Le reliquie di sant’Omobono
Ero molto piccolo quando per la prima volta mi hanno accompagnato nella cripta della cattedrale di Cremona; ho ancora un vago ricordo di come in quel tempo si presentava il corpo del santo patrono: tutto coperto tranne che il volto. Ricordo ancora quel teschio che si intravedeva stando all’interno della cripta. In occasione delle celebrazioni dell’VIII centenario della morte del santo (1997-1999) quel volto è stato coperto con una maschera d’argento che riproduce la probabile fisionomia del santo. Quel che resta di Omobono è lì, traslato dalla chiesa che porta ancora il suo nome, l’8 giugno 1614 in occasione della “memorabile processione” guidata dal vescovo Giovan Battista Brivio, al termine della quale tutte le reliquie dei santi cremonesi sono state collocate nello stesso luogo.
Per la verità quel che resta di Omobono non è solo in cattedrale. Lì ci sono le reliquie del corpo: venerate, visitate, osservate da molti cremonesi e non solo, che in cripta si recano per una visita devota o turistica. Quel che resta di Omobono è soprattutto la sua carità, la sua attenzione per i poveri, la sua cura per la pace. Il vescovo Antonio nell’omelia della Messa del 13 novembre ha voluto ricordarlo ai presenti e a tutti i cremonesi, mettendo in luce il legame tra la carità di questo grande uomo del passato e l’esortazione apostolica Dilexi te di Papa Leone XIV.
Un accostamento certamente immediato, facile, ma non banale. A distanza di così tanti secoli dalla fine del XII secolo il grido dei poveri accomuna la città di Omobono e le città di oggi, le città di un villaggio globale in cui molti gridano, in cui il grido di qualcuno è amplificato attraverso i mass media mentre il grido di altri è soffocato dal disinteresse e dall’indifferenza.
Raccogliere le reliquie di Omobono può significare per noi avere il coraggio di guardare, di voler guardare e ascoltare chi grida e chiede aiuto. Si tratti di qualcuno a noi accanto, si tratti di qualcuno da noi lontano. Ascoltare il suo bisogno, per fare qualcosa: mettere mano alla borsa (come si è abituati vedere raffigurato Omobono) oppure per un cambiamento strutturale che permetta di vincere le condizioni che affossano l’uomo nella povertà.
Il Vescovo Antonio nella sua omelia ha richiamato, fra gli altri, un passaggio della lettera del papa in cui si dice che la “mancanza di equità è la radice dei mali sociali” (Dilexi te 94). Questa affermazione diventa invito all’impegno per costruire l’equità, quell’equità che nella Seconda Lettera ai Corinzi san Paolo richiamava invitando i cristiani di Corinto a dare con generosità in favore dei fratelli di Palestina: “Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza” (2Cor 9,13-14).
Si tratta di un pensiero profondamente sociale che da san Paolo giunge a Papa Leone, passando per sant’Omobono. Un pensiero che ci invita a riscoprire i fondamenti della Dottrina sociale della Chiesa, un tempo così profondamente sentita nei circoli cristiani, nelle parrocchie, nella formazione all’impegno politico e partitico. Oggi, non dico dimenticata, ma certamente messa un po’ tra parentesi. Non c’è amor fraterno senza amore per Dio, ci si sente di dire come cristiani, ma è necessario aggiungere che non c’è amore per Dio se non c’è anche amore, concreto e pratico, verso gli uomini. Sarebbe bello se fra le reliquie di Omobono che la chiesa cremonese custodisce ci fosse il desiderio e l’impegno per riappropriarsi all’interno di associazioni, circoli e parrocchie dei contenuti della dottrina sociale, anche solo come ispirazione etica per le nostre scelte nella costruzione della polis, da intendersi come la città, il paese o la nazione in cui viviamo.
Mentre scrivo richiamo alla mente un quadro del pittore Angelo Bertolini (1940-2024) dipinto nel 1998. Raffigura sant’Omobono, è un quadro scuro quasi buio; dietro il profilo del santo, il cui volto è visibile solo da molto vicino, brilla la sagoma di una croce, a mo’ di aureola. In questo concentrato di tinte scure emerge, quasi emanante luce, la mano del santo, che stringe fra le dita un pezzo di pane. È in quel gesto di carità che brilla tutta la vita di un uomo, tutta la vita di sant’Omobono. Di lui non sappiamo la grandezza del giro degli affari, non sappiamo l’estensione delle proprietà. Di lui ricordiamo il gesto umile della carità, economica e pacificatrice. Questa luce che proviene dai suoi gesti e dalla sua preghiera ha rischiarato una città che a lui ancora oggi guarda con simpatia affetto ed ammirazione. Sia questa luce fra le reliquie la più preziosa e la più bella, fonte di ispirazione per il nostro futuro.
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