3 maggio 2021

Quei mille cremonesi venduti al Fuhrer per lavorare con la Todt: ecco le loro schede. E c'è chi era fianco a fianco con Primo Levi

Le urla dal banco degli imputati si alzano rabbiose in quel 1946. Goering, Keitel, Von Rippentrop, Rosenberg lanciano insulti e urla come “Traditore! Vigliacco! Delatore!”, gli uomini della polizia militare e la giuria faticano a ricomporre il clima necessario per poter proseguire con l'udienza nel primo processo di Norimberga, perché furono diversi i procedimenti che si svolsero in quell'aula, processo rivolto ai principali vertici del nazismo. Le urla sono dirette alla seconda fila degli imputati dove, quasi nell'angolo verso l'uscita, Albert Speer ha appena finito di rilasciare la sua dichiarazione, una dichiarazione composta da pentimento sui fatti del nazismo e di ordini dati da Hitler da lui disattesi, il tutto condito con il suo progetto di avvelenare il Fuhrer riempiendo di gas il bunker di Berlino dove il dittatore passò le ultime settimane di vita. Speer era l'architetto del nazismo, di nome e de facto, perché aveva studiato architettura e aveva rivolto il suo lavoro come ministro del Reich alla progettazione e alla costruzione della Germania architettonica voluta da Hitler.

Oltre ai progetti edili Speer era il responsabile degli armamenti e, con la morte di Fritz Todt nel 1942, aveva preso in carico anche l'Organizzazione Todt, ovvero quella struttura che si doveva occupare di recuperare manodopera per costruire edifici o armi in Germania. Cremona, Posaglio, Capralba, Pieve d'Olmo, Soresina, Aguadello, Piasighitone sono i nomi dei paesi della provincia di Cremona che escono da quegli elenchi, nomi a volte scritti male o riportati peggio per tanti motivi, nomi che parlano di quei cittadini strappati alla pianura cremonese per finire a Bad Lautemberg, alla Krupp ad Essen, alla Thyssen o nelle miniere di Bochum. I “più fortunati” reclutati spesso a forza per dall'Organizzazione Todt finivano a lavorare in Italia alle strutture difensive come la linea Gotica sugli Appennini o nelle quelle aziende rimaste operative in Italia ma gestite praticamente dai nazisti. Sono circa un migliaio le persone che da Cremona, per vari motivi, vennero trasferiti nelle innumerevoli strutture tedesche di produzione destinate a mantenere la produzione bellica secondo i ben determinati standard voluti dal Ministero. Il numero rosso scritto a mano sui fogli  indica gli arrivi presenti sul foglio, arrivi confermati dall'identificazione di quelle persone come “Italiani” e “Lavoratori civili”, in pratica schiavi destinati ad una manodopera che significava la privazione di ogni libertà nel nome dell'Organizzazione Todt.

Uomini ma anche donne, finiti in quelle liste perché oppositori politici, ex militari o perché nel posto al momento sbagliato durante un rastrellamento casuale. I fogli con i lunghissimi elenchi di italiani non hanno sempre la stessa impostazione, forse in base al luogo o al periodo di arrivo sono più o meno analitici, su alcuni vi sono anche gli appunti sullo stato di salute con termini come diarrea o problemi respiratori che portano il civile ad “altra destinazione”. Hanno dai 55 ai 16 anni, ma nella tipica freddezza dei documenti dei nazisti si profila la vita di quelle persone che venivano trasferite come “scambio di lavoro” o che dovevano essere ricoverate in ospedale per infezioni, denutrizione o fratture dovute alle percosse.

Un cremonese finisce a Monowitz, reclutato per la fabbrica di gomma della Buna-Werke, complesso costato decine di migliaia di vite e mai entrato realmente in produzione. Tra i prigionieri di quel campo di lavoro, che dipendeva da quello centrale di Auschwitz, vi era anche Primo Levi, il quale racconterà con un crudissimo testo lo spaccato di quella schiavitù nella sua opera “Se questo è un uomo”. Per molti di loro la data di uscita è quella in cui le fabbriche verranno chiuse per l'arrivo dei russi o degli Alleati, per altri viene riportata, in fondo a destra la colonna la parola Todestag, ovvero data di morte. Su alcuni modelli di questi elenchi questa colonna è già prevista nel ciclostile, l'organizzazione data al lavoro di questi schiavi dal loro arrivo è spaventosa ma, agli occhi dei gerarchi, doveva essere anche perfettamente efficiente. Senza cedimenti pena il crollo della produzione bellica. Speer se la caverà con 20 anni di prigione per non aver voluto portare a termine l'operazione Nerone nel 1945, ovvero la distruzione pensata da Hitler di ogni struttura tedesca per fare terra bruciata della Germania, distruzione di strutture spesso costruite con la vita o il sacrificio di milioni di schiavi reclutati da tutta Europa.

Marco Bragazzi


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commenti


Ornella Righelli

3 maggio 2021 15:49

Ricordare ricordare per non ricadere

Massimiliano

17 luglio 2022 14:31

Non si capisce a che elenchi si riferisca l'autore ne dove siano conservati
Grazie per una riscontro