28 maggio 2023

Una vecchia lapide sui muri dei portici di Cella Dati racconta quando la piena Po (1654 e 1705) portò devastazione perfino in paese

“Fino qui, pieni di paura, vedemmo la furia del Po e vedemmo anche che pose qui i suoi confini il 4 maggio 1654 e il 7 novembre 1705”.

Una piccola lapide in marmo bianco, con un’iscrizione in latino poco leggibile: roba da vecchi, insomma, nemmeno ‘instagrammabile’ perché in una posizione non proprio fotogenica che, diciamo, non attirerebbe i like in bacheca. 

Eppure, è lì da oltre tre secoli per raccontarci una storia: del resto il marmo è un materiale serio, concreto, duro da incidere, che non ammette errori ed ha una memoria imbattibile. 

Ma che storia ci racconta mai questa piccola e modesta targa incastonata nel muro dei portici di Via Roma, a Cella Dati?

«Huc usque Eridani tremebundi aspeximus iras vidimus ast fines hic posuisse suos an 1654 4 May et 1705 4 Nov».  

Due tremende piene del Po, la prima nel maggio 1654 e la seconda nel novembre 1705, che fecero arrivare la furia delle acque del Grande Fiume fino ai gradini della chiesa di Santa Maria Assunta. 

Siamo appunto nel 1654, il paese si chiama ancora solo Cella e la maestosa Villa Dati è in fase di costruzione; la Via Giuseppina ovviamente non esiste ancora, è una strada in mezzo ad una campagna dove gli alberi crescono numerosi lungo le rive dei fossi. È appena passato un inverno mite e secco, le temperature sopra la media fanno sciogliere le nevi, che ingrossano fiumi e torrenti. Poi inizia a piovere e continua per giorni e giorni fino quando, il 4 maggio, le acque del Po sono talmente impetuose da rompere gli argini ed allagare tutta la campagna del Cremonese, Mantovano e Ferrarese. 

Più meno la stessa dinamica si ripete mezzo secolo dopo, nel novembre del 1705, portando ancora più devastazione e morte, oltre ad innescare negli anni a venire una grave crisi economica nelle zone alluvionate e distrutte.

Sembra cronaca dei giorni nostri, invece parliamo di eventi di secoli fa. Certo parliamo evidentemente di contesti molto diversi, a partire dal fatto che all’epoca non esistevano ancora gli argini come quelli che conosciamo oggi (il ‘maestro’ fu costruito solo all’inizio del secolo scorso), pertanto le acque invasero la bassa senza trovare ostacoli, seguendo la naturale pendenza del terreno.

Quello che non ci dice direttamente la lapide, ma che ci invita a scoprire facendo un po’ di ricerche storiche sempre interessanti, è che il corso del Po nei secoli passati era molto più a nord rispetto all’attuale. 

Anche la toponomastica ci conferma questa condizione: pensiamo per esempio a Sommo con Porto (frazione di San Daniele Po) che oggi si trova in golena, tra l’argine comprensorio ed il maestro, ma che deve il suo nome al fatto che in passato era affacciata direttamente sul Grande Fiume ed era appunto un luogo di attracco.

Anche alcune località oggi frazioni di Malagnino presentano nel loro nome la parola ‘lama’, un termine che in passato indicava i luoghi caratterizzati da presenza di acque lente e stagnanti: Santa Lucia Lama, Malongola (Lama Longula, contratto poi in una sola parola). 

Ci sono poi le leggende locali che narrano di episodi curiosi, legati alla presenza del Po in luoghi ora distanti dal fiume: tra queste una delle più curiose è una storia vecchissima che narra di un coccodrillo che uccideva i bambini nelle campagne del cremonese, dove abbondavano gli stagni, e che per questo un folto numero di uomini si adunò una notte in fiaccolata per andare a caccia della temibile bestia. Cose di altri tempi, ma sappiamo che ogni mito nasconde sempre un fondo di verità.

Non fu però solo il Po a plasmare la morfologia della ‘bassa’ Cremonese.

Da diverse fonti deriva infatti l’informazione che l’Adda avesse parte del suo corso proprio in questi territori: si narra, ad esempio, che la località Lagoscuro (Stagno Lombardo) oggi a pochi chilometri dal Po, derivi il suo nome da tre piccoli laghi che si formarono nella zona in seguito all’esondazione di un braccio del fiume Adda, che invece oggi scorre ben più distante. Anche lo storico Angelo Grandi nella sua opera ‘Descrizione della Provincia di Cremona’ parla in modo dubbioso del reale corso dell’Adda nei secoli passati poiché «non hannonsi che opinioni da alcuni storici ammesse, da altri non approvate» ed a parte alcune cartografie dell’epoca, non esistono documenti certi e concordanti.

Di certo sappiamo che la Pianura Padana è di origine alluvionale, nata e forgiata dalle esondazioni e dalle secche dei suoi fiumi; non ci deve stupire quindi che tornando indietro di qualche secolo, prima che l’attività umana, furono proprio i corsi d’acqua a modificarne più e più volte le fattezze e che da sempre gli abitanti di queste zone dovettero ingegnarsi per vivere in un ambiente caratterizzato da acque stagnanti ed esondazioni dei fiumi che la solcavano. 

(Incredibile quante storie ci permette di scoprire una vecchia lapide, se perdiamo qualche momento ad interrogarla!).

Michela Garatti


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