30 ottobre 2025

Pierpaolo Pasolini, 2 novembre 1975. La verità monca dell'Idroscalo

Sono passati cinquant’anni dall’assassinio di Pierpaolo Pasolini. Il 2 novembre 1975 è un giorno rimasto impresso nella memoria. Mi permetto un ricordo personale. Quando quella mattina dal Telegiornale arrivò la notizia che il suo corpo era stato ritrovato in un campetto dell’Idroscalo di Ostia, ero in montagna con amici per trascorrere i giorni dell’estate di San Martino. Parlammo di cosa era accaduto e di politica sino a notte fonda. Allora non si parlava ancora degli influencer e di banalità simili. Era anche appena avvenuto il massacro del Circeo.

Poi ci sono stati processi. Nella sentenza di primo grado, scritta da Alfredo Carlo Moro, fratello dello statista, Pino Pelosi era stato condannato per aveva ucciso Pasolini “in concorso con ignoti”. Gli “ignoti” sono poi scomparsi nelle sentenze successive. Ma anni di ricerche di giornalisti d’inchiesta e nuove testimonianze hanno sgretolato la ricostruzione ufficiale secondo cui Pelosi avrebbe fatto tutto da solo.

Non è possibile che Pelosi, detto non a caso “Pino la Rana, abbia da solo sopraffatto e ucciso in quel modo Pierpaolo Pasolini, un uomo più forte e robusto di lui. Troppo gravi le lesioni sul corpo, quasi massacrato, del poeta. Un corpo su cui era passata più volte una autovettura, forse l’Alfa GT di Pasolini, forse anche un’altra vettura, in modo incompatibile con la semplice fuga di Pelosi, alla guida, dal luogo del delitto. E poi rumori e grida di più persone e di più vetture sentite a lungo quella notte dagli abitanti delle “baracche” intorno e non ascoltati, per incapacità e approssimazione investigativa dalle autorità di Polizia, ma solo dai giornalisti che avevano avvicinato e sentito quei testimoni.

Alla fine, nel 2005, Pino Pelosi, ha ammesso di avere avuto solo il ruolo di esca e che lo scrittore era stato aggredito da un gruppo che li attendeva a Ostia, sulla cui identità è stato molto “cauto” parlando solo di due malavitosi siciliani ormai morti. Pasolini era stato attirato all’Idroscalo con la promessa di riscattare, Pasolini aveva con sé i soldi, le bobine di “Salò”, il suo ultimo film, rubate nell’agosto 1975 negli stabilimenti della Technicolor.

Poi, purtroppo quasi in punto di morte, Sergio Citti ha confermato che Pasolini intendeva riavere le bobine a tutti i costi, anche a suo rischio personale.  E la Commissione Antimafia della scorsa legislatura ha accertato con nuove testimonianze che in seguito, qualche mese dopo, proprio quelle bobine erano state fatte ritrovare da elementi della criminalità, per allentare la pressione e ottenere qualche vantaggio, ad un agente dei Servizi e rimesse al loro posto.

Una trappola quindi, non un incontro finito male, ma ad opera di chi?

All’inizio degli anni ‘70 Pasolini stava ponendo mano ad un progetto di “processo”, culturale non giudiziario ovviamente, al potere identificato nella Democrazia Cristiana, o meglio nella sua degenerazione, che aveva anche consentito e beneficiato degli effetti delle stragi e delle altre manovre eversive di quell’epoca. Insieme a questo progetto con il colossale romanzo Petrolio, rimasto incompiuto, lo scrittore intendeva denunciare il potere economico, raffigurato nel padrone dell’ENI Eugenio Cefis che stava teorizzando la prevalenza dei grandi potentati economici e delle multinazionali sulla politica svuotata e ridotta ad un ruolo servente.

Non voglio con questo dire che l’omicidio Pasolini sia stato un delitto direttamente politico, cioè commissionato da coloro che erano gli obiettivi del suo lavoro culturale. Non ve ne sono le prove e se così fosse, ad esempio, forse Pino Pelosi non sarebbe rimasto vivo a lungo.

Ma certamente è stato un delitto politicamente orientato e sfruttato.

È stato un delitto di “influenza” per poter descrivere Pasolini che ne è stato vittima come una persona negativa e pericolosa in grado di sviare la gioventù non solo per le sue tendenze ma anche per le sue idee in qualche modo corrispondenti ad esse. Il delitto è stato ricostruito e commentato esclusivamente nella cornice dell'uomo “malato”.  Solo quella poteva essere la sua fine e così era stato. Ed è stato così realizzato l’intento di svilire solo come un anormale chi criticava il sistema di potere.

Allora era facile. La violenza pura e gratuita contro gli omosessuali esisteva in modo molto violento più di oggi e senza possibilità di appellarsi alla giustizia e alla pubblica opinione che erano sordi. Oggi non è più così, anche a destra ci sono esponenti politici omosessuali e nessuno farebbe la campagna politica contro l'omosessualità equiparandola magari alla droga o alla sovversione.  Allora invece era un marchio sull’intera persona.

Non è difficile immaginare chi siano stati gli autori materiali di quell’omicidio tribale: elementi della malavita più violenta e agguerrita che stava prendendo il potere a Roma, stava nascendo la Magliana, o elementi dell’estrema destra che già avevano disturbato le prime dei suoi film, come “Mamma Roma” e consideravano il film Salò uno sfregio.

Non credo che sulla morte di Pasolini, dopo ripetute e svogliate archiviazioni, vi siano molti spazi per una soluzione giudiziaria.

Tuttavia può essere costituita, come chiesto inutilmente in passato, una Commissione Parlamentare d’Inchiesta che, seppur con obiettivi limitati e anche senza la presunzione di raggiungere la verità, possa ascoltare chi, a conoscenza di quella vicenda, è ancora vivente e alla fine condensare, almeno sul piano storico, in una sua relazione quanto ormai si sa sulla morte dello scrittore.

Sarebbero un omaggio dovuto ad uno dei grandi protagonisti della cultura e anche della storia del nostro paese.

Un’ultima riflessione.  Nel 1974 Pasolini aveva scritto che “l’Italia è un paese che diventa sempre più stupido ignorante” dove regna il consumismo e dove il conformismo di sinistra si accompagna ormai a quello di destra.

Chissà cosa avrebbe scritto oggi dei giovani accalcati in fila davanti ai negozi in cui è in vendita l’ultimo modello di smartphone. Più che una critica la sua è stata una profezia.

Guido Salvini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti