Notevole e destinato a lasciare il segno -o a meritare di lasciarlo- il recente discorso rivolto dal premier Draghi alla plenaria del Parlamento europeo. E non alludo al ricettario delle urgenti priorità enunciate per tenere a galla un continente con l’acqua alla gola, quanto piuttosto al metodo rivendicato per poterle efficacemente affrontare. Cioè convertire da propositi in fatti. Il mito dell’unanimismo come condizione necessaria di ogni decisione è al
canto del cigno. La drammaticità del momento attuale, specie riguardo al reperimento di fonti energetiche sostitutive del rubinetto russo e alla sicurezza militare, esige che l’Europa si muova con prontezza, modificando le procedure previste dai Trattati e passando dalle decisioni prese all’unanimità, generatrici di veti incrociali e rivalità intergovernative, alle decisioni prese ‘a maggioranze qualificate’. In verità, nessuno meglio di noi italiani può condividere la ragionevolezza di questo bisogno di agilità procedurale e fermezza decisionale. Troppe volte l’indecisionismo delle nostre
politiche, travestito da ossequio democratico e pavidamente preoccupato di non scontentare nessuno e consultare tutti – compresa una consistente quota di asini abilmente travestiti da cavalli da corsa – ha condotto alla paralisi decisionale. Cosa di cui, specie in materia di risorse energetiche e mancata autosufficienza, cominciamo a pagare, in lacrime e sangue, l’esorbitante costo. Ciò non toglie che i buoni e legittimi argomenti messi in campo dal premier si prestino anche ad ulteriori e più articolate considerazioni. Specie se li assumiamo come indizio – e che indizio – dell’Europa che verrà e del mondo che s’annuncia.
E’ francamente difficile, ascoltato Draghi, evitare l’impressione che parole alte ma problematiche, cariche d’anni e di storia, come democrazia e libertà siano giunte a un cruciale tornante della loro lunga e travagliata vicenda. Tornante da cui usciranno fatalmente, e per certi aspetti impietosamente, ridisegnate. Draghi parla chiaro: gli originari strumenti procedurali di cui la Comunità europea dispone dal suo costituirsi sono invecchiati e inadeguati. Ma il transito verso una più incalzante e radicale domanda è inevitabile: sono superati solo gli strumenti o è superata anche l’originaria prospettiva politica e ideale che nel secondo dopoguerra intendeva costruire un’autentica Europa dei popoli, federazione di Stati cementata dai valori tipicamente politici e morali di democrazia e libertà? Ed eccoci costretti a misurare la distanza fra la nostra realtà, ormai implacabilmente rimodellata e dominata dal primato del fattore economico-tecnologico, rispetto a un’Europa che, a ceneri ancora calde del secondo conflitto mondiale, si muoveva e ragionava sulla base delle fortissime pulsioni politico ideali legate alla recente lotta anti totalitaria. Lecito dunque supporre che l’espressione ‘’federalismo pragmatico’ abilmente introdotta da Draghi come nuovo orizzonte dell’azione comunitaria sia il massimo che realisticamente si può concedere a logiche di continuità fra l’Europa dei Padri fondatori e quella di cui oggi siamo costretti a rivedere in senso più verticistico e apicale, oltre che più rapido, le procedure decisionali. E pare già di sentirlo l’immancabile mugugno dei demagoghi. Draghi è banchiere, è un potente amico dei potenti e, in quanto tale, è per definizione antidemocratico e nemico del popolo.
Aria fritta. Draghi dice le cose come stanno. E lo fa con linguaggio impeccabile. Un gesuita non avrebbe potuto dir meglio dovendo dichiarare una verità traumatica facendola passare per modifica procedurale. Piaccia o no, questo è: in ogni senso e ad ogni livello istituzionale, investiti e travolti dalla nebulosa ma indubbia gestazione di un nuovo ordine mondiale, andiamo verso crescenti concentrazioni elitarie dei poteri decisionali e delle procedure consultive. Cos’altro immaginare peraltro in un futuro che s’annuncia ferocemente concorrenziale e selettivo, costretto a trovare la quadra fra emergenze ambientali, economiche, sociali e strategico militari che esigono una più duttile e adeguata strumentazione istituzionale?
Se ancora esiste qualche anima candida sinceramente convinta che il trend storico in cui ci troviamo abbia in serbo maggiori quote di democrazia, libertà e magari pace, continui a sognare e veda di non svegliarsi. Draghi è onesto banditore del mondo dietro l’angolo: un mondo elitista, tecnocratico e decisionista che ridisegnerà il rapporto fra società e potere in termini non propriamente favorevoli alla pittoresca geografia dei bastian contrari che hanno movimentato le nostre piazze e spesso paralizzato l’iter di sensatissimi provvedimenti.
Occidente in marcia verso uno strisciante autoritarismo di marca orientale? Certo che no. La differenza resterà capitale, specie riguardo al trattamento riservato alle opposizioni interne: l’Est le avvelena, incarcera o sopprime fisicamente. L’Occidente le ignora e lascia vivere. Dettaglio non marginale, specie dal punto di vista dei diretti interessati. Ma che il potere si stia tecnicamente attrezzando per farci digerire pillole amare e scelte socialmente dolorose è indubbio. Non si passa senza danni collaterali attraverso due traumi temporalmente ravvicinati e di segno diametralmente opposto: prima una selvaggia globalizzazione dei mercati a gestione multinazionale, poi la scioccante interruzione del processo e il ritorno alla logica dello steccato, del muro contro muro, delle economie che si riavvitano su stesse, impegnate nella dolente conta dei danni. Sarà pura coincidenza ma Giulio Tremonti, che sopperisce alla mancanza di simpatia con non comune dotazione profetica, commentando lo stato di salute del nostro governo ha parlato della necessità di dotare almeno due o tre ministri-chiave di responsabilità e poteri decisionali straordinari, una specie di nocciolo duro, di super governo nel governo, in grado di affrontare le tempeste sociali del prossimo autunno. Anche a pandemia declinante pare proprio che dai commissari straordinari non riusciamo a liberarci. Tutti siamo uguali, Costituzione alla mano, ma nelle emergenze evidentemente occorre che alcuni siano più uguali degli altri. Pochi ma buoni? Lecito sperarlo. E soprattutto doveroso adoperarsi per pretenderlo.
vittorianozanolli.it
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