Chi danneggia la città?
Non c’è niente da fare: tutte le settimane un nuovo annuncio: imminente apertura di un supermercato, una nuova media superficie, un nuovo store. Ormai le nostre città sono diventate la cuccagna della grande distribuzione. È un processo che viene da lontano e che provoca gravi danni a tutti gli abitanti: sparizione dei piccoli negozi, aumento smisurato del traffico privato per raggiungere i luoghi di acquisto, desertificazione dei centri storici.
Il risultato è devastante: private delle botteghe, che per varietà e numero le rendevano animate lungo il loro percorso, molte strade urbane si sono impoverite fino alla desertificazione. La conseguenza è che sono divenute insicure. La nostra urbanità si fonda su poter frequentare lo spazio pubblico aperto delle strade e delle piazze. Senza la frequentazione dei pedoni sui marciapiedi, gli affacci degli androni e senza un’equilibrata e differente distribuzione di attività al piano terra delle case, viene a mancare un elemento fondamentale che rende la strada frequentabile e la vita del cittadino migliore. Inoltre perché le strade urbane si possano definire un luogo dell’abitare collettivo necessita che gli edifici che vi si affacciano siano abitati. Ormai sono sempre più frequenti le case dismesse, abbandonate, vuote. Senza gli abitanti le strade muoiono, anche le più belle.
È chiaro che non si può trattare la città come una merce urbana, da vendere, comprare, usare come un prodotto di consumo. La città è un’importantissima invenzione dell’umanità, un bene comune di primaria importanza, come l’acqua o come l’aria. Non è giusto privatizzarla.
Di fronte a questi grandi problemi la risposta dei comuni è sempre la stessa e denota il sostanziale fallimento delle politiche urbane. È evidente che la disciplina urbanistica rivela la sua inadeguatezza di fronte ai notevoli cambiamenti cui assistiamo, in un certo senso ha perso il senso della realtà. Oggi i problemi sono complessi e gli specialisti non ascoltano abbastanza la città assumendo un carattere prescrittivo e burocratico. Così, abbiamo sotto gli occhi un'urbanistica fallita, basata su dati quantitativi, su metri cubi, una specie di "metrocubismo" che non è una corrente pittorica degli inizi del ‘900, purtroppo è molto peggiore. Un'urbanistica incapace di stare in contatto con le cose e con le persone: angusta, che semplifica il complesso, che è calata dall’alto, che crea separazioni tra teoria e pratica, frutto di calcoli puramente virtuali senza una vera partecipazione.
A Cremona il Piano di Governo del Territorio prevede nuove aree edificabili produttive e commerciali per quasi ottocentomila metri quadrati, pari a centosessanta nuovi campi di calcio!
A Crema il Piano di Governo del Territorio prevedeva dieci anni fa un aumento di nuove case pari a diecimila appartamenti. Risultato: gli appartamenti esistenti vuoti e non utilizzati sono superiori a duemila.
Questi dati ci fanno capire come siano strumenti fuori dalla realtà e che tutti i discorsi sul recupero, sulla densificazione, sulla qualità urbana, sul consumo del territorio risultino belle favole che si scontrano duramente con la realtà dei fatti. In sostanza chi recupererà mai un vecchio edificio, un piccolo negozio o un’area dismessa se ci sono a disposizione milioni di nuovi metri cubi da realizzare a costi più contenuti? Nonostante le belle dichiarazioni di principio, in sostanza il vero risultato perseguito nei fatti è l’espansione edilizia e lo spreco senza fine.
È giunto quindi il tempo di invertire la rotta, di cambiare punto di vista, di aguzzare l'ingegno per cercare di contrastare la deriva che ha segnato il nostro recente passato. Così, anche in questi tempi difficili, sperare di migliorare le nostre città, le nostre periferie, i nostri centri storici, il nostro territorio, il nostro ambiente, cercare di conservare il nostro patrimonio in maniera non museale e mummificata ma al servizio dell'uomo sono azioni e propositi realmente raggiungibili, sono attese concrete alla nostra portata. Conseguentemente è proprio dalle città medie come le nostre che può venire un futuro di sviluppo intelligente senza una crescita esagerata che, purtroppo, è divenuta molte volte escrescenza. I nostri spazi urbani che funzionano da mille anni funzionano anche oggi, eccome. Conviene imparare dal passato coniugandolo con il nostro presente. Le città svolgeranno anche un ruolo cruciale nel riequilibrio dei fattori associati allo stress economico e psicologico, ridurre gli inquinanti e attenuando l'impatto ambientale causato dai trasporti, dalle fabbriche e dal tessuto urbano. La rivoluzione dei trasporti è fondamentale per impostare una mobilità più intelligente: le strade non sono fatte solo per le automobili. Certo, è necessario cambiare il nostro modo di concepire le città per non ripetere gli errori del passato con interventi massicci imposti dall'alto nel completo disinteresse per la vita reale degli abitanti, conviene quindi riattivare la partecipazione (sono le persone che contano), l'ascolto, l'umiltà dell'architetto condotto (come il medico di famiglia che ci manca tanto in questi tempi di pandemia), recuperare la memoria del passato di materiali e di sapienza non scritta dell'artigiano utilizzando tuttavia le tecnologie di oggi, concepire l'architettura non come un gioco formale ma come la capacità di accrescere la qualità della vita degli abitanti. Penso che con tanti piccoli rammendi (recuperando questa pratica del passato proposta da Renzo Piano nel nostro gruppo G124 al Senato), tante piccole "agopunture urbane" realizzate con importi limitati con una grande diffusione e in tempi di realizzazione brevi, qualcosa potrà cambiare. Forse non è utopistico cercare di ipotizzare una nuova economia che si occupi della cura delle città abbandonando per sempre il vizio del “metrocubismo”.
Siamo pieni di edifici vuoti, anziché costruirne di nuovi, il nostro compito è di riabitarli rigenerando quelli abbandonati con nuovi usi tutti da inventare. Perché non provarci?
Architetto
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commenti
Gualtiero Nicolini
7 maggio 2021 16:11
Totale fallimento delle istituzioni
Michele de Crecchio
7 maggio 2021 20:09
La colpa dell'attuale tragedia non è, però, della disciplina urbanistica, ma del modo sciagurato nel quale tale disciplina è oggi applicata (anzi meglio sarebbe dire: "non è applicata" !) in troppi comuni e, in particolare, in quello che, essendo capoluogo provinciale, dovrebbe dare l'esempio agli altri.