Lo straordinario dono di Natale di Antonio Leoni e della sua famiglia: tutto il suo archivio fotografico sarà consultabile in Biblioteca. Migliaia di immagini e supporti informatici, le grandi mostre
"Ci deve essere qualcosa di misterioso nel Torrazzo che ci tiene legati. Abbiamo avuto tante volte la possibilità di andarcene, di far carriera, ma la grande torre ci incatena a questa terra impedendoci di lasciarla". Così Antonio Leoni, grande fotografo e giornalista cremonese, motivava le ragioni del perchè non avesse mai lasciato Cremona nonostante le tante offerte di lavoro che gli arrivavano, come direttore o inviato, dall'Italia e dall'estero. Cremona e Antonio Leoni, un binomio inscindibile. E lo sarà ancora di più in questo Natale. Uno straordinario regalo di Natale per la città di Cremona. Tutto l'archivio fotografico di Antonio Leoni, grande fotografo e giornalista cremonese, è stato donato alla Biblioteca della città. Un patrimonio di storia, testimonianza, arte e cultura che la famiglia di Antonio Leoni (le tre figlie e la cara moglie Anna) ha voluto restasse per sempre a disposizione dei cremonesi, di studiosi e di studenti, di appassionati di fotografia e di quanti vorranno ricordare 60 anni fra la seconda metà del Novecento e il Duemila nelle fotografie di uno dei più grandi artisti cremonesi della macchina fotografica che ha collaborato con riviste nazionali e internazionali e con collezioni e musei che espongono le sue immagini. Sue fotografie e ricerche sono conservate allo Csac dell'Università di Parma, alla Galleria d'Arte Moderna e contemporanea (sezione fotografica) dell'Accademia Carrara di Bergamo, nella collezione di Lanfranco Colombo a Milano e in tantissime gallerie. E quindi le tantissime pubblicazioni letterarie e fotografiche con case editrici come Skira, Mazzotta, Silvana o Fratelli Fabbri.
Antonio Leoni amava Cremona al punto che dopo aver girato e fotografato il mondo, proprio alla sua città ha voluto dedicare il suo ultimo libro, "Una torre in Cremona", frutto di una indagine durata tre anni, uscito nel 2017, l'anno in cui Antonio se n'è andato. "Vorrei far sentire alla gente che queste immagini sono il presente e il lontano. Che queste pietre sono anche il flusso della memoria e che perciò guardandole mi distraggo. Percorro altre strade. Evoco momenti diversi. Una complessità di emozioni" ha scritto Leoni nel suo libro, quasi un testamento artistico di quello che Antonio è stato. Orgogliosa e commossa per la scelta della famiglia di lasciare in biblioteca lo straordinario patrimonio di fotografie, negativi e supporti informatici di Leoni, la direttrice Raffaella Barbierato. Tra l'altro l'archivio fotografico contiene intere mostre di immagini che nel 2025 saranno poi esposte in Biblioteca. Le mostre fotografiche di Leoni hanno fatto la storia della fotografia: da "Gli Impietriti" del 1964 a "Madre Cascina" del 1966, da "New York Città Estrema" del 1967 a "Il Mondo degli Ultimi" del 1970, da "Il Vaso di Pandora" del 1996 a "Gente di Buddha" del 2002 e a molte altre.
E poi la grande attività di giornalista impossibile da sintetizzare in poche righe. Un capitolo molto ampio nella vita di Antonio, spesso parallelo anche alla sua attività di fotografo. Ha lavorato a lungo alla Provincia come redattore prima in cronaca e poi come caposervizio dello sport sino al 1981, quando lasciò il quotidiano locale per fondare, insieme a Gianni Curtani, il settimanale Mondo Padano di cui è stato direttore per quindici anni, dopo aver portato una nuova grafica, studiata con Sergio Ruffolo e, dove era tornato, per una breve parentesi, nel 2013. Per la mia generazione di giornalisti Antonio Leoni è stato un amico e un grande maestro. Le grandi inchieste di Mondo Padano – il settimanale riuscì a superare le 20 mila copie vendute - hanno segnato un'epoca. Antonio amava le grandi sfide e la sua passione per l'informazione lo portò ad essere un grande e instancabile innovatore nel campo. Alcune sue intuizioni hanno trovato applicazione molto tempo dopo presso altre testate. Intuì la crisi della carta stampata e già nel duemila era partito con il primo quotidiano online, quel "Vascellocr.it" che ha fatto scuola, ancora una volta. Fino alla fine Antonio, pur ricercando continuamente il nuovo nel mondo dell'informazione, era rimasto un giornalista di strada. Amava vedere, toccare con mano, capire. Solo in questo modo poteva raccontare, come lui ha sempre fatto, la nostra e le altre terre.
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commenti
Anna Maramotti
24 dicembre 2024 07:42
Antonio si meritava questo riconoscimento della cultura cremonese.
In vero, è un dono grande che Lui fa alla sua città.
Un grazie alla sua Famiglia e a Mario che sa ben evidenziarne, assieme a Raffaella Batbierato, il valore e il grandissimo prestigio che, con le sue fotografie , Antonio dona a Cremona
Lilluccio
24 dicembre 2024 08:33
l mio demiurgo! Dito felicissimo, dove finiva il suo indice iniziava una macchina fotografica (si vede che son vecchio: dovevo scrivere fotocamera, l'è l'istèss!)
Mi volle irresponsabilmente a Mondo Padano, non si pentì e mi volle pure sul Vascello. Girolone (traduco: globe trotter) per testate straniere, ficcava il naso dove per gli altri non doveva, riuscendo a dare comprovati dispiaceri affermando che se il lavoro di giornalista non ne avesse dati, non sarebbe stato un buon lavoro. Antonio, il mio demiurgo! Lilluccio
Marcella Fenti
24 dicembre 2024 09:28
Ricordo che il giornalista fotografo Leoni ha donato al Gruppo fotografico Beltrami-Vacchelli le sue attrezzature fotografiche più pregiate per la camera oscura. Inoltre è stato docente del gruppo in qualità di supervisore-"esterno". I suoi insegnamenti sono stati preziosissimi. Appoggiava il gruppo e lo considerava una grande risorsa per Cremona.
Un grazie alla famiglia che ha regalato alla cittadinanza questo patrimonio culturale e alle istituzioni che lo valorizzeranno.
Claudiol leoni
24 dicembre 2024 10:50
Loscopro solo ora poiché da anni sono trasferito a Mantova..un grande Cremonese che ora c'è ne sono pochi. Grazie sei un vero LEONI.....
Michele de Crecchio
25 dicembre 2024 02:02
Con altri giovani architetti cremonesi, tutti ormai, come lui, purtroppo, già scomparsi (Massimo Terzi, Ulisse Guglielmetti e Paola Rusca) ebbi la fortuna personale di collaborare con il compianto Antonio Leoni, aiutandolo a realizzare alcune delle sue prime pubbliche esposizioni (iniziavano a scorrere gli anni settanta), eventi nei quali diede prova di essere non solo un ottimo giornalista, ma anche un fotografo di straordinaria sensibilità. Personalmente conoscevo Antonio ormai da qualche anno, ma l'intuizione di farci collaborare fu dell'allora direttore della "Provincia", Mauro Masone che, nei sotterranei della "Galleria del Corso", aveva avuto la felice idea di far riservare alcuni locali a tale genere di eventi. Il primo frutto della nostra collaborazione fu la
singolare mostra "Gli impietriti" nella quale Antonio si cimentò nel suggestivo tentativo di evidenziare singolari somiglianze tra il volto dei cremonesi contemporanei e quello dei loro antichi predecessori, raffigurato ("impietrito") in in alcune suggestive e antiche sculture ("protomi") presenti sulle facciate della nostra cattedrale. Incidentalmente ricordo che tale singolare e suggestiva tematica è stata recentemente richiamata da una straordinaria esposizione realizzata, con strumentazioni ben più aggiornate di quelle di cui disponeva Leoni, dai benemeriti volontari del "Laboratorio del Cotto", mostra allestita all'interno del Battistero di piazza Duomo.
La seconda felice occasione di collaborazione con Leoni, la trovammo, un paio d'anni più avanti, quando, sotto la fortunata denominazione di "Ospedalechefare", organizzammo, sempre su proposta di Masone e negli stessi locali già utilizzati in precedenza, la prima edizione di una mostra di fotografie illustranti gli straordinari valori monumentali ed ambientali dello storico nosocomio cremonese esteso su quel pregevole comparto urbano che, ormai da tempo, ci siamo abituati a chiamare "Vecchio Ospedale". Tale comparto era esteso su ben 50.000 metri quadrati e stava per essere abbandonato dalla sua storica funzione. Come già avvenuto nei decenni precedenti per tanti altri illustri comparti e monumenti cittadini, rischiava anch'esso di essere presto immolato sull'altare della "speculazione edilizia", crudele dea pagana che, ormai da quasi due secoli, pretendeva e, purtroppo, quasi sempre otteneva (e, non di rado, ottiene ancora oggi) nuovi e più gravi sacrifici da quello che, dopo Milano, era stato nei secoli precedenti, non solo per dimensioni, il più grande dei centri storici della Lombardia.
Tale mostra ebbe un notevole successo di pubblico: venne, infatti, in altri spazi e integrata con alcune immagini scattate da Giuliano Regis, replicata ben due volte. Personalmente ritengo anche che tale evento abbia significativamente contribuito a rendere l'opinione pubblica locale discretamente più sensibile, di quanto non fosse stata in passato, alle successive vicende urbanistiche cittadine.