L'addio alla Freccia della Versilia e il ricordo dei "treni popolari"
Chi di noi non ha, almeno una volta, sperimentato la Freccia della Versilia, interregionale Bergamo-Pisa, nonché storico ‘treno del mare’ che consentiva ai cremonesi di raggiungere Lerici in due ore? Che le sorti del convoglio fossero appese a un filo si sapeva da tempo. Da anni, pur essendo un classico treno balneare, veniva puntualmente soppresso proprio alla viglia dell’estate. Illuminante indizio del tasso di razionalità che orienta le scelte in materia di mobilità ferroviaria, settore apparentemente iscrivibile fra gli asset strategici del Paese e tuttora pur vagamente vincolato a logiche di servizio pubblico.
La pandemia, con le conseguenti perdite, ha offerto a Trenitalia decisivo argomento in favore di una sospensione che, formalmente limitata ai mesi da aprile ad agosto, pare in realtà anticamera di una probabile soppressione. Nei giorni scorsi Vittoriano Zanolli è più volte tornato sull’isolamento ferroviario di Cremona conseguente ai troppi treni concretamente e metaforicamente persi. Ecco dunque aggiungersi alla lista nera anche il popolare convoglio che collegava direttamente al Levante ligure e alla Toscana bergamaschi, bresciani e cremonesi oggi costretti a tempi di viaggio a dir poco raddoppiati e a innumerevoli cambi. Sempre più lunga, dunque, la lista che. oltre alla leggenda nera della tratta Milano-Cremona-Mantova, annovera l’annosa questione dei collegamenti col piacentino e l’oltre Po in generale, ostaggio da anni di beghe di cortile, conflitti fra regioni e province, ripicche politico lobbistiche. Anche sull’asse nord est si sono peraltro abbattute negli ultimi tempi distruttive picconate. Se un tempo, raggiunta Brescia, si andava direttamente a Monaco di Baviera via Verona-Bolzano, senza cambi, oggi lo spezzettamento delle tratte, che il lessico aziendale pretenziosamente chiama ‘spacchettamento’, ne fa un calvario di ottocentesca laboriosità.
Qualcosa ci sfugge: come mai al canceroso moltiplicarsi aziendale delle ‘task force di efficientamento e razionalizzazione’ corrisponde in concreto la trasformazione di alcune tratte ferroviarie in odissee da incubo? Evidentemente il mondo attuale velocizza tutto ma pezzi del sistema della mobilità pubblica, ovviamente meno appetibili sotto il profilo dei profitti, vivono un processo esattamente opposto.
Ecco un bel caso di ‘medioevo prossimo venturo’ cioè di reciprocità inversa fra le avveniristiche prestazioni della modernità che viaggia sulla rete ad alta velocità, oggetto di costante miglioramento, e il concomitante tracollo della postmodernità che viaggia sui collegamenti secondari. Coprire 40 km all’interno di una medesima provincia può richiedere più tempo che raggiungere in aereo una capitale estera. Diciamo allora che la vita reale degli italiani quotidianamente inciampa in una serie di contraddizioni e paradossi che, demagogia a parte, dovrebbero indurci a riflettere su quale ‘ratio’ orienti il nostro modello di sviluppo.
Come si è arrivati a questo punto? La storia delle Ferrovie italiane è un ginepraio di trasformazioni di assetti proprietari e gestionali. E’ pur vero però che al suo interno uno snodo è chiaramente individuabile. E’ il momento in cui lo Stato imbocca, con decisive accelerazioni nel 2015, la strada delle privatizzazioni scegliendo di alienare pezzi pregiati del patrimonio pubblico come appunto le Ferrovie. Se si aspettava chissà quali ritorni di cassa, il senno di poi ci fa dire che ne ha ricavato poco più di un pugno di mosche. Aveva dunque ragione chi all’epoca diffidava delle sperticate lodi profuse a destra e a manca all’indirizzo di liberalizzazioni e privatizzazioni che, scatenando ‘sana’ concorrenza di mercato, avrebbero regalato agli utenti costi minori, servizi migliori e una globale razionalizzazione del sistema. Niente è irresistibile agli occhi degli avidi e degli sciocchi quanto una moda ideologica. La moda di ‘privatizzare senza conoscere’ come qualcuno che vedeva lontano la definì, s’è imposta senza adeguata istruttoria preliminare circa i pro e i contro dell’operazione che, a conti fatti, ha prodotto frutti incerti per tutte le parti in causa e decisamente amari per la fetta dell’utenza che, non avvalendosi dell’alta velocità, è sempre più spesso bastonata, scavalcata e messa di fronte al fatto compiuto. E non parliamo di marziani ma di cittadini depositari, in quanto tali, della proprietà del bene pubblico in questione. Anche il più accanito liberale a questo punto comincia a farsi qualche domanda e a riflettere nostalgicamente sull’irrinunciabile ruolo dello Stato nella gestione di una società complessa.
Di fronte allo sbriciolamento di ogni logica d’insieme nei mille rivoli di settarismi e localismi corporativi come si fa a non auspicare il ritorno delle grandi scelte sulla mobilità nell’alveo di un’intelligenza unitaria capace di una programmazione razionale che salvi un minimo di equilibrio fra efficienza, profitto e funzione sociale di un bene pubblico? Con che coraggio parliamo di sviluppo sostenibile se la sua precondizione, cioè la limitazione del traffico automobilistico e l’utilizzo di un trasporto pubblico a basso impatto ambientale, è di fatto vanificata dalla selvaggia cancellazione di collegamenti ferroviari che costringe all’uso di mezzi privati? E dove sta la concertazione fra sostegno al turismo interno e pianificazione del trasporto pubblico se località che per scelta ecologica chiudono al traffico automobilistico vengono isolate e punite dalla cancellazione dei collegamenti ferroviari?
E sarò politicamente scorretta fino in fondo: fra il 1931 e il ’39 il Regime mise in campo i famosi ‘treni popolari’ che, a costi irrisori dei biglietti, incoraggiavano la conoscenza del Paese e la mobilità verso spiagge, monti e città d’arte arrivando a controllare che in coincidenza degli eventi la speculazione non lievitasse i prezzi. Che orrore citare un’iniziativa sociale del Regime, cioè di un sistema che impediva agli italiani di votare! Sarà. Ma non che adesso, in pieno tripudio democratico, riuscire a votare sia invece così semplice.
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commenti
Danilo Codazzi
20 aprile 2021 19:37
Se verrà sospeso il servizio ferroviario della "Freccia della Versilia " per poter realizzare il raddoppio del tratto ferroviario Brescia-San Zeno e Cremona -Olmeneta, ben venga. il problema vero sta nella razionalizzazione del servizio e non nella soppressione del treno. Ad esempio non è logico che il treno da Cremona per Brescia pieno di studenti e impiegati stia aspettare una Freccia della Versilia vuoto, e fare incrocio a Bagnolo Mella. il problema è il binario unico su una ferrovia datata 1880 circa.
François
21 aprile 2021 12:47
Sottoscrivo appieno quanto affermato, incoraggiando la redattrice dell'articolo a continuare ad essere politicamente scorretta! L'Italia è passata da un regime liberticida ad un altro retto da idioti.
Manuela
12 maggio 2021 05:13
Bene !Cremona sempre più isolata , ma non dovevamo diventare più green.
Rimangono solo 2 treni Milano e Brescia .
Per fortuna che in tv dicono andate a conoscere il vs Paese Italia, naturalmente non in treno ma in auto a intasare le strade, per cui più incidenti più vendite auto.
Si fa prima ad andare a Londra .
Per raggiungere la Liguria o la Toscana ci si metterà il doppio .
Comunque grazie , da parte degli anziani dei disabili e di chi non vuole usare la auto per andare in vacanza . Chissà perché dicono che il mare guarisce tante malattie? Mah mistero....