Breccia di Porta Pia e Giacomo Pagliari, simboli di liberazione per tutti
C’è tanta confusione quel giorno alla Porta Pia di Roma. Fortissima la tensione. Gli occhi di tutta Europa sono puntati su ciò che sta per accadere. I militari ne sono consapevoli; anche Giacomo Pagliari sa che quella sarà, è, una giornata storica.
Figlio di una famiglia di fittavoli agrari di Persico (Cr) Giacomo non segue l’attività del padre, sceglie la carriera militare. Con altri soldati venuti da tutta Italia, si trova dinanzi alle mura di quella Roma che ancora non è la capitale d’Italia. Chissà cosa pensa dell’Urbe, ricca di antichità classiche, così diversa dai luoghi che conosce. Alcune foto presso il Museo Storico dei Bersaglieri a Porta Pia, lo ritraggono la sera prima dell’attacco: si taglia il pizzo. Non lo sa che quella sarà la sua ultima battaglia. Ha 48 anni. Progetta di tornare a casa, fantastica un ritorno alla caccia, agli amici.
«Siamo sotto le mura di Roma, si attende da un momento all’altro l’ordine di entrare», scrive in quella che è la sua ultima lettera. Tranquillizza la famiglia: «Godo perfetta salute: sai che la vita di campo forma uno dei miei più cari divertimenti».
C’è poi un’altra nota, diversa la grafia: «Gli ufficiali del battaglione spediscono la qui acclusa trovandosi il Maggiore gravemente ferito ed in pericolo, per ferita riportata il 20 settembre ore 10».
La ferita è mortale. Giacomo Pagliari, posto al comando del 34° Battaglione Bersaglieri, reduce dalle campagne del 1848, 1849, di Crimea, 1859, 1866 e 1870, diventa “l’Eroe di Porta Pia”: medaglia d’oro al valor militare alla memoria. La sua fine è rappresentata in molte opere d’arte.
Uno dei tanti eroi, spesso ignorati, sconosciuti, dimenticati, del nostro Risorgimento. Chissà quanti, transitano davanti alla lapide di Pagliari, posta nel cortile di Palazzo comunale, conoscono la storia di questo loro illustre cittadino; chissà quanti tra i passanti della viuzza dalle parti della Porta Pia a Roma, sanno del suo sacrificio. Per inciso: chissà se davvero è stato ucciso, come riportano certe cronache, “dal piombo mercenario zuavo”, oppure, per beffa, da cosiddetto “fuoco amico”.
E’ caduto. E’ morto per Roma capitale. E’ morto il 20 settembre 1870 alla Porta Pia.
Un anniversario importante (o almeno dovrebbe esserlo); i bersaglieri entrano a Roma e con loro l’Italia. Finisce il potere temporale del Vaticano. Finalmente la città diventa la capitale di quell’Italia vagheggiata fin dai tempi di Dante e di Nicolò Machiavelli; quell’Italia per la quale tanti eroi di quel Risorgimento non a caso male studiato e raccontato, sacrificano tutto, spesso anche la vita. Dovrebbe essere un giorno di festa. Non lo è. E’ un anniversario da pochi ricordato.
C’è dunque una sorta di dovere: non lasciarci deprimere dalla miseria che è un po’ il segno dei tempi che viviamo; non ci si deve stancare di lavorare e agire per tempi migliori. L’anti-Risorgimento, per cui tanti lavorano, non deve prevalere.
Dunque, il 20 settembre giorno di festa. Per laici e credenti: per quanti fanno loro il cavourriano motto “Libera chiesa in libero Stato”. Oggi, nel nostro Paese è più diffusa di quanto non si creda un’esigenza laica. Da intendere non solo come esigenza di una voce che si differenzi dal coro delle tante altre che l’avversano, la ignorano o fingono di accettarla riducendola a formula insignificante, vaga. Essere laici è una certa concezione dei rapporti che devono regolare lo Stato e le Chiese. È una dottrina dello Stato e della politica. È una concezione “liberale” che contempla il senso dei limiti di ciascun potere nello Stato; la consapevolezza che le Chiese non possono essere assimilate ai “corpi” dello Stato; è sapere che lo Stato ha il diritto-dovere di tutelare l’assoluta aconfessionalità dei suoi organi. Laico è forza autonoma, intesa non come accumulazione di privilegi, ma come libertà liberatrice. Sono le esigenze, i valori che costituiscono la cifra di uno Stato moderno, al di fuori dei quali non c’è vita libera e civile.
La breccia di Porta Pia, e Pagliari, sono dunque il simbolo di una liberazione per tutti noi. Uno sprone per difendere quelle libertà, quei diritti – che vanno mazzinianamente coniugati ai “doveri” - per cui tanti hanno lottato, e ancora oggi, sono minacciati e vanno difesi, tutelati; ulteriormente ampliati.
Valter Vecellio, giornalista, direttore della rivista “Proposta Radicale”
consigliere generale del Partito Radicale
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