"Fare squadra". Non basta il trombettiere che suona l'adunata
«Facciamo squadra». Alcuni anni fa era il must di ogni riunione, incontro, discorso, intervento di politici, sindacalisti amministratori pubblici. Qualsiasi oratore - anche minchione e venditore di fumo – in presenza di una platea superiore ai quattro amici al bar inseriva nell’arringa la salvifica esortazione. In his verbis vinces e non ce n’era per nessuno.
Non usciva documento senza il miracoloso Facciamo squadra, panacea che risolveva i problemi del territorio e spaccava il culo ai passeri, espressione popolare per definire un risultato straordinario. Ma i passeri non sono stati sfiorati e lo squadrone che tremare il mondo fa si è dissolto. Anzi, non è mai nato.
«Vedo molta divisione - ha dichiarato tre settimane fa Francesco Buzzella, presidente degli industriali della provincia di Cremona - negli stakeholders tipo associazioni di categoria, singoli territori che purtroppo viaggiano molto per campanilismi in un’ottica solo personale» (Cremonasera, 30 marzo)
Il Cremasco guarda verso Milano. Il Casalasco verso Mantova. Ma non marciano divisi per colpire uniti. Marciano divisi per rimanere divisi.
Cremona si osserva nello specchio. Si compiace d’essere la più bella del reame, incurante delle Biancaneve del territorio. Accidiosa e supponente, rifiuta il concetto di squadra. Non le appartiene. Se è costretta a partecipare alla formazione è la fuoriclasse alla quale tutti devono sottostare, pretesa che qualche volta stimola considerazioni irrispettose e risposte poco confacenti ad una aristocratica decaduta.
Il suo sindaco si accorda con le società partecipate per un piano energetico, ma ignora i colleghi delle altre municipalità provinciali coinvolte. Patria di bovini, Cremona è convinta che i residenti nel contado abbiano l’anello al naso e possano essere condotti dove fa comodo a lei, ma è un grave errore di presunzione. Malmostosa, le mancano gli attributi del leader e l’intero territorio è penalizzato. Non unisce. Divide. Irrita.
La provincia, secondo l’ex presidente Giuseppe Torchio dovrebbe essere luogo di confronto (Cremonasera, 15 aprile) per i comuni. È una pia illusione
La provincia è un’ameba senz’anima. Non induce passioni. Non attrae. Non coinvolge. È sopportata. È un male necessario.
La recente vicenda legata al Masterplan 3c, che l’ha vista protagonista, è un concentrato di errori e inettitudine. Inutile rivangarla. Meglio stendere un velo pietoso.
Il risultato del «Facciamo squadra» in salsa cremonese è un territorio provinciale balcanizzato, guidato da una pletora di re travicelli e vassalli fedeli e ossequiosi al sire e con una spiccata simpatia al pensiero unico.
Capi e capetti meritano però rispetto. Sono brave persone. Attente a non agitare le acque della dantesca morta gora, sono carenti di attributi virili, ma il coraggio non si acquista al supermercato. Non gladiatori e neppure scassapalle. Non inutili. Sono indifferenti. Non procurano danni. Perdono occasioni.
Discreti, preferiscono le retrovie alla prima linea, ma non disdegnano di comparire sui media locali per raccontare banalità e snocciolare la lista della spesa del lavoro svolto. Si considerano custodi del Verbo e si reputano i più sgaggi del contado, ma si fanno fottere i gioielli di famiglia dai vicini di casa. Allora strillano. Come i bambini.
Non conoscono l’autocritica e si autoassolvono per gli errori commessi. Per rimediare alla propria inefficienza chiamano il trombettiere che suona l’adunata. Come nei film western. Ma in tempi di politicamente corretto, ma soprattutto di insipienza politica delle giacche blu, vincono gli indiani. Dispiace per John Wayne, ma non tanto.
Il mondo viaggia in Ferrari e Porsche. Cremona preferisce l’Aquilotto della Bianchi o il Motom 48, tuttalpiù la gloriosa Gilera 125. Invece di guardare avanti si volta indietro. Rischia di rimanere di sale, ma tutto va bene madama la marchesa. Come nei racconti di nonni e bisnonni.
In queste settimane, il «Facciamo squadra» è tornato alla ribalta. Meglio tardi che mai, a patto che non rimanga uno slogan.
Il Pd ha lanciato la proposta. Il centrodestra e la Lega l’hanno raccolta e posto alcuni paletti, ma lo spazio per il confronto esiste. Se sono rose fioriranno e in tempo di pandemia un pizzico di ottimismo non nuoce.
Per dirla con Flaiano la situazione è grave ma non seria. Però urge trovare un vaccino per evitare che diventi incurabile. Che quel culo intatto dei passeri sia d’aiuto.
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