Il nostro gemello nella fede
Nel racconto dell’evangelista Giovanni si intrecciano molteplici figure di discepoli che con le loro parole e domande, i loro atteggiamenti e comportamenti, parlano dei diversi modi con i quali si può seguire il Signore Gesù. Fra tutte le figure spiccano il discepolo amato e Pietro. Un altro personaggio che gioca un ruolo importante è Tommaso. Di questo apostolo, il quarto evangelista ci racconta un particolare itinerario di fede, negli ultimi capitoli del suo testo. Quando Gesù decide di andare a Betania da Lazzaro due giorni dopo aver saputo della sua malattia, siamo informati circa l’intuizione e la decisa presa di posizione di Tommaso: “Andiamo anche noi a morire con lui!” (Gv 11,16). Vediamo qui un discepolo pronto a tutto per seguire il suo Maestro, disposto a dare la propria vita insieme a Gesù, con Lui fino alla fine, un discepolo della prima ora, vien d dire, ripieno del giovanile entusiasmo degli inizi.
Incontriamo poi un Tommaso più “maturo” nei dialoghi dell’ultima cena. Alla prima disponibilità totale e radicale, subentrano le domande e gli interrogativi dell’età adulta con i quali ci chiediamo se la strada che abbiamo intrapreso sia veramente quella giusta, e così abbiamo bisogno di conferme e rassicurazioni: “Gli disse Tommaso: ‘Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?’. Gli disse Gesù: ‘Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me’” (Gv 14,5-6).
Infine c’è il Tommaso nell’ora della prova del suo credere, il Tommaso la cui fede è messa in scacco dalla propria assenza in un momento decisivo. Ci sembra di sentire le sue domande: “Come è possibile credere anche per me? Perché a me non è data la stessa grazia dei miei compagni? Chi sono io per non poter vedere il Risorto come lo hanno visto anche tutti gli altri discepoli? Allora chiedo di più, non solo vedere, ma toccare, persino premere le mie dita in quelle ferite ancora aperte, per essere sicuro io più degli altri”.
In questi passaggi davvero Tommaso è il nostro didimo, il gemello nella fede per ciascuno di noi.
Nostro gemello perché, onestamente, il discepolo che ogni anno viene alla ribalta in questa domenica è una figura simpatica, con cui ci sentiamo in profonda sintonia. A Tommaso vogliamo bene, perché lo possiamo ritenere portatore dei dubbi e delle fatiche che tutti abbiamo. A Tommaso siamo grati, perché, come ha detto san Gregorio Magno “L’incredulità di Tommaso ha giovato a noi molto più, riguardo alla fede, che non la fede degli altri discepoli”.
Dalla incredulità di Tommaso sboccia, infine, quell’esclamazione che è professione di fede in Gesù: “Mio Signore e mio Dio!” e con queste parole il racconto di Giovanni giunge all’apice del suo annuncio sul Nazareno.
Tommaso nostro gemello ci è così compagno di vita e di fede, condiscepolo in cui ci rispecchiamo e dal quale impariamo a percorrere la via del credere che attraversa fatiche e incredulità prima di giungere alla pienezza che vorremmo anche per ciascuno di noi.
Se in Tommaso riconosciamo un testimone credibile del Signore risorto, in questi anni abbiamo sentito vicino nel cammino della fede anche papa Francesco. Gli abbiamo voluto bene e continuiamo a volergliene. Scelto da Dio per tenere il posto di Pietro nel collegio episcopale, ne abbiamo apprezzato la simpatia, la spontaneità, la sua immediata capacità di entrare nelle case e nella vita delle persone. A tutti mancherà il suo “buon pranzo” detto ogni domenica dopo la preghiera dell’Angelus.
Attraverso le parole di Gregorio Magno abbiamo intravisto come nell’agire degli uomini anche Dio è all’opera, così che la prova della fede per Tommaso diviene un sostegno per superare le nostre incredulità. Lunedì con la morte di papa Francesco si è concluso un pontificato importante. Dodici anni nei quali il Cristo ha guidato la Chiesa, che rimane sempre sua, attraverso un papa amato e da taluni contestato. Nel futuro che ci sta davanti potremo vedere e renderci conto in pienezza del contributo che quest’uomo ha donato alla Chiesa: con i suoi gesti semplici, le sue scelte originali, le sue decisioni talvolta controverse.
Anche papa Francesco come Tommaso è stato un dono per la Chiesa, perché al di là di tutto quello che in questi giorni e settimane si dice e si dirà, ci ha aiutato a dire qualcosa in più sul volto di Dio che traspare dal volto di Gesù: un Gesù povero, misericordioso, premuroso, vicino a tutti, ma anche duro contro l’ipocrisia, come Francesco ci ha aiutato a vedere.
Mi piace pensare che oggi il Papa faccia sua, nella pienezza della vita, la stessa frase di Tommaso, davanti al mistero del Dio fatto uomo, crocifisso e risorto per noi, e ora dica: “Mio Signore e mio Dio”, e mentre ancora una volta, come il 13 marzo del 2013 chiede la nostra preghiera per lui, anche per ciascuno di noi, al cospetto di Dio stia invocando dal Padre, oggi come dodici anni fa, la benedizione divina, chiedendo il dono dello Spirito a cui, come Pontefice, ha sempre fatto riferimento per vivere quel “discernimento” che da buon gesuita ha insegnato ad ogni cristiano ad esercitare, come azione costante e come strumento per riconoscere il Signore che ancora oggi parla alla coscienza di ciascuno, alla Chiesa e al mondo intero.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti