Nascosta fra le campagne di Vescovato la “Madonna della Sgarzunèera”. Sotto di essa la tomba di un uomo del 1700 avvolta dal mistero delle due donne uccise lì vicino
Un cenobio immerso nel silenzio, intriso di fede e di mistero, da oltre due secoli “cullato” tra le vaste e fertili campagne del cremonese. Forse l’unica chiesetta al mondo (o una delle pochissime) non raggiunta da una strada. A dire il vero di strade ce ne sono due, per arrivarci: ma una è poco più che una mulattiera che in realtà conduce ad una abitazione ed il confine con il piccolo sacello è ben marcato da un profondo fosso. L’altra strada è proprio una carraia, fattibile per chi vuole mettere alla prova le sospensioni dell’auto. Una di quelle carraie che, per chi sa realmente vivere le atmosfere della campagna, va percorsa rigorosamente a piedi, in religioso silenzio, cogliendo ogni più piccola essenza di ciò che si incontra sino all’arrivo a quella piccola cappella, di fronte alla quale transitano ogni giorno miglia d migliaia (e forse più) di mezzi tra auto, camion trattori, moto visto che si trova a due passi dalla trafficatissima via Mantova.
Ma quasi nessuno si accorge della presenza di questo piccolo luogo di fede, immerso nel silenzio. A volte bastano un paio di arbusti, qualche piccolo albero spontaneo, per nascondere luoghi che meritano di essere conosciuti, preservati, vissuti in silenzio e in preghiera. Il luogo in questione, di fatto, non ha un nome in italiano e, per grande fortuna, si sono fino ad ora (e si spera per sempre) evitate inutili, stupide, banali e insensate citazioni anglosassoni (spesso pronunciate e utilizzate da sapientoni e saputelli che, con tre paroline in inglese, si elevano sugli altari dei più intelligenti, salvo poi franare al minimo ostacolo). La chiesetta in questione è dedicata da sempre e, soprattutto da sempre chiamata, da tutti, come “Madonna della Sgarzunèera”. È Lilluccio Bartoli, noto e stimato fotografo e chef (uno che, come ricorda spesso lui stesso, sa mettere a fuoco e sul fuoco) ma anche, e da sempre, cultore di storia e di storie locali, a fornire qualche doverosa spiegazione. Del resto siamo a Vescovato, il suo paese natale, di cui conosce ogni angolo, ogni vicenda, ogni storia.
“La chiesa della Madonna della Sgarzunèera – spiega - prende il nome da "sgarzàa" ovvero l'atto di cardare (sfibrare, scardassare) il lino che in un fosso vicino aveva la "mujà", dove si metteva a mollo il lino. Il terreno sulla quale sorge è una microminuscola enclave di proprietà della curia e al suo interno v'è una sepoltura che senza ausilio dei raggi X mostra alcune ossa. Pare che sorga all'incrocio di una centuriazione, dove di solito i romani ponevano un'ara (pagana) alla quale, un ‘millecinquecentinaio’ di anni dopo, venne sovrapposta la chiesetta della Sgarzunèera. Nel periodo della raccolta del lino vi si benediva il raccolto”. Il sacello, che sorge in un terreno che in passato era della nobile famiglia dei Pallavicino, è sede della sepoltura di Bartolomeo Caporali, come recita ancora oggi una lapide posta sul muro del piccolo, grazioso edificio. Vi è stato sepolto il 22 agosto 1795 all’età di 59 anni e, così come conclude la lapide “Chiede un Requiem”.
La spiegazione, quindi, è presto individuata. Si tratta di una tomba, che potrebbe quasi essere definita un piccolo “mausoleo” in cui riposa il Caporali che, da quanto si è potuto apprendere, sarebbe stato ucciso da truppe francesi. Alcune voci popolari parlano anche di ben due donne uccise nei pressi della chiesetta, ormai decenni fa, ma su questo particolare non ci sono conferme e quindi, tutto questo, non fa che aumentare il mistero di un luogo “accarezzato” ogni giorno da migliaia di passanti, ma ignorato praticamente da tutti. Non da chi, vivendo sul posto, se ne occupa da tempo portando sovente fiori e occupandosi delle pulizie. Sono persone della zona, dal cuore grande e generoso che si sono semplicemente affezionate a questa piccola cappella e se ne prendono cura con amore e dedizione, senza chiedere nulla in cambio. Tra l’altro, sino a non molti anni fa, qui si organizzava una processione ed il compianto don Achille Baronio, di cui proprio quest’anno si ricorda il quinto anniversario della morte, vi celebrava la messa. Perché anche nel più genuino ed autentico silenzio, il germoglio prezioso della fede non muore mai.
Foto di Lilluccio Bartoli
Eremita del Po
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commenti
Lilluccio Bartoli
27 gennaio 2025 17:42
Tutti guardano e non vedono, io fotografando, sottolineo questa differenza, bisogna saper cogliere, ed io so cogliere; questo fa di me un coglitore (per gli amici) ed un coglione per chi non è tale. Lo stesso tale che avrà da dire su un'inesattezza del testo: non è stato Vescovato a darmi i natali, però mi ha dato diverse pasque, e anche se mezzo secolo di vescovatinitudine jè mija pòochi, questo mi obnubila la patèente dè majacarugni, termine canzonatorio col quale vengono additati i vèscuadììn, in virtù della loro attitudine al commercio di pelli nonché della poco lusinghiera nomea di guasconi, trabattatori di mercanzie millanta, magheggi vari, affari misti, burloni. In questi ultimi -chiedo il nullaosta, ma va bene anche un po' di Courmayeur, ai detrattori di cui dispongo- posso, dopo più di 50 anni, fregiarmi?
Rosella
28 gennaio 2025 00:01
Tutti guardano e non vedono...L'autenticità di questa espressione è pari alla delicatezza con cui avete restituito dignità a questa cappella che, persa nella campagna, senza nemmeno una strada che la colleghi al resto del mondo, non è più solo il luogo di fede per cui era stata pensata, ma è diventata vero paesaggio sacro; risucchiata in uno spazio indefinito, senza confini in cui sono racchiuse presenze tangibili di una fede senza tempo. Interessante come la dimensione temporale abbia inciso sulla sua evoluzione, trasformandone la materialità.
Rosella
28 gennaio 2025 02:36
Quasi che il tempo abbia voluto proteggerla, allontanandola da un mondo che non si accorge più della sua esistenza.