Avvocati e archivi, storie di patria, libertà e diavolerie
Martedì sera ho avuto il piacere di presentare l’ultima fatica letteraria del già Procuratore Generale Francesco Nuzzo, realizzata su richiesta dell’Ordine degli Avvocati di Cremona e Crema. Una “spigolatura” come l’ha chiamata l’autore, di fatti storici dal Medioevo ad oggi che narrano la storia della professione forense nei territori di Cremona e Crema.
Scriveva D’Annunzio ne L’allegoria dell’autunno che il Mediterraneo è il “mare fatale ove la Grecia svelò al mondo la bellezza, Roma la Giustizia e la Giudea la Santità”. Ecco, il contributo universalmente riconosciuto e indiscusso dell’Italia alla civiltà umana è proprio la Giurisprudenza, nel senso latino dell’essere prudens e cioè esperto, profondo conoscitore. L’aver codificato in modo ancora oggi esemplare le regole della convivenza civile, cavando l’uomo dal buio della legge della violenza, sono il nostro più importante dono alla storia, ed è forse anche per questa genetica o ontologica predisposizione alla norma che siamo il Paese con il maggior numero di avvocati pro capite, con i processi più lunghi e con la burocrazia più elefantiaca: laddove primeggiamo, là straripiamo.
Dunque in un Paese con cotanto pedigree, la storia del diritto, e quindi anche dell’avvocatura, e la storia degli archivi e della scrittura corrono da sempre in vicendevole e prolifico rapporto, così come la storia dei nostri territori e dell’intero Paese.
L’influenza del diritto sugli sviluppi morfologici e sociali di un territorio, e di una nazione, è dirimente: in Italia, il Settentrione da sempre più vicino alle legislazioni francesi e nord europee, ha visto uno sviluppo commerciale molto più spiccato, una frammentazione territoriale diffusissima e parallelamente una evoluzione della piccola proprietà che ne ha fatto in un certo senso la fortuna economica ma una certa inconsistenza politica. Il Meridione al contrario, per secoli impostato sulla legislazione normanna e baronale, che vedeva il primato della primogenitura, l’indivisibilità degli enormi latifondi, la dimensione feudale prevalere su quella locale e imprenditoriale, quella pubblica su quella privata, ha in questo buona della sua rovina economica, ma col tempo una indiscutibile centralità politica e un fortissimo radicamento nelle strutture dello Stato.
A livello locale, molte sono le similitudini: Crema, che un tempo era appannaggio del primogenito del Duca di Milano, viene definitivamente ceduta a Venezia dalle sventure di Filippo Maria Visconti, e con la Serenissima rimarrà per tre secoli, mutuandone la legislazione commerciale e territoriale, impostata su una buona autonomia che fece del cremasco quel territorio ancora oggi dinamico e spiccatamente imprenditoriale. Cremona per contro, rimanendo nell’alveo milanese, e quindi poi spagnolo e austriaco, ha mutuato una dimensione più austera, una economia più agricola e basata su grandi latifondi, e in un certo senso una compattezza politica più centralizzata che ancora oggi ne determina la prevalenza istituzionale su Crema.
Il diritto dunque incide profondamente sulla società, ma anche sulla trasmissione e conservazione della sua storia, che è sempre documentale. La scrittura e la documentazione si sono sempre evolute assieme al diritto, e viceversa. La scoperta della penna d’oca nell’alto medioevo, e la conseguente potenziata capacità di redigere documenti, promosse e facilitò il passaggio dalla legislazione della spada a quella degli editti e del diritto. Allo stesso modo, la stragrande maggioranza delle nostre fonti documentali nascono e si tramandano per esigenze giuridiche.
Non a caso, il più antico documento italiano, una pergamena del VII secolo d.C. conservata all’Archivio di Stato di Milano, è un contratto: il passaggio del mundio (una sorta di potestà cui tutti i longobardi dovevano essere sottoposti, o del capofamiglia, o dell’esercito, o della Chiesa) dal padre al marito di una tale Anstruda, che il diritto e la conservazione documentale hanno consegnato alla storia.
Di fatto, tutti i grandi documenti della storia sono atti giuridici, dai trattati di pace alle concessioni di terre e titoli fino alle commissioni delle grandi opere d’arte. E di fatto, prima che la Legge Rudinì del 1893 provvedesse a incaricare i Comuni e le Province della cura dei propri archivi e che questi enti assumessero una centralità totale nella gestione della società locale, la nostra storia è narrata degli archivi delle parrocchie, degli ospedali, della famiglie patrizie e in grandissima parte dai fondi documentali delle professioni giuridiche, avvocati, notai e dei tribunali.
Pertanto, anche il ruolo delle professioni giuridiche è stato, con pesature alterne, protagonista nella storia degli archivi e della patria: non è un caso che sempre, nei momenti storici di spinte rivoluzionarie ed indipendentiste, nei periodi repubblicani comunali e pre risorgimentali, il ruolo e il peso degli avvocati e dei professionisti cresce, in quanto anche fascia colta di una borghesia che cercava di sostituirsi alle vecchie aristocrazie. Moltissimi avvocati furono i primi rivoluzionari, carbonari, massoni, e perfino ideologi della svolta totale, come Giuseppe Mazzini. Non è un caso che proprio dopo il Fascismo e un ventennio di privazioni dei diritti, moltissimi avvocati ebbero ruoli centrali non solo nella Resistenza, sia bianca che rossa, ma anche nella ricostruzione del paese che ruoli politici di primo piano sia locale che nazionale, quali sindaci e ministri.
Per contro, ad ogni stretta assolutistica il ruolo e il peso degli ordini forensi decrebbe sensibilmente: fu così sotto i il Fascio e le dominazioni assolutistiche, benchè proprio gli austriaci, grandissimi riformatori, imposero l’accesso alle professioni per cursus studiorum e non per censo: tradotto, per diventare avvocati (e in generale professionisti) occorreva prima di tutto il titolo di studio, e poi la posizione sociale.
Insomma, ci fa bene ricordare con libri come questo di Nuzzo, che la professione forense ha avuto e deve avere ben altro ruolo e spessore di quello in cui oggi è spesso relegata, causa anche la burocratizzazione devastante delle professioni e il cinema americano che degli avvocati ha spesso fatto la quintessenza di ogni male, fino a far scegliere ad Al Pacino nei panni di Satana proprio il mestiere dell’Avvocato, del Diavolo...
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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