Dio non si compra, lo si incontra!
Dopo averci condotto nel silenzio e nell’austerità del deserto, dove abbiamo saggiato la qualità della nostra libertà interiore, dopo essersi saliti sul monte Tabor, sul quale è stato manifestato cosa sarà l’uomo se segue Cristo, in questa terza domenica di Quaresima la liturgia ci conduce nel grandioso tempio di Gerusalemme, per fare luce sulla nostra idea di Dio e sul rapporto che abbiamo instaurato con lui.
Gesù sta percorrendo il grande cortile dei gentili, cioè quella area accessibile ai pagani che desideravano incontrare scribi e sacerdoti per conoscere il Dio di Israele. Proprio in quello spazio facevano i loro affari i venditori di animali per i sacrifici rituali e i cambiavalute, le offerte per il tempio, infatti, dovevano essere fatte con una speciale moneta, non certo con quella che aveva impresso il volto dell’imperatore di Roma.
Si può immaginare la baraonda e la ressa che regnava in quel luogo che, al contrario, doveva preparare alla preghiera e all’incontro con il mistero di Dio. Ma più che la confusione e il vociare scomposto Gesù è infastidito dal commercio che si è creato e dalla mentalità che ne consegue: l’idea, cioè, che Dio sia in vendita, che, attraverso un sacrificio o un’offerta in denaro, si possa piegare o manipolare il volere divino ai propri limitati orizzonti umani.
Dio lo si incontra, non lo si compra!
Una delle grandi tentazioni dell’uomo di ogni tempo è quella di cercare di ingabbiare Dio, di addomesticarlo: Egli diventa una sorta di assicuratore che garantisce un futuro tranquillo e prospero. Prego, mi comporto bene, faccio le mie offerte alla Chiesa, accendo le mie belle candeline dinanzi alla Madonna però, poi, il Signore deve proteggermi, deve assecondare i miei progetti, le mie aspettative e desideri. Per certi versi siamo ancora legati all’antica mentalità del mondo pagano romano: “do ut des”, offro per ricevere. La divinità va placata, va ammansita, va rabbonita attraverso dei sacrifici, delle elargizioni in denaro, anche attraverso il proprio impegno morale: faccio il bravo, evito di fare dei peccati così il Signore non mi punisce, anzi mi premia!
Gesù rifiuta tutto questo perché il Dio che viene ad annunciare non mercanteggia il suo amore, non vende assicurazioni sulla vita, non concede attestati di benemerenza. Dio ama al di là del merito, delle opere buone che compiano, degli atteggiamenti virtuosi che osserviamo.
Dobbiamo imparare a ribaltare quella becera e infruttuosa visione moralistica che è stata inculcata a tante generazioni di credenti: il cristiano non si comporta bene per conquistare la benevolenza di Dio e meritare il Paradiso, ma tenta di vivere “evangelicamente” perché ha scoperto di essere amato immeritatamente e preventivamente e di aver già assicurato un posto nel Regno dei Cieli. La morale cristiana non può e non deve essere alimentata dalla paura – ci può essere un amore sostenuto dalla paura? -, ma dalla gratitudine, dallo stupore, dall’incanto!
C’è anche un’altra subdola tentazione oltre a quella di voler comprare Dio ed è quella di sfidarlo! Subito dopo il clamoroso gesto della cacciata dei mercanti dal tempio, i giudei pretendono da Gesù un segno che dica la sua autorità, un biglietto da visita che mostri i suoi titoli divini!
Non facciamo così anche noi? Nei momenti di prova o dinanzi a scelte difficili non scrutiamo minacciosi il Cielo pretendendo da Dio una prova tangibile della sua presenza, una risposta chiara che diradi le tante nubi del dubbio? Quante volte ci siamo detti o abbiamo sentito dire: “Se il Signore è buono perché non si manifesta chiaramente nella mia vita?”.
Gesù rifiuta questa visione delle cose: egli non vuole imporre Dio con la forza dell’evidenza, ma attraverso la logica dell’amore! Per questo l’unico segno che è disposto a concedere è quello, tanto inevidente quanto potente, della risurrezione. Nessuno ha assistito a quell’evento prodigioso, ma molti, ritornando in loro stessi e interrogando seriamente il loro cuore, ne hanno gustato gli effetti, le conseguenze. Dio non offre bacchette magiche che deresponsabilizzano, ma alleanze che chiedono all’uomo un contributo di abbandono, di fiducia, di impegno.
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