26 settembre 2021

Il cremasco Daniele Marignoni, portò l'Esperanto in Italia. Sua la prima grammatica

La prima volta che ho sentito parlare di Daniele Marignoni ero in quarta ginnasio, nell’inverno del 1967. Il prof. Bondioni di inglese era rimasto assente e il Preside, il prof. Palmieri, era venuto a farci lezione al suo posto. Ogni tanto lo faceva, in tutte le materie, nelle varie classi: aveva una cultura sconfinata. La lezione era sul Beowulf. Per mezz’ora il Preside ci ha letto brani del poema in anglosassone antico, variante sassone occidentale, ripetendo gli stessi brani in inglese contemporaneo, sottolineando le differenze. Poi ci ha spiegato che l’inglese era ormai la lingua internazionale dei nostri giorni, come un tempo lo era stata la koinè greca, sulla quale noialtri già ci affannavamo, tra la grammatica del Pieraccioni e il vocabolario del Rocci. Infine, il Preside ci ha detto dei tentativi fatti in precedenza per trovare una lingua universale che consentisse a tutti gli uomini di comprendersi e fraternizzare. È allora che ho sentito nominare per la prima volta l’Esperanto, Ludwik Lejzer Zamenhof e Daniele Marignoni. Siamo rimasti tutti sorpresi e orgogliosi nel venire a sapere che il più grande esperantista italiano, Marignoni, era cremasco. Un cremasco importante, su cui il Preside stava ormai concludendo la sua lezione. Allora non c’era il web ma solo la biblioteca comunale, ancora al primo piano del Sant’Agostino. Giorni dopo ci sono andato e ho scoperto di più su Daniele Marignoni.

Daniele Giulio Paolo Gaetano Marignoni era nato a Crema il 1° gennaio 1846, nella parrocchia della Santissima Trinità. La famiglia era benestante: il padre Luigi era medico e la madre, Ester Carioni, veniva da una famiglia nobile cittadina. Di sangue nobile i Marignoni avevano una parte non trascurabile, con ascendenze Zurla, Bondenti, Terni. Avevano anche un po’ di sangue Racchetti. Insomma, appena nato Daniele Marignoni faceva già parte dell’establishment cremasco e poteva quindi vivere e studiare, come i suoi sei fratelli, con tutti gli agi e le rassicurazioni di ceto e di censo che a quel tempo si confacevano ai rampolli dell’alta borghesia cittadina.

Dopo la laurea in legge, Daniele diventa un esperto di amministrazione e tecniche contabili. In quanto agiato “possidente”, non ha problemi economici e infatti dichiara di non avere “una professione ufficiale di alcun tipo: sono un ex aiuto notaio, mi applico alla stenografia, tengo i libri e la cassa di diverse amministrazioni”. Viaggia molto e diventa un vero poliglotta. È il tipico uomo “positivo” del secondo Ottocento, tra scienza umana e coscienza umanitaria, cultura e ricerca, “virtute e canoscenza”. Sceglie di restare celibe e pratica un regime alimentare vegetariano. Diventa esperto di Stenografia, sviluppando tecniche e sistemi innovativi. Pubblica un manuale in cui riprende e migliora i metodi stenografici di Marco Vegezzi. La sua competenza amministrativa lo porta a pubblicare un testo di “budgetografia”, remoto antesignano degli attuali manuali di management sulle applicazioni di bilancio e sui budget economici. Col tempo il suo interesse principale diviene quello per la linguistica. Studia i tentativi svolti per ottenere una lingua universale, che faciliti le relazioni tra gli uomini. Appaiono chiare le matrici culturali e intellettuali di queste propensioni universalistiche, di questa mentalità internazionale e cosmopolita. Si interessa alla “Lingua Volapük” di Johann Martin Schleyer e alle altre “lingue artificiali”. Finché, durante uno dei suoi soggiorni a Parigi, tra il 1888 e il 1889, conosce e studia l’Esperanto di Zamenhof, basandosi sul volume da questi pubblicato nel 1887.

Inizia qui la passione di Daniele Marignoni per l’Esperanto. È spesso in viaggio ma è a Crema che, nel marzo 1890, cura la pubblicazione, presso la Tipografia di Carlo Cazzamalli, della prima grammatica di Esperanto in lingua italiana: “Esperanto ossia la più pratica delle lingue internazionali. Manuale compilato e corredato di copiosi esempi e di vocabolario”. Negli anni successivi intrattiene una fitta corrispondenza con molti esperantisti e col fondatore, Zamenhof. Diventa uno dei principali esponenti dell’esperantismo internazionale e nel 1905, al primo Congresso Universale dell’Esperanto, che si svolge in Francia, a Boulogne-sur-Mer, viene eletto tra i componenti del Comitato Direttivo (l’allora “Lingva Komitato”) incaricato di curare lo sviluppo della lingua Esperanto e di tutelarne la corretta applicazione e diffusione. È molto attivo in Europa, con conferenze, relazioni e pubblicazioni. Diversi suoi scritti sono oggi conservati presso il Museo dell’Esperanto a Vienna. Contribuisce alla causa esperantista anche in senso finanziario, sostenendo con generosità le iniziative e le necessità del movimento. Come molti esperantisti, Marignoni è un convinto europeista e crede in un’Europa unita, soprattutto grazie a una lingua comune e a valori culturali condivisi. Nonostante queste esperienze internazionali, conserva un consapevole sentimento di italianità. Mantiene un forte legame con la città natale e torna spesso a Crema, nell’abitazione in cui mantiene la sua residenza.

Una curiosa coincidenza mi ha portato a conoscere meglio questa sua abitazione. Diverso tempo fa mi sono trasferito con la famiglia in una casa posta nel vecchio Cantòn dei Ciabattini, divenuto poi una via intestata al pittore Giovanni Battista Lucini. Sul confine a ponente della casa corre un antico muro, oltre il quale si trova un’altra casa, che fa angolo con il vecchio Cantòn di Sant’Antonio, oggi via Benzoni. Il nome derivava dalla chiesa di Sant’Antonio Abate, che è attaccata insieme al suo campanile a questa casa d’angolo. La chiesa ha però il suo fronte d’ingresso a settentrione, sulla vecchia Contrada d’Ombriano, oggi via XX Settembre. Ebbene, da questa casa vicina alla mia, vedevo uscire spesso dei sacerdoti. Uno di loro era don Emilio Redondi, il responsabile della chiesa di Sant’Antonio. Tra vicini, si sa, succede di conoscersi e di scambiare ogni tanto quattro parole. È così che ho scoperto, parlando con don Redondi, chi abitava un tempo in quella casa vicina alla mia: proprio Daniele Marignoni.

Il ceppo familiare dei Marignoni veniva da Ombriano, dove aveva dimora dall’inizio del Settecento. Poi i genitori di Daniele avevano abitato a Crema in Vicolo Lungo, l’attuale via Tensini. Infine si erano stabiliti in questa casa d’angolo tra il Cantòn dei Ciabattini e il Cantòn di Sant’Antonio. Daniele era cresciuto qui. E qui era sempre tornato dai suoi viaggi all’estero, affacciandosi alle finestre che vedo ancora oggi, sopra l’antico muro di confine tra il suo cortile e il mio. Infine, qui era spirato il 28 gennaio 1910, venendo sepolto nel cimitero di Crema il successivo 31 gennaio. L’attuale presenza di alcuni sacerdoti deriva dal fatto che un’anziana nipote di Daniele Marignoni aveva ceduto alla curia vescovile di Crema la casa di famiglia in tempi recenti. Una curiosità: il campanile di questa chiesa, noto a Crema anche per certe sue scampanate meridiane, risulta visibile unicamente dalla casa già dei Marignoni o dalla casa confinante a levante. Proprio Daniele Marignoni è autore di un testo dal titolo “Campane e campanilismo a Crema, a proposito della chiesa di S. Antonio Abate. Starnuti di Daniele dott. Marignoni”, Tipografia San Pantaleone di L. Meleri, Crema, 1903.

Don Emilio Redondi è passato a miglior vita nel 2015, dopo aver pubblicato un libro sulla chiesa di cui è stato per tanto tempo il rettore e il custode, trattando anche degli edifici adiacenti: “La Chiesa di Sant’Antonio Abate in Crema. Arte, Architettura e Devozione popolare”, Tipografia Trezzi, Crema, 2011. La casa di Daniele Marignoni, aderente alla chiesa, era in origine un edificio religioso in cui si curavano le malattie della pelle, allora definite fuoco sacro, una sorta di ospizio conventuale gestito dagli Antoniani, presenti a Crema fin dai tempi dei Visconti. Sia la chiesa che il “conventino”, dove venivano curati pellegrini e residenti di ambo i sessi, costituivano un’area posta sotto la guida di un Priore e di alcuni religiosi, esperti in arti mediche verso quel genere di patologie, dette anche fuoco di Sant’Antonio, per le quali da sempre erano richiesti i buoni uffici di tale Santo. Naturalmente, viste le attribuzioni di Sant’Antonio Abate, anche la periodica benedizione degli animali, il 17 gennaio, rientrava tra le competenze di questo centro religioso cittadino.

Mi piace poi ricordare, sempre a proposito di Daniele Marignoni, un’esperienza che mi è accaduta in relazione a una vicenda oggi poco nota: quella dell’Isola delle Rose. Mi trovavo per ragioni di lavoro a Bologna, alcuni decenni fa, e tramite una conoscenza comune avevo casualmente incontrato l’ing. Giorgio Rosa, in modo del tutto fortuito, in un ristorante del centro. Non sapevo nulla della storia dell’Isola delle Rose. Fatto sta che, dopo le presentazioni, quando l’ing. Rosa ha saputo che venivo da Milano (dove aveva sede la società per cui lavoravo) ma che ero originario di Crema, con un grande sorriso mi ha detto: “Allora lei è concittadino di Marignoni!”. È in quella circostanza che ho scoperto per caso la vicenda della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose (Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj), proclamatasi Stato indipendente il 1° maggio 1968. Il mio interlocutore, a distanza di parecchio tempo, manifestava ancora entusiasmo per quell’avventura, per lo spirito che l’aveva animata, per gli ideali esperantisti e per il cremasco Marignoni. Il nostro colloquio, del tutto casuale, era durato solo mezz’ora. Ma l’impressione che mi aveva fatto quel signore già anziano, che conosceva Marignoni più di tanti cremaschi, è rimasta molto viva nel mio ricordo.

In realtà, l’ing. Rosa non era un esperantista e chi fece applicare l’Esperanto in quel contesto fu Albino Ciccanti. Dall’avventura dell’Isola delle Rose è stato ricavato un mediocre romanzo nel 2013 e un men che mediocre film nel 2020, entrambi molto poco aderenti alla realtà dei fatti. Meglio leggere quanto ne ha scritto, sempre in anni recenti, il protagonista di quell’avventura. L’ing. Giorgio Rosa, Capo di Stato dell’Isola delle Rose dal 1° maggio 1968 al 26 febbraio 1969, è venuto a mancare a Bologna nel 2017, all’età di 92 anni. Del territorio di quella Repubblica a lingua Esperanto, una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati sorta nel mare Adriatico a circa 11 chilometri al largo di Rimini, al di fuori delle acque territoriali italiane, non resta più nulla se non qualche relitto sul fondale marino, dopo le demolizioni attuate dai sommozzatori della Marina Militare italiana.

Tutto sommato, rispetto ad altri cremaschi un tempo importanti, dei quali oggi non esiste quasi più memoria, di Daniele Marignoni qualche traccia è rimasta. Nel 1956 gli è stato intitolato a Milano, in via Melzi d’Eril, un Istituto Professionale per il Commercio, con una targa commemorativa in marmo ben visibile nell’atrio dell’edificio: “A Daniele Marignoni, che primo introducendo in Italia lo studio dell’Esperanto, lingua universale, offrì agli uomini di buona volontà un efficace mezzo per meglio conoscersi ed affratellarsi, docenti ed alunni dedicano”. Negli anni Settanta il Comune di Crema gli ha intitolato una pubblica via. Nel 2005 le sue spoglie sono state trasferite nel Famedio del cimitero di Crema, dove riposano i resti dei cittadini più illustri. Infine nel 2019, a Cremona, presso la sede dell’Associazione Culturale A.D.A.F.A. (Amici dell’Arte - Famiglia Artistica), è stato costituito il Circolo Interlinguistico “Daniele Marignoni”. Già la Strenna A.D.A.F.A. per l’Anno 2006 (XLVI) aveva presentato su Daniele Marignoni un pregevole saggio del prof. Davide Astori (pp. 183-199).

Concludo aggiungendo che il prof. Ugo Palmieri (1915-1984), Preside del liceo Racchetti dal 1963 al 1980, conosceva molto bene le tematiche esperantiste e la figura di Daniele Marignoni. Nel 1957 aveva scritto il saggio “Dalla Torre di Babele all’Esperanto”, pubblicato su “Realtà Nuova”, Rivista del Rotary Club d’Italia, n° 8/1957, pp. 736-748. Il testo si trova anche in “Ugo Palmieri. Scritti di linguistica e critica letteraria”, Leva Artigrafiche, Crema, 2002, pp. 13-29. Lo scritto nasce forse come relazione rotariana: infatti in calce risulta “Rotary Club Crema”. Alla fine del testo si richiama il Congresso del Rotary Club International svoltosi a Zurigo nel 1931, durante il quale si affermò l’importanza e il valore dell’Esperanto. Un collegamento in più, per me, che come rotariano dello stesso club, il Rotary Club Crema, condivido appieno quanto dice il mio Preside al termine di questo saggio: “Mi sia permesso di concludere, auspicando che ben presto il comune consenso sull’uso di un’unica lingua ausiliare semplifichi e renda più intense le relazioni internazionali, favorendo sempre maggiormente la conoscenza reciproca tra i popoli e contribuendo all’avvento di una pace durevole nell’operosa concordia di tutte le genti”. Purtroppo, sappiamo che le cose non sono andate così, e non solo in campo linguistico, soprattutto in campo geopolitico internazionale. Ma questi erano gli stessi ideali di Daniele Marignoni e di tutti gli uomini di buon intendimento, buona volontà e buoni costumi, che da sempre operano con spirito di servizio per un mondo migliore.

Nelle foto Daniele Marignoni, la sua grammatica Esperanto, il Campanile di Sant'Antonio e la sua casa 

Pietro Martini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti