20 febbraio 2023

Quando Farinacci fu contestato per la prima volta al Ponchielli, nella primavera di 80 anni fa dai militari della Col di Lana. Un episodio mai raccontato sui libri

La prima feroce contestazione pubblica al fascismo nella terra di Farinacci, sei mesi prima dell’armistizio dell’8 settembre che inaugurò la stagione della Resistenza, e a quattro mesi di distanza dal primo comizio antifascista del 17 luglio in piazza del Duomo. E’ un episodio del tutto sconosciuto alle cronache e mai raccontato da alcuno storico, nè cremonese, nè tantomento nazionale, quello che accadde ottant’anni fa, la sera del 23 marzo 1943, ventiquattresimo anniversario della nascita dei Fasci italiani di combattimento, al teatro Ponchielli. A far luce su quella prima contestazione è stato, qualche non fa, un testimone oculare, Umberto Oggerino classe 1926, piemontese di Mondovì, allora solo diciassettenne.

Come l’episodio sia stato rimosso dalla memoria collettiva cremonese è facilmente comprensibile. Il quotidiano locale, organo ufficiale del regime, “il Regime fascista” diretto da Roberto Farinacci non ne accennò minimamente, e nella cronaca della giornata si limitò solo a pubblicare integralmente il discorso tenuto per l’occasione dal Federale e dal consigliere nazionale Bruno Biagi. Al termine dell’intervento di quest’ultimo toccò ancora al Federale chiudere la cerimonia secondo le consuetudini delle grandi adunate del tempo. Scrive il cronista: “La fanfara della Gil ha intonato nuovamente ‘Giovinezza’ mentre il Federale ordinava il ‘Saluto al Duce’. Gli ha risposto il possente ‘A noi’ dei fascisti e della folla presente”. Ebbene, non andò per nulla così. A rispondere fu dapprima un voce isolata che gridò “Saluto al re” a cui si unirono poi centinaia di altri soldati innescando una vera e propria contestazione che lasciò del tutto ammutoliti i gerarchi convenuti per l’occasione. Il giornale ovviamente non ne parla, ma l’attacco piuttosto dimesso dell’articolo, dove l’enfasi lascia lo spazio ad una retorica del tutto artificiale, lascia intuire qualcosa di più. “Il XXIV annuale della fondazione dei Fasci di combattimento - scrive l’anonimo cronista - ha riunito ieri, una volta ancora, attorno ai gloriosi gagliardetti della Rivoluzione, tutti i cuori fedeli e le volontà temprate al più duro sacrificio e il popolo che combatte dalla Russia all’Africa, il popolo che accetta in silenzio i gravi sacrifici che la guerra impone, deve fidare nel Regime come nei giorni in cui a questo Regime venne, le famigerate camere del lavoro. La fondazione dei Fasci di combattimento segna un punto fermo nella storia d’Italia: è l’inizio della Rivoluzione che, sola in tutte le rivoluzioni europee, trova in sè la forza della propria esistenza senza dover ricorrere a precedenti che la facciano, come nella russa, divenire l’ultimo - e ben tragico - atto di un lungo episodio; ed è quella che trova in una urgenza di necessità spirituale la possibilità di ogni rivoluzione e di ogni superamento per lo sviluppo storico e politico della civiltà europea. A queste verità - conclude l’introduzione - ha pensato ieri il popolo delle officine e dei campi, mentre nel quotidiano lavoro coopera alla vittoria delle armi della patria, mentre in silenzio, fiducioso, segue i suoi figli gloriosi che combattono per la grandezza d’Italia”. Una “tirata” con i connotati di un vero pamphlet che può spiegarsi con quanto accaduto la sera precedente. E’ lo stesso Umberto Oggerino che lo racconta: “Ero presente al fatto, una vera e propria adunata: anche se le cose iniziavano a mettersi male la propaganda del regime andava avanti. Per quell’occasione avevano adunato tutte le truppe presenti a Cremona e anche noi allievi della scuola militare di Milano sfollati, pur non avendo le stellette. Erano presenti anche altri reparti, come i Bersaglieri a cavallo. Mi ricordo che era stata una bella giornata di sole ed il teatro Ponchielli, che vedevo allora per la prima volta, era gremito. Quando il Federale ebbe finito il suo discorso, prima di sciogliere la manifestazione, come si usava aveva ordinato il saluto al duce. Nessuno ha risposto, mi ricordo un momento di terribile imbarazzo. Il gerarca, con tono irato, ha ripetuto ancora l’ordine: ‘Saluto al duce’. Solo allora dalla folla dei soldati si è alzata una voce isolata che ha urlato: ‘Saluto al re’, e poi un vero coro che ha inneggiato ancora alla monarchia. Ci fu un momento di confusione. Eravamo circa trecento militari ed alloggiavamo alla caserma Col di Lana, lasciata libera da poco da un altro reparto. Ci inquadrarono e ci riportarono subito in caserma. In verità anche prima di questo episodio avevamo ricevuto qualche blando rimprovero per i nostri atteggiamenti: gli ufficiali erano tutti monarchici e questa era considerata una moderata forma di antifascismo. In realtà vi era molto rancore nei confronti della milizia, per cui abbiamo ricevuto solo una reprimenda da parte dei comandanti, ma siccome si sospettava che fosse stato qualcuno di noi ad innescare la contestazione al gerarca, per alcuni giorni ricevemmo in caserma le visite del capo della polizia Milone. Ci chiamavano uno per uno, ma non è mai uscito nulla e l’omertà era stata assoluta. Alla fine il comandante, al quale dell’intera faccenda non importava molto, decise di consegnare in caserma l’intero battaglione per un certo numero di giorni. Ma anche questa punizione non fu esaustiva e dopo qualche giorno eravamo di nuovo tutti fuori”. Umberto Oggino, che poi è stato partigiano, ha deciso di raccontare quell’episodio perchè a Mondovì, dove risiedeva, si stava pubblicando un libro di testimonianze sulla guerra e la Resistenza e quel fatto, per la sua eccezionalità, gli è rimasto fisso nella memoria: le luci del Ponchielli, i picchetti schierati, i gerarchi fascisti su palco. Tutto questo doveva esercitare un forte fascino su un ragazzo allora giunto per la prima volta nella città del più fascista di tutti, il mitico Farinacci, con addosso la sua prima divisa. Ed a maggior ragione la conclusione inaspettata della grande adunata. 

Fabrizio Loffi


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commenti


Dirmi

20 febbraio 2023 11:39

Il 24 luglio del 43 al Gran Consiglio Farinacci aveva reclamato la restituzione del comando militare al re. LOL!

Michele de Crecchio

20 febbraio 2023 23:47

Eppure la tragedia nella quale il fascismo aveva gettato l'Italia non aveva ancora vissuto le sue pagine peggiori e, in particolare, mancava ancora più di un anno al bombardamento di Cremona... e non credo fosse ancora diffusa tra i residenti l'amara poesiola che mio padre, miracolosamente reduce dalla sciagurata campagna di Russia, tanti anni dopo, ricordava ancora molto bene: "Duce, duce, come ci riduce, il giorno senza pane, la notte senza luce!".

ennio serventi

21 febbraio 2023 09:14

Questa la recitava la sarta del secondo piano: duce tu sei la luce/e stanchi di questa luce/vogliamo stare al buio/ vattelo a pigliar............

Michele de Crecchio

22 febbraio 2023 12:11

Mi astengo dal ricordare le parole con le quali, mia madre, incinta all'ottavo mese del sottoscritto, rifiutò la proposta di aiuto venutale personalmente da Farinacci di fronte al fumo che si levava dalle rovine delle case di Porta Milano dove il bombardamento del 10 luglio 1944 aveva distrutto la nostra abitazione. Io nacqui un mese dopo, sfollato, nella casa-abitazione di mio zio ciabattino in quel di Monticelli d'Ongina.