La nostra storia. La scuola, i racconti della guerra, l'attentato a Togliatti, le reazioni a Gussola
Quanta luce avevano i primi giorni di primavera; venivano dopo giorni scuri, brumosi, con lunghi candelotti di ghiaccio appesi sotto le grondaie e con i rami spogli degli alberi carichi di galaverna bianca. Nelle prime giornate di sole invece la brezza ripuliva il cielo e guarivano i geloni sulle mani ingrigite, dure e callose dei contadini poveri; l'aria frizzantina riempiva i polmoni e i bagliori di luce riempivano la vista. Attraverso le grandi finestre il sole entrava anche nelle aule polverose delle scuole del paese ed Eliseo, il bidello reduce, ferito nelle guerra in Albania, entrava zoppicante una sola volta nella mattinata per caricare con ceppi di legna la stufa in prismi sovrapposti di terracotta rossa. Dietro la lavagna quell'anno le maestre, un po' massaie e un po' insegnanti, avevano sistemato una catinella bianca in ferro smaltato e un portasapone con un panetto verde dall'odore pungente di disinfettante: il sapone al lisoformio, dono del popolo americano. In America, come si chiamavano gli USA, c'era ogni cosa, grano, penicillina, macchine, bestiame, benessere; da noi mancava un po' tutto, eppure l'agricoltura poteva essere redditizia. Con quel sapone gli americani ci suggerivano di curare la nostra igiene personale e quindi le maestre insegnavano ai bambini un poco più trascurati, perché figli di poveretti, che era importante lavarsi spesso le mani per evitare le malattie. In quei giorni a scuola ogni bambino si lavava le mani, ma l'acqua della catinella in una giornata non si cambiava mai.
A scuola i ragazzi parlavano dei loro giochi e riportavano le storie e le vicende sentite in famiglia. “Mio papà è ancora prigioniero in Russia”. “Il mio è stato prigioniero in Germania ed è tornato magro sfinito”. “Mio zio ha ammazzato due tedeschi”. “Il mio ha fatto la guerra in Africa e sparava con la mitraglia”. Guerra, battaglie e terre esotiche era inevitabile che suscitassero un fascino irresistibile; Egidio ascoltava e un giorno a casa chiese: “Ma tu, papà, non sei mai stato in guerra?”. “Sì- rispondeva il padre - ma non ho mai sparato un colpo di fucile!” Un soldato senza fucile? Egidio era abbastanza sconcertato.
Pacifismo e obiezione di coscienza erano termini sconosciuti, anzi il servizio militare sembrava una festa, perché i coscritti, chiamati ogni anno alla leva militare, il giorno “della visita” organizzavano balli e circolavano su un carro addobbato, facendo baldoria e schiamazzi lungo tutte le vie del paese; nelle osterie qualcuno offriva loro da bere e sulle muraglie scrivevano nottetempo l'anno di nascita accompagnato da un “Evviva” oppure da “Classe di ferro”. “Quando ero recluta, a Piacenza - continuava il padre - lavoravo in fureria e facevo il panettiere. Quando iniziò la guerra mi hanno mandato a Fiume, in Istria. Quasi nessuno aveva la patente automobilistica, io l'avevo e avrei dovuto fare l'autista per il colonnello, ma il mio stile di guida era piuttosto campagnolo e temerario e quindi mi hanno spedito a Livorno per fare l'autiere sugli autocarri, molto più lenti, che dovevano partire per la guerra in Africa. Gli Alleati, americani e inglesi, continuavano a bombardare le città italiane; un giorno passo con l'autocarro per il centro di Livorno e vedo il disastro spaventoso lasciato da un bombardamento appena terminato: palazzi sventrati, cavalli rantolanti, stesi moribondi sulla strada e con gli occhi sbarrati, fumava una colonna di autocarri militari incendiati, un'ambulanza e un paio di vigili del fuoco erano appena arrivati. Io ho lasciato il mio autocarro con gli sportelli spalancati in coda alla colonna distrutta e sono andato alla stazione ferroviaria a prendere il treno, sperando di essere considerato almeno disperso. Sono arrivato a casa e a Parma, vicino al mio paese, per non farmi vedere neanche nel negozio del barbiere, ho acquistato un raffinato rasoio da barba elettrico inglese, che era una rarità; ma nonostante le precauzioni, dopo circa un mese i carabinieri mi hanno scoperto. Mi hanno messo in galera e nel frattempo il fronte africano crollò. Poco dopo, per punizione, mi hanno assegnato ad un altro reparto in partenza per la Russia, che veniva raccontata gelida e truce”. “Sei stato in prigione?” Esclamò sorpreso il figlio. “Sì, ma lì ci si stava bene: in prigione giocavamo a carte tutto il giorno, si mangiava e si dormiva, gli altri soldati invece dovevano stare alzati tutta la notte per farci la guardia e di giorno dovevano marciare per addestrarsi. Come ti dicevo, il reparto che poi ho raggiunto si trovava a Napoli; la stazione ferroviaria là era presidiata da molte forze di polizia militare ed era difficile partire senza un permesso. Quella città si trovava costantemente sotto i bombardamenti e una sera, mentre camminavo in piazza della stazione e sospiravo sognando casa mia, dove avevo lasciato mia moglie e i miei due figli piccoli, tu non eri ancora nato e abitavamo ancora di là del Po, ho visto che tutti scappavano verso i rifugi e che dal cielo arrivavano raffiche di mitraglia; tutti i treni presenti sui binari si misero in movimento per sfuggire alle bombe ed io, approfittando della confusione, ho fatto appena in tempo per salire sul convoglio che si muoveva verso Caserta. Sono scappato pure quella volta e dopo qualche mese è crollato anche il fronte russo.” Nella testa di Egidio cominciavano a tentennare alcune certezze.
A scuola rimaneva ancora il tempo per “imparare le divisioni”, poi arrivava l'estate della trebbiatura polverosa e l'anno scolastico era terminato. La stagione era calda, ma mai torrida e i pochi che disponevano di qualche nozione scientifica erano tranquillizzati, perché l'anticiclone delle Azzorre garantiva per l'estate un clima gradevole e mediterraneo. In paese talvolta si udiva il gracidare argentino della piccola raganella verde che si aggrappava alle foglie dei rami sopra gli orti e annunciava l'arrivo dell'acquazzone estivo ora temuto ed ora invocato.
L'anno prima il partito dei lavoratori era stato escluso dal governo; poi era venuta la frustrazione del Consiglio di gestione alla Cartiera, perché Maggi e gli altri che si erano adoperati con tanto impegno dovettero subire lo strazio di dover scegliere, tra coloro che loro stessi avevano assunto, chi licenziare, e lasciare a casa senza lavoro; quell'anno in primavera capitò per i braccianti anche la delusione del risultato, per loro negativo, delle elezioni nazionali, che premiò la Democrazia Cristiana.
Un pomeriggio di quel mese di Luglio il partito dei lavoratori chiamava a raccolta per un comizio. A tratti regolari il silenzio meridiano veniva assillato da un breve squillare, acuto e arabescato, di una tromba amplificata a dismisura tramite un altoparlante Geloso lungo come una tuba del Giudizio Universale, aveva note accorate e pressanti e si chiudeva con un accento imperativo. Diffondendosi per le strade deserte del paese, il suono raggiungeva anche i cortili assorti sotto il solleone nelle cascine fuori dall'abitato. Talvolta i richiami erano seguiti dalle note solenni e corali dell'inno internazionale dei lavoratori. In attesa dell'oratore, nella piazza, davanti al municipio, i soliti volonterosi preparavano il palco utilizzando assi, cassette in legno e drappi rossi. Per terra s’aggrovigliavano matasse di filo elettrico che l'elettricista, politicamente neutrale, provvedeva a collegare con misteriosi contenitori ricoperti da minute lampadine colorate. La piazza cominciò ad animarsi soltanto poco prima del lungo tramonto estivo, quando, allungandosi, le ombre proiettate al suolo dall'edifico scolastico concedevano un poco di ristoro. L'oratore arrivò e, tuonando contro la reazione dei fascisti, confermò l'avvenuto “vile attentato all'onorevole Palmiro Togliatti”, per fortuna senza conseguenze funeste, “ma i lavoratori non si sarebbero lasciati trascinare dalle provocazioni e avrebbero come sempre esercitato la loro costante vigilanza”.
In paese avevano anche apprezzato quanto riportato dai giornali: Togliatti sanguinante sull’ambulanza raccomandava: “State calmi, non fate sciocchezze! Lavorate per il partito!” In alcune grandi città però, come si seppe in seguito, la situazione sembrava andata fuori controllo: a Genova ci furono barricate, feriti e alcuni morti; meno male che nel frattempo si parlava anche di Giro di Francia e, due giorni dopo l’attentato, la radio annunciò con grande risalto che proprio Gino Bartali era in testa alla classifica e aveva preso la maglia gialla.
Questo significava che la normalità era stata ristabilita. (continua-4)
Una festa dell'Unità a Gussola e novembre 1947-gennaio 1948 l'occupazione dell'azienda agricola "Cartiera", taglio dei pioppi per la semina del grano
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