Il nostro cuore? Si acquieta solo quando si perde nell'infinito
Quando le domande rivelano un orizzonte limitato, quando il cuore è rapito solo da piccoli meschini interessi, quando il desiderio di giustizia è in realtà inquinato dalla cupidigia, quando dietro la difesa dei principi c’è solo la voglia di affermarsi e di imporsi sull’altro, Dio non può che voltare la faccia, sottrarsi, chiudere le orecchie all’ascolto. Ed è quello che fa Gesù di fronte alle richieste, umanamente sensate, del protagonista del Vangelo di oggi che lamenta di essere stato trattato ingiustamente dal fratello nella divisione dell’eredità paterna. La legge ebraica prevedeva che il primogenito ricevesse la porzione più consistente, mentre tutti gli altri godessero di una parte minima: probabilmente a costui non è stato corrisposto neanche questo segmento di beni e si rivolge al Maestro di Nazareth per reclamare ciò che gli spetta.
Questo brano dell’evangelista Luca rivela che non tutte le preghiere vengono ascoltate e soprattutto esaudite da Dio. Gesù non solo non risponde al quesito, ma, sempre con molta pazienza e benevolenza, redarguisce il suo interlocutore ricordandogli che la bramosia dell’avere è un dittatore severo e intransigente che accartoccia il cuore dell’uomo impedendogli di creare delle relazioni autentiche e profondo con gli altri, sempre considerati in maniera funzionale, mercantile!
Questo atteggiamento di Gesù dovrebbe essere un monito per ciascuno di noi credenti avvezzi a parlare con Dio! Che cosa gli chiediamo mentre preghiamo? Quali sono le intenzioni che innalziamo al Cielo perché siano da Lui esaudite? Come abbiamo detto più volte i desideri che coltiviamo dicono la profondità del nostro cuore, lo spessore della nostra umanità, l’indirizzo che vogliamo dare alla nostra esistenza. Ebbene se sono desideri che amplificano la nostra capacità di amare Dio e il prossimo, che hanno come orizzonte il bene, come fine la carità, come meta la vita eterna, certamente il Signore esaudirà quanto gli chiediamo, ovviamente nei modi e nei tempi che Lui ritiene più consoni. Viceversa se le nostre richieste riguardano solo l’accumulo e la difesa dei beni materiali, la sicurezza economica, traguardi sempre più ambiziosi nella carriera lavorativa, la salute e mai la salvezza, difficilmente il Signore presterà attenzione!
Gesù non accoglie la richiesta di quell’uomo perché in essa non c’è amore, ma solo la ricerca del proprio interesse personale. Egli sa che l’esaudimento di quell’accorato appello porterebbe il richiedente a chiudersi ancora di più nel piccolo orticello delle proprie bramosie, invece che di aprirlo ad uno sguardo diverso sul prossimo e sulle cose.
Cristo, infatti, desidera che ciascuno di noi conquisti la libertà interiore, un sano distacco dalle cose, da ciò che solo apparentemente soddisfa e realizza il cuore dell’uomo! Lo diciamo tutti e ne siamo anche quasi convinti che l’essere è meglio dell’avere, che va ricercato l’essenziale e non il superfluo, che non la “roba” (per usare un termine caro a “Mastro Don Gesualdo” di Giovanni Verga) ma l’amore danno vita e pienezza. E vediamo anche cosa ha portato questa smodata voglia di accumulare e di esibire in termini di povertà valoriale e di disgregazione sociale nella nostra società: la tanta violenza cui assistiamo atterriti ogni giorno, non è forse frutto di una visione consumistica dell’esistenza, nella quale l’altro è considerato come una “merce” da sfruttare a proprio piacimento o addirittura da eliminare se disturba o è improduttiva?
Siamo tutti persuasi di questo, eppure, dentro di noi coviamo questa paura, quasi ancestrale: se non possediamo, se non ostentiamo, se non mostriamo e - adesso nel tempo dei social network - se non condividiamo, sembra che la vita non valga la pena di essere vissuta. E non ci accorgiamo che alla fine più che coltivare relazioni autentiche e gratuite con gli altri, promuoviamo gare per stabilire chi ha la macchina più bella, il giardino più fiorito, la meta delle vacanze più rinomata, il posto di lavoro più in vista.
E non siamo liberi! Perché quando si gareggia per queste cose si è inevitabilmente presi dall’ansia della prestazione, dalla paura di non essere all’altezza, dall’ambizione di mostrare di avere sempre di più.
Il nostro cuore ha un inevitabile “difetto” - chiamiamolo ironicamente così - di fabbrica: si acquieta solo quando si perde nell’“infinito”. Essendo stato creato da Dio che è amore puro e senza confini, esso trova quiete solo quando riposa accanto al suo Creatore, solo quando si perde nell’azzurro sconfinato del Cielo (S. Agostino docet!). E ci alludiamo che la “roba” possa sopperire a questo “difetto di fabbrica”! In realtà si tratta solo di palliativi che “durano il tempo di un amen”, tant’è vero che anche chi è ricco e potente, non si accontenta di quello che ha, ma vorrebbe conquistare vette sempre più alte! La bramosia dell’avere è un dittatore esigente che non lascia scampo – “demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi” – e che inganna continuamente l’uomo spingendolo ad accumulare sempre di più a discapito di tutto, soprattutto degli altri. L’angosciante solitudine dell’uomo della parabola è estremamente eloquente.
Cristo, invece, ci insegna la libertà che nasce dalla consapevolezza di essere amati per quello che siamo da un Dio che si trova perdendosi nell’infinito di un cielo stellato, nella delicatezza di un fiore di campo, negli occhi di chi si ama perdutamente.
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