo, a casa, è troppo breve. Il postino vecchio aveva un occhio di vetro sempre sgranato e inquietante che atterriva i bambini. Il nuovo postino è il figlio di Marino, l'oste, e a quest'ora egli ha già percorso metà della strada principale, distribuendo cartoline e qualche lettera: ad ogni consegna fa anche due chiacchiere. (8-continua)

Nelle foto di Ezio Quiresi la grande piena del '51 nel cremonese

 

Giorgio Peri


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti