La gente reclama testimoni, non maestri
“L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. È un celebre passo di un intervento che Paolo VI fece nel lontano 1974 al Pontificio Consiglio per i laici e che poi trovò accoglienza nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi dell’anno successivo. Il Pontefice bresciano, santo e tormentato, era alle prese con una epocale rivoluzione culturale, figlia del Sessantotto, che pretendeva anche dalla Chiesa una rinnovata coerenza, un ritorno convinto all’autenticità e alla freschezza del Vangelo, l’abbandono di antichi e pesanti paludamenti, la presa di distanza da parole vuote e di circostanza, da leggi e precetti che offuscano l’annuncio della salvezza e il primato della carità, da un apparato burocratico che soffocava l’ispirazione dello Spirito.
Paolo VI sognava una Chiesa popolata di testimoni, di persone che prima di annunciare la Parola, sperimentassero la gioia, ma anche la fatica di una vita autenticamente evangelica e che prima di indicare norme e comandamenti verificassero l’efficacia, ma anche il peso sulla loro pelle!
Perché un testimone è credibile? Perché ciò che insegna è frutto di una sua esperienza personale, di vita concreta; perché ciò che trasmette è il risultato di fatica, di tenacia e di passione. Il testimone non è mai un astratto, non si lascia sedurre dalla teoria ed è distante da ogni dottrinalismo algido e insensibile. Il testimone è ben consapevole che trasmette un’esperienza che è frutto prima di tutto di un ascolto umile e attento di una realtà vitale o di una persona affidabile, credibile, efficace. Il testimone sa che i traguardi che ha raggiunto nella propria vita e che sente di offrire agli altri non sono il risultato solo delle sue capacità e della sua buona volontà, ma sono stati ispirati, incoraggiati e condotti da qualcosa o da qualcuno d’altro. Nel testimone dunque non c’è mai arroganza, supponenza o prepotenza. Egli offre, non impone, prospetta, non costringe, mostra la bellezza e l’appetibilità del risultato e, successivamente, la fatica nel raggiungerlo. Del testimone colpisce l’entusiasmo, la genuinità, la freschezza, l’attendibilità: senza queste caratteristiche non c’è efficacia. Già nel modo di parlare si capisce subito se una persona ha sofferto, gioito, vissuto quello che dice!
Il testimone cristiano prima di illustrare l’impegno morale, annuncia la salvezza di Dio, prima di dire “tu devi fare questo, tu non puoi fare quest’altro…” va incontro al proprio interlocutore dicendo “tu sei amato, tu sei salvato, tu sei prezioso agli occhi del Padre!” e lo dice perché, lui, per primo, lo ha sperimentato.
Per troppo tempo la Chiesa ha presentato l’esperienza cristiana come una serie di “cose da fare o da non fare”, come un grande apparato di precetti da eseguire alla lettera ed ha caricato pesanti fardelli sulle spalle delle persone senza spiegare il motivo! Intendiamoci, i comandamenti sono necessari e imprescindibili perché l’uomo, nella sua fragilità, ha bisogno di strumenti che gli permettano di individuare, custodire e far maturare il bene, ma restano la cornice! Il quadro è il volto amorevole di Cristo che prima di chiedere qualcosa, mostra ciò che ha donato all’umanità: il suo farsi uomo, il suo condividere le asperità dell’esistenza, il suo morire sulla croce ebbro di amore!
Oggi viviamo un tempo allergico – certamente troppo allergico! - ad ogni autorità e ad ogni imposizione dall’alto per questo la comunità cristiana nel suo porsi dinanzi al mondo deve prima di tutto mostrare quanto si appetibile per l’uomo di oggi ascoltare e seguire Cristo, la sua Parola, la sua promessa di felicità che nessuna cosa al mondo può strappargli. Occorre offrire vite concrete di uomini e di donne che grazie a Cristo hanno assaporato la vera libertà e hanno toccato le vette sublimi di una umanità piena, ricca, riconciliata con le proprie fragilità e contraddizioni. Occorre tornare a raccontare – in questo tempo di forti narrazioni – le vite dei santi che nel loro tempo e nella loro situazione esistenziale hanno raccolto la sfida dell’amore.
Quando gli uomini resteranno incantati da questa proposta allora potremo insegnare loro come raggiungerla offrendo loro anche i comandamenti.
Aveva ragione il card. Schuster, il mistico e ardente monaco divenuto arcivescovo di Milano, quando affermava: “La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un Santo autentico, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio. Ricordate le folle intorno alla bara di don Orione? Non dimenticate che il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi. Ha paura, invece, della nostra santità”.
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