La legge deve essere sempre al servizio dell'amore
Si capisce subito se una persona svolge il proprio lavoro solo per arrivare a percepire lo stipendio alla fine del mese o se lo adempie con passione, creatività, sentimento. Lo si vede dall’entusiasmo che ci mette, dalla velocità delle azioni, dalla prontezza delle risposte, dalla capacità di andare oltre i propri doveri perché ha a cuore il bene della propria azienda e la piena soddisfazione del cliente.
La stessa dinamica accade nel rapporto con Dio: ci sono persone che vivono la loro fede in maniera molto approssimativa e formale, senza trasporto, spinti più dalla paura che dall’amore, dal desiderio di compiacere e di compiacersi più che da un profondo bisogno di autenticità. Essere cristiani per loro significa comportarsi bene esteriormente, compiere fedelmente certe pratiche di pietà, assumere un contegno dignitoso e pacato. Ciò che conta è il “risultato esteriore”, quello che la gente nota e riferisce agli altri. Ma senza esagerare troppo, senza “strafare”! È la critica, non troppo velata, che Gesù rivolge spesso ai farisei e ai dottori della legge i quali offrono al mondo un’immagine di sé stessi che non rappresenta realmente la loro interiorità: seguono la legge, ma non si lasciano plasmare da essa! Non riescono a cogliere lo spirito!
A loro manca ciò che per Gesù è essenziale: il cuore!
A Gesù, infatti, interessa unicamente il cuore, ovvero il luogo più intimo e nascosto di noi stessi dove fioriscono le nostre intenzioni più vere, le nostre effettive convinzioni, i nostri desideri più intimi, la nostra reale volontà: insomma la nostra identità più profonda! A Cristo, infatti, non importa nulla se facciamo i bravi, ma se siamo realmente bravi; non gli interessa se mostrami misericordia agli altri, ma se realmente possediamo un animo mite, mansueto, che ha fatto del perdono uno stile di vita; per lui non conta se facciamo la carità a un bisognoso, ma se siamo convinti che in ogni povero che incrociamo Lui è presente.
In pratica Cristo non desidera dei perfetti e azzimati gentlemen sempre pronti a districarsi nei rapporti sociali e capaci di un contegno impeccabile anche di fronte a situazioni incresciose, ma persone che, pur sbagliando di continuo e pur facendo plateali figuracce, scommettono sull’amore, nella consapevolezza che è l’unica forza capace di cambiare sul serio l’interiorità dell’uomo!
Essere dei buoni cristiani, dunque, non significa rispettare i comandamenti e i precetti, ma addirittura superarli: non basta dunque “non uccidere”, occorre aiutare il prossimo a vivere una vita piena, felice, realizzata; non basta “non dire falsa testimonianza”, occorre impegnarsi sempre e comunque perché trionfi la verità, anche quando può costare molto; non basta “non desiderare la roba d’altri”, occorre coltivare un cuore libero che non lega la propria felicità a ciò che si possiede o a ciò che si desidera… In questo senso la “giustizia” dei discepoli deve superare quella degli scribi e dei farisei: quella che insegna e pratica Gesù è, infatti, una giustizia “eccessiva” perché l’amore che la muove non conosce misura, non prevede limiti.
Nel Vangelo di questa ultima domenica di ottobre il dottore della legge, che prova nuovamente a mettere in difficoltà Gesù, pone una questione importante e assai dibattuta a quel tempo: dinanzi ad una legge mosaica imponente e complicata – i famosi 613 precetti – c’è un comandamento fondamentale, una linea interpretativa che permetta di focalizzare l’attenzione su ciò che è essenziale?
Gesù risponde senza indugio: l’amore! Tutto ciò che l’uomo fa deve avere come obiettivo l’amore: amare di più e amare meglio Dio e i fratelli. Perché l’amore vero, quello che ci insegna Cristo dall’alto della Croce, non ammette finzioni o ipocrisie. Con l’amore, così come con Dio, non si può barare. Gesù, oltre a legare in maniera stretta e inequivocabile l’amore per Dio a quello dei fratelli – ma anche l’amore per sé stessi! – vuole ricordare a farisei, dottori della legge, ma anche a tutti noi che le leggi, le norme, i precetti sono utili e necessari sono se conducono le persone ad un amore maturo, gratuito… eccessivo! Se, in coscienza, ci accorgiamo che certe leggi non servono a far maturare e consolidare l’amore, ma semplicemente ad acquietare la coscienza o a pavoneggiarsi con il prossimo, allora sarà il caso di abbandonarle! Esse sono una tremenda insidia perché conducono il credente ad un bieco formalismo che spesso scade nel narcisismo spirituale. Ci è sempre di monito la suggestiva parabola del fariseo e del pubblicano nel tempio: il primo, ritto dinanzi a Dio, la testa alta e lo sguardo fiero, sciorina i suoi meriti perché ha compiuto pedissequamente la legge. L’ha osservata nella forma, abbandonando la sostanza: si è preoccupato di seguire alla lettera i precetti, ma non si è chiesto il perché di questi precetti! Il risultato: un cuore altezzoso e superbo, arido e incapace di amare. Insomma l’anticamera dell’inferno!
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