Guerre. Dimenticate o ignorate?
Tornare a Crema ogni volta da un viaggio è una boccata di ossigeno. Non è un posto che mi distrae dal mio lavoro ma semmai il luogo dove posso far decantare le cose che ho visto e che appagano la curiosità del mondo che mi ha spinto a fare il reporter. Ma oltre alla curiosità, alla quantità di informazioni raccolte, deve decantare anche il dramma della condizione umana di chi vive il tempo della guerra. Non per volerlo dimenticare ma semmai per metterlo meglio a fuoco.
Nel tornare a casa questa volta a fine marzo, sento fischiare venti di guerra anche nel mio Paese e nella Vecchia Europa, che sembrava essersi liberata da un fardello che, alla fine, è solo sangue, sudore e morte. Eppure averla vista la guerra, è sicuramente un antidoto a volerla immaginare come protagonista del nostro futuro. Darne conto diventa dunque un dovere morale che va ben oltre quello di informare.
L’ultimo conflitto che ho seguito e continuo a seguire è quello che si svolge in Myanmar, quella regione che gli inglesi chiamavano Birmania. Tre anni fa, un golpe militare ha impedito che nascesse il secondo governo democratico capeggiato dalla Nobel Aung San Suu Kyi. Il 1° febbraio del 2021, pochi mesi dopo le elezioni che avevano nuovamente confermato la vittoria del suo partito, i carri armati sono infatti tornati nelle strade, trasformando in pochi mesi un movimento pacifico di protesta contro i golpisti in una guerra civile dove l’uso delle armi è ormai l’unico dialogo che esiste e, per molti, possibile.
L’Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled), un centro di ricerca che misura il grado di violenza dei singoli Paesi, ritiene il Myanmar uno dei quattro luoghi del pianeta dove la violenza è la protagonista assoluta: gli altri sono – potete immaginarlo - l’Ucraina e Gaza, seguiti dalla Siria, un Paese dove, nell’immaginario collettivo, la guerra dovrebbe essere finita da un pezzo. Sempre secondo Acled il Myanmar può mettere a bilancio, dal colpo di stato militare del 2021, un numero di vittime stimato ad almeno 50mila persone, tra cui 8mila civili. Una media di 50 morti al giorno.
Di questa guerra e di altre – che spesso definiamo “dimenticate” ma che sarebbe più corretto chiamare “ignorate” – parleremo il prossimo 5 aprile proprio a Crema – con la collega Alice Pistolesi - alla Sala Cremonesi, ospiti del gruppo “Costruttori di pace”.
Lo faremo sulla scorta di un atlante cartaceo che ogni anno viene pubblicato dall'Associazione 46mo parallelo di Trento che ha però una redazione diffusa e la sede del suo sito Internet – atlanteguerre.it – proprio a Crema e in parte a Empoli, dove Alice risiede. Questo “Atlante delle guerre e dei conflitti del Mondo”, diretto e fondato da Raffaele Crocco, un ex giornalista del servizio pubblico, fa dell’amara contabilità della guerra la sua ragion d’essere. Di tutte le guerre. Non solo di quelle sotto i riflettori. Quante e dove sono, conclamate o sotto traccia, dirette o indirette, concluse o imminenti. Eventi non sempre così lontani come sembrano, in un mondo dove uno starnuto a Pechino si riflette sul Corno d’Africa e un’arma prodotta in Europa finisce tra le mani di un soldato, un guerrigliero - ma anche di un terrorista - dall’altra parte del globo. E’ difficile – scusate la tautologia - combattere la guerra. Soprattutto armati solo di carta e penna (oggi diremmo di schermo e tastiera). Ma darne conto ed esserne informati è forse il primo passo per ripudiarla come ci raccomanda la nostra Costituzione. Non mi sembra dunque una scelta ideologica. Semmai una decisione sana per evitare di dare una mano a far scomparire la specie umana, animale e vegetale dal nostro pianeta.
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