Le antiche chiese nascoste: a Silvella di Pieve San Giacomo. Quel che resta dell'oratorio di Sant'Antonio un tempo nascosto tra i boschi, accampamento delle truppe di passaggio
Un triangolo di pietre rosse sopra la sagoma di una porta murata. Quasi non ci si bada, eppure anche questo è un dettaglio che fa la differenza e ci racconta di Storia e storie di tempi passati.
Siamo a Silvella, frazione di Pieve San Giacomo, un pugno di case aggrappate ad una lingua d’asfalto che si srotola lungo la linea dei campi dove gli abitanti vanno poco oltre la decina.
Certo, qui non ci si passa per caso, men che meno ci si addentra nell’unica vietta laterale costeggiata dalle mura di antiche corti e cascine, ma se capitate da queste parti, potete cercare (e non vi sarà difficile) quella che a tutti gli effetti fu la facciata di una chiesetta.
Però lì di chiese non ce ne sono: non una croce sul tetto, non una decorazione che possa indurre a pensare ad un luogo di culto. In realtà, sono proprio queste pietre rosse l’ultimo segno visibile, l’ultima traccia non ancora cancellata di quello che fu l’oratorio di Silvella, dedicato a S. Antonio. Semplice, sobrio, ma che aveva tutte le fattezze di una chiesetta.
Quella traccia quasi anonima
Costruito ed inglobato nella cascina di cui è parte, nel vero senso della parola: non solo l’esterno, ma anche l’interno non testimoniano più oggi la presenza di quello che fu un luogo sacro. Per trovarne traccia, bisogna proprio entrare e abbassare lo sguardo al pavimento in cotto, ormai consumato e sbrecciato, che sembra poco usuale per un ambiente di servizio. Ma la vera rivelazione si trova al piano superiore, che in realtà è una stanza ricavata quando la vecchia chiesetta ormai dismessa fu trasformata in magazzino: il soffitto dell’ambiente al piano terra, infatti, nasconde alla vista le volte e le cornici, con le loro leggere tracce di colore che ne sottolineavano le geometrie e che un tempo decoravano questo luogo di culto. I muri sono scrostati in diversi punti da cui si intravedono i mattoni originali che affiorano, mentre sul pavimento restano i calcinacci caduti dal soffitto; dall’interno si vedono ancora le sagome di due finestre murate sulla facciata, dove in realtà ce n’erano tre, delle quali solo una rimane ancora aperta. A testimoniare l’uso di questa singolare soffitta, alcuni sacchi di iuta appesi ai traversi di metallo che tengono la struttura delle volte.
Ci ha pensato la Storia col suo lento ed inesorabile incedere a fare di questo luogo sacro un vecchio ricordo: del resto, non fu soltanto la chiesetta a svuotarsi di fedeli, ma l’intera frazione di Silvella pian piano andò spopolandosi, con le aie sempre più vuote e silenziose e le case che una per una si chiusero per sempre. L’oratorio di S. Antonio dunque non serviva più, così divenne uno stanzone vuoto e fu adibito a deposito, la porta venne murata e le volte del soffitto alla fine si dovettero rassegnare ad accogliere piccioni e topi entrati da qualche pertugio.
Pochi abitanti, molta storia
Un altro ‘segreto’ di Silvella sono le sue origini davvero remote. La storia di questo luogo ci riporta indietro nel tempo di secoli: innanzitutto la posizione geografica, in corrispondenza della centuriazione romana lungo la Via Postumia, che corre a poche centinaia di metri mentre un paio di curve più in là troviamo il borgo di Ognissanti, centro abitato già esistente in epoca romana (in realtà, già dall’età del bronzo, con la civiltà delle terramare). Risulta molto probabile inoltre che l’abitato di Silvella in passato fosse più grande dell’attuale, con numerose altre abitazioni o strutture nella campagna circostante ed a conferma di ciò, la presenza di manufatti in pietra emersi nei decenni scorsi daii terreni agricoli durante l’aratura.
Il nome stesso della località tradisce origini latine: deriva infatti, come è facile intuire, dal latino ‘silva’, ossia selva, bosco, luogo con molti alberi, come spiega bene anche don Angelo Grandi nella sua ‘Descrizione della Provincia e Diocesi cremonese’: «E’ probabile che ne' remoti tempi esistesse in questo territorio una piccola selva, o boscaglia d'alberi, e che da ciò derivato ne sia il nome di Silvetta, applicato al villaggio, poscia Selvetta, tramutato in Selvella» e da qui il toponimo attuale di Silvella.
Sappiamo poi che già nel 1562 era annoverata tra i Comuni del contado di Cremona; verso la metà del 1700 contava circa 181 abitanti, era un Comune autonomo e tale rimase fino all’età napoleonica, quando venne invece unito a Pieve San Giacomo per poi tornare -con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto- ad affrancarsi dal capoluogo ed essere nuovamente Comune indipendente con addirittura due frazioni, Ognissanti e Ca’ de Varani, e contare oltre 600 abitanti nel 1861. Passano ancora pochi anni, arriviamo al 1868, all’indomani dell’Unità d’Italia, e la località viene di nuovo assoggettata -stavolta in via definitiva- al comune di Pieve.
Un nome che racconta la storia del luogo
Proprio in questi boschi fitti che caratterizzavano la zona avrebbero nei secoli addietro, più volte trovato riparo le truppe di passaggio nelle diverse occasioni di battaglia del passato. Ce ne parla ancora Grandi riferendosi ai ‘Gallispani’ nel 1745, che a Silvella posero il quartier generale, mentre nel 1848 furono le 'truppe sarde del campo del Mincio’ a fermarsi e trovare ristoro in queste boschine. Infine anche don Gioacchino Bonvicini nel suo ‘Diario’ testimonia la presenza di truppe francesi che qui si accamparono durante la loro discesa nel 1859.
Decine, centinaia di giovani e uomini chiamati alla guerra, lontani da casa, forse feriti o stremati dai combattimenti, che hanno trovato qualche ora di riposo e conforto su quelle terre e dei quali oggi si è persa ogni memoria.
Per questo Silvella non è un solo pugno di case che si contano sulle dita di una mano, ma va ricordata per essere stata nei secoli scorsi centro e teatro di importanti avvenimenti che segnarono la Storia delle nostre terre e del nostro Paese.
Anche se già da tempo non rimane più traccia di quel passato, nemmeno della selva fitta che anticamente valse il nome al paese, possiamo ancora trovare quel piccolo triangolo di pietre rosse a ricordarci come anche i particolari più insignificanti a volte siano in realtà un baluardo di cultura.
Le foto degli interni dell’antico oratorio di Silvella sono state scattate dal fotografo Lilluccio Bartoli, che su gentile concessione le ha messe a disposizione per il servizio.
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commenti
federico
22 febbraio 2024 17:06
molto interessante. complimenti alla giornalista per la ricerca storica.