22 gennaio 2025

Nella chiesa di Sant'Abbondio la tradizionale Veglia Ecumenica. Le diverse confessioni cristiane di Cremona riunite nel contesto della Settimana per l'unità dei cristiani

Anche Cremona ha valorizzato la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani con una veglia ecumenica che ha visto coinvolte le diverse confessioni cristiane presenti sul territorio. La veglia ecumenica, che  si è svolta nella serata di martedì 21 gennaio presso la chiesa di S. Abbondio, ha visto la partecipato il vescovo Antonio Napolioni e don Gabriel Ionut Giurgica (assistente spirituale della comunità cattolica romena di Cremona) in rappresentanza dalla Chiesa Cattolica, padre Gabriel Pandrea e padre Constantin Munteanu della Chiesa Ortodossa Romena, il pastore Nicola Tedoldi per la Chiesa Metodista di Parma–Mezzani e il pastore Giovanni Caccamo della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno.

Introducendo la veglia è stato ricordato il primo Concilio di Nicea dell’anno 325 (nel 1700° anniversario), che di fatto è stato il primo concilio ecumenico, sottolineando la secolare unione che lega le varietà delle diverse confessioni cristiane. La preghiera si è sviluppata a partire da due elementi della fede cristiana: la luce e silenzio. La luce del cero pasquale che rimanda alla Risurrezione di Gesù che illumina il percorso di fede e il silenzio che permette di lasciare spazio alle sua Parola.

Sulla scia del significato di questi simboli, sono iniziate le riflessioni dei rappresentanti delle confessioni cristiane, accomunati dall’importanza di continuare a ricordare che quello che lega è più potente di ciò che divide.

«Con gratitudine sperimentiamo la bellezza del ri-trovarci», ha esordito il vescovo Napolioni, ricordando quanto sia fondamentale per i fedeli il farsi rigenerare dall’Ascolto, da percepire non come semplice azione o gesto, bensì come ciò «che permette di entrare in contatto con gli altri e con la vita in maniera ospitale, perché è un’unità ricevuta in dono e operata sempre dalla Parola che ascoltiamo tutti i giorni, senza la quale la nostra unità si corazza, diventa difensiva o peggio aggressiva. Invece abbiamo bisogno di unità, dialogo, accoglienza». In questo periodo di tensioni politiche e sociali, anche in ambito religioso, risulta più decisiva che mai la pratica dell’incontro con l’altro quotidianamente, soprattutto per fare in modo che la comunità ci percepisca non a “mani chiuse”, ma al contrario  figli dell’ascolto, con «una mano sempre aperta da mendicante della Parola che ci viene da Dio e dai fratelli». L’immagine di una città fatta di porte aperte, di parole di fraternità, «non come una targa di marmo che scoraggi chi non riconosce le parole che vi sono scritte, non come una bandiera che distingue un popolo dall’altro, ma come un invito pieno di accoglienza: Benvenuti! Perché la Parola che ci guida è la Parola che ci viene offerta nell’ascolto che rende la nostra casa, la nostra città, ospitale, vivibile e fraterna».

Come i figli si formano tramite l’osservazione dei genitori, anche nella fede si cresce spiritualmente anche attraverso l’esempio. Padre Constantin Muntenau ha ricordato l’importanza di seguire coloro che per primi hanno scelto di seguire Gesù: i suoi discepoli. «San Giovanni ha sottolineato l’importanza della Risurrezione di Cristo come fondamento della Chiesa» e dalla quale «i credenti ricevono una speranza viva, che è più di una semplice speranza: è una certezza della vita eterna». Il padre ortodosso ha quindi preso ad esempio la figura di sant’Ambrogio, che ricorda la promessa di Cristo della vita eterna: «Questa eredità che non è influenzata dal passare del tempo o dalla corruzione terrena, ma è conservata nei Cieli per i credenti». Altro esempio quello di sant’Agostino che «ha commentato la gioia ineffabile e gloriosa che i credenti sperimentano anche senza aver visto Cristo, sottolineando che questa gioia è un dono dello Spirito Santo e un segno della fede autentica che porta alla salvezza delle anime». Infine san Pietro «porta un potente incoraggiamento e una profonda riflessione sulla fede cristiana della Risurrezione di Cristo», ovvero che «nonostante le sofferenze e le prove temporanee, la nostra fede è raffinata e rafforzata diventando più preziosa dell’oro purificato dal fuoco».

A parlare successivamente è stato Nicola Tedoldi della Chiesa Metodista di Parma–Mezzani, che si è soffermato sulla testimonianza dell’apostolo Tommaso e di come «dopo aver fatto la più straordinaria professione di incredulità della storia, riesce a fare anche la più bella professione di fede della storia. E la magnifica risposta che esce da lui ha la spontaneità della parola di un fanciullo e anche la certezza tipica di un grande uomo di fede: “Signore mio e Dio mio”. Questa non è una semplice invocazione, ma è un’affermazione forte, decisa e soprattutto è l’affermazione di uno stupore, espresso da quella frase che fa di una fede, la vera fede». La fede vista spesso come un «atto irrazionale» può essere salvata solo se accompagnata da un intenso sentimento di stupore. Se non è «stupita» la fede rischia di farsi sommergere dai «cambiamenti che la vita ci impone». Da qui l’invito a imparare dalla risposta di Tommaso: “Signore mio e Dio mio”. «Mi piace immaginare – ha proseguito Tedoldi – che dopo questo incontro Tommaso abbia vissuto il resto della sua vita senza paura, senza nascondersi e che il suo sorriso e la sua gioia erano talmente accesi da illuminare il suo cammino, così come dovrebbe essere il nostro sorriso, la nostra gioia. Dovremmo essere riconosciuti fuori di qui per la gioia di essere abitati da Cristo ed è questo che ci rende uniti».

 Il forte legame che unisce le comunità cristiane di tutto il mondo è dato anche dalla certezza del valore spirituale della Parola, come ha ricordato il pastore Giovanni Caccamo della Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno, il quale ha riflettuto in particolare sull’esperienza di Marta: «“Credi tu questo?” Sono tre parole che rappresentano una domanda di Gesù che interpella Marta in un momento di profondo dolore» e di come sia «importante per noi considerare che la nostra fede a volte è messa alla prova e che è facile credere quando tutto funziona bene, quando non ci sono drammi e difficoltà, ma quando siamo di fronte a una situazione che non ha soluzioni, quella domanda che Gesù ha posto a Marta, cioè credi tu ancora? Credi tu nonostante tutto?». Il pastore ha quindi concluso che quando Cristo pone delle domande desidera in realtà condurre l’uomo verso la via della risposta. Il punto interrogativo non desidera creare incertezza, ma piuttosto accompagnare verso una riflessione più profonda proprio perché generata da noi in primis. «Anche se siamo nel dubbio, anche se il Signore è misterioso e molte cose non ci sono chiare, – ha affermato – io credo perché sono convinto che tu sei il nostro Dio, colui che ci libera dalla morte e dalla paura. Io credo perché il mio Dio, il nostro Dio è un liberatore».

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