20 luglio 2025

Marta e Maria, fare e ascoltare

Quando leggiamo un libro, arrivati ad un certo capitolo, non dimentichiamo quanto fino a quel punto ci è stato raccontato, come se tutto cominciasse nuovamente ogni volta che riprendiamo la lettura. Nemmeno trattiamo un romanzo come se i suoi capitoli e i suoi paragrafi fossero una raccolta di racconti indipendenti, scollegati l'uno dall'altro. 

Allo stesso modo non possiamo leggere i testi domenicali del Vangelo come se fossero sezioni indipendenti e slegate l'una dall'altra.

La comodità di leggere i racconti degli evangelisti in brani non ci autorizza a non tenere conto del contesto di ogni pagina, per questo è d'obbligo ricordare quel che precede e non dimenticare che qualcosa seguirà.

Tenere presente questa ovvia considerazione, mi sembra particolarmente utile nella lettura del brano di Vangelo che ci parla dell'incontro di Gesù con Marta e Maria.

Se lo consideriamo in modo indipendente, il racconto sembra parlarci di un primato dell'atteggiamento di Maria rispetto a quanto vissuto da Marta, come se fosse una parabola o una storiella edificante che vuole mandarci un messaggio unico e chiaro.

Se lo leggiamo in continuità con quanto ascoltato la scorsa domenica, ci rendiamo conto che il testo di oggi amplifica e chiarifica la risposta di Gesù al dottore della Legge che lo ha interrogato. 

Quest'uomo aveva chiesto a Gesù cosa dovesse "fare" per ereditare la vita eterna e al termine dell'incontro, Gesù lo aveva invitato a fare quello che dal Samaritano aveva imparato.

Eppure in quel dialogo il fare rivolto al prossimo si accostava e seguiva il fare verso Dio, consistente nell'amarlo con tutto noi stessi, con tutto ciò che ci costituisce: cuore, anima, forza e mente. 

Ora, possiamo continuare, la situazione teorica passa alla pratica. Gesù è il prossimo che chiede di essere accolto e Marta si preoccupa della sua accoglienza attraverso un significativo fare, affinché il Signore sia ben ospitato.

Maria invece compie una scelta diversa: accoglie Gesù non attraverso il fare dei gesti, ma attraverso un ascolto sincero, profondo, persino fuori luogo secondo le leggi del tempo, poiché non era opportuno che un maestro insegnasse ad una donna e quindi che una donna gli si mettesse ai piedi per imparare da lui.

In questo modo ci viene detto che tanto quanto è importante il "fare", poiché la Legge e il Vangelo non possono restare rinchiusi in una teoria che non abbia ricadute concrete e materiali, non è meno importante che questo fare si nutra di un rapporto vero e profondo con il Maestro.

Per il cristiano il fare è frutto della fede, l'agire conseguenza della speranza, l'amore per il prossimo deriva direttamente dall'amore per Dio.

Se leggiamo in modo solitario il racconto della scorsa domenica, ci sembra che solo il fare conti per ereditare la vita eterna. Se isoliamo il racconto di questa domenica, ci sembra che solo il rapporto di ascolto di Maria sia importante e solo questo atteggiamento conti, così che la vita contemplativa debba superare per importanza la vita attiva, come molte volte si è detto a partire dal testo di Luca sul quale oggi meditiamo.

Se leggiamo in Vangelo nella sua interezza, ci accorgiamo che non c'è una scelta che annulli ogni altra. Il servire deve nutrirsi di ascolto, dice Gesù a Marta, tanto quanto ascoltare la Legge deve spingerci a servire i fratelli, dice Gesù al dottore che lo ha interrogato, pena la riduzione della Legge a religiosità solo esteriore.

Senza isolare l'atteggiamento di Maria, chiediamoci oggi quale sia il nostro rapporto con il Signore; quanto nel nostro modo di vedere e di pensare conti il tempo speso ai piedi del Maestro nella preghiera, quel tempo dato a Dio in cui sembra che non si faccia nulla e che per questo potrebbe apparirci inutile.

Talvolta mi sembra che anche noi siamo ammalati di efficientismo per le nostre vite spirituali e per la spiritualità delle nostre parrocchie, per cui quello che preoccupa sia il fare in merito a bilanci, strutture, attività, celebrazioni, riti, gesti. Poco importa se quel che facciamo ha o meno profondità. Nella sua prima parabola Gesù ha raccontato di un seme che germoglia ma secca per mancanza di acqua (cfr. Lc 8, 6). Forse è un po' così anche la vita di alcuni di noi che ricordano le belle esperienze vissute in parrocchia, all'oratorio quando erano più giovani. Ricordano le uscite, i campi estivi o invernali, anche le Messe celebrate da piccoli. “Che bello”, si dice, bello  come ogni cosa bella legata alla nostra infanzia, bello ma senza ritorno, senza acqua che oggi  ancora disseti e faccia vivere nel tempo quel che un tempo è stato.

Maria ci spinge a ridare gusto al fare di Marta, perché non sia bello solo come ricordo e faticoso come presente. Nutrito di Dio il fare diviene vita eterna e si libera dall'affanno del risultato e dall'efficientismo; si libera dal dare per scontato che vivere comportamenti religiosi valga solo per un certo periodo della vita; si libera dalla struttura da tenere in piedi costi quel che costi, dentro l'anacronistico "si è sempre fatto così e pertanto va bene che si faccia ancora".

Maria ci insegna la parte migliore che fonda il servizio di Marta e l'agire del Samaritano detto buono.

È anche per questo, però, che Maria da sola non si basta: ha bisogno di una Marta che faccia senza affanno e di un Samaritano che metta in pratica gratuitamente la parola. 

Senza risolvere il problema di cosa sia più importante, il brano di oggi ci richiama a non dimenticare che il Vangelo non è qualcosa di semplice, una norma da applicare o un insegnamento da sapere.

Il Vangelo è una stereofonia dello Spirito in cui gli opposti non si escludono, ma si integrano.

Il Vangelo ci chiede orecchi per ascoltare, come Maria; mani per fare, come il Samaritano; un cuore colmo di Spirito Santo, come Gesù per amare Dio e il prossimo e dall'amore riconoscere ciò che è bene e ciò che è giusto attuare nelle diverse situazioni della vita.

 

Francesco Cortellini


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