8 maggio 2021

Portava a Cremona l'indagine sulla strage del 1928 a Milano. I documenti del tribunale sulla bomba che fece 20 morti alla Fiera

Abbiamo setacciato il campo degli anarcoidi e degli antifascisti, che sono ridotti a pochi; ma non ci è risultato nulla…. Anzi, io penso….”. La risposta di Bocchini è secca “Che le ricerche debbano essere indirizzate in senso contrario, come per quelli di Bologna….”. Nudi “Me lo avete levato di bocca, Eccellenza: bisognerebbe spostarsi verso Cremona…”

Tutte le strade portano a Roma, ma a volte anche a Cremona. Il 12 aprile 1928 Milano fu squassata da un'esplosione violentissima, fatto di sangue che prenderà il nome di “la strage dimenticata”. Fu un massacro di civili, venti persone persero la vita e una quarantina riportarono ferite a causa delle schegge provocate da un ordigno posto nel basamento di un lampione in Piazza Giulio Cesare, nel punto in cui in quel tragico momento passava la corte di Re Vittorio Emaneule III in visita alla Fiera Campionaria che stava per essere inaugurata di fronte al piazzale della strage. L'attentato fu un colpo spaventoso per l'opinione pubblica, la folla festante fu martoriata dalla potenza dell'esplosione, la famiglia Ravera, a cui verrà dedicato un busto in città poco tempo dopo, diventerà il simbolo di questo avvenimento dato che la mamma e i suoi due bambini di 5 e 8 anni perderanno la vita a causa della deflagrazione.

Poche settimane dopo in provincia di Cremona una piccola osteria di paese viene presa d'assalto dall'OVRA, gli uomini della tentacolare Polizia Segreta del fascismo, alla ricerca di persone o prove collegate al tragico fatto di sangue di aprile, cominciano una meticolosa attività d'indagine su ogni fronte possibile. Quella osteria rappresenta l'inizio di un periodo di ricerca affannosa con tutti i mezzi possibili, in città i fermi si moltiplicarono, tutti gli uomini della Polizia e dei Servizi Segreti agivano su mandato diretto del Capo della Polizia, il Questore Bocchini, e dell'ispettore generale di Milano Francesco Nudi, agivano per trovare prove o persone collegate a quell'ordigno. Come si è arrivati a setacciare la provincia e la città di Cremona? Partendo dall'attentato a Mussolini del 31 ottobre 1926 quando, a Bologna, il Capo del Governo venne sfiorato da un proiettile esploso, parrebbe, da una pistola tenuta nelle mani di un quindicenne, il piccolo Anteo Zamboni, che verrà barbaramente trucidato pochi istanti dopo dagli uomini della sicurezza.

Già per l'attentato del 1926 molte piste portavano a Cremona, almeno secondo l'OVRA che fu costituita come unità speciale a Milano pochi mesi dopo i fatti di Bologna, in città l'attività definita “sovversiva” era fiorente ma, secondo le indagini, il fulcro di certi avvenimenti era da ricercare nei rapporti tutt'altro che idilliaci che il ras cremonese Farinacci e il Podestà bolognese Arpinati avevano con i vertici del Partito. Sussurri, piccole delazioni, frasi estorte anche a forza di pugni, informatori prezzolati o amanti tradite e deluse, amici degli amici e anarchici convinti, interrogatori a prostitute che storicamente rappresentavano sempre una fucina di informazioni, dal 1927 la città e parte della provincia vengono messe al setaccio per tentare di capire quale collegamento diretto poteva esserci tra il “sottobosco” politico cremonese e la atroce violenza di bombe che seminavano morti e feriti tra i civili.

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato ha il suo da fare per valutare la posizione di chi, magari dopo un bicchiere di troppo, girava in Piazza del Duomo canticchiando “canzoni proibite” e chi, nel retro di una osteria, aveva materiale dattiloscritto contro il regime o addirittura armi non dichiarate. In quegli anni si finiva direttamente davanti al Tribunale con la precisa ipotesi che chiunque, anche i ragazzini che facevano a botte nel cortile di una scuola per motivi “politici”, potesse sapere qualcosa di ciò che l'OVRA andava cercando fin dalla sua costituzione. Persone che si vedevano affibbiare 5 anni di carcere per aver detto al bar “hanno fatto bene a sparare a Mussolini”, o altre che si trovavano sotto interrogatorio perché allo stadio avevano urlato peste e corna contro le squadre milanesi durante la prima volta della Cremonese in serie A.

Bocchini e Nudi sospettano di tutti e di chiunque come era nel loro mandato, ma trovare un modo per chiamare in causa Farinacci o scoprire persone coinvolte direttamente risulta, ovviamente, difficilissimo, anzi impossibile. Anni di ricerche e mesi di interrogatori con processi a volte farseschi, come quello di un muratore che, dopo essersi schiacciato un dito con un piccolo martello sul lavoro, urlerà improperi contro tutti Governo compreso, non porteranno a nulla. L'unico sospettato per quel tragico 12 aprile sarà il l'antifascista pavese Umberto Ceva, accusato di aver confezionato l'ordigno. Non avrà il tempo di chiarire se quelle strade portavano veramente a Cremona, si suiciderà in carcere a Roma nel 1930 lasciando alla tragedia di Milano l'appellativo di “la strage dimenticata”.

Marco Bragazzi


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