La politica impolverata resta in soffitta in una provincia bella addormentata
La provincia di Cremona è una e trina. Soprattutto trina.
Cremona sta al vertice del triangolo. Si è attribuita il titolo di prima della classe e se ne impipa delle insufficienze in pagella. «Voglio, comando e posso» è il suo Vangelo e il posso funziona in riva al Po, un po’ meno fuori dai confini provinciali. È più ganassa che autorevole, ma ha classe e questo bisogna riconoscerlo. Seguace delle teorie di Antonio Razzi, si fa i cazzi propri.
Cremona è crepuscolare. È Guido Gozzano. È le «Le buone cose di pessimo gusto», ma il mondo è tre spanne avanti.
Cremona cammina, la società corre. Ha il fiatone e perde i pezzi. Ha ceduto a Mantova la sede dell’Ats, ma se qualcuno propone di sollecitare il ritorno è guardato con diffidenza.
I forestieri si prendono le aziende partecipate, impongono le loro condizioni, comandano. Gli amministratori pubblici applaudono. Gli sventurati che storcono il naso vengono bacchettati. «Al gran ballo del consenso siamo tutti qua tutti buoni ed è cattivo chi non salterà» e sorge il dubbio che Bennato abbia vissuto a Cremona.
I nuovi arrivati non sono lanzichenecchi, ma neppure Babbo Natale e da che mondo è mondo, i padroni non fanno sconti. Tuttalpiù chiedono sacrifici. Se danno una mano si prendono l’altrui braccio, ma con marketing e pubbliche relazioni addolciscono la pillola e la rendono gradevole. E i boccaloni sono sempre esistiti.
Chiusa nel suo bozzolo, Cremona si crogiola nel proprio passato, rimira le medaglie appuntate sul petto e ossidate dal tempo e non s’accorge che i vicini le fottono la mostra delle vacche e molto altro. Cremona invece di chiedersi dove fossero e cosa facessero i custodi dell’argenteria, urla allo scandalo e coloro che hanno ciccato restano al loro posto. Inamovibili e, ironia della sorte, vittime da aiutare. È il mondo alla rovescia, il carnevale.
Crema rivendica il ruolo di motore trainante del territorio. Si sente sopportata dal capoluogo. Guarda verso Milano. «Fanculo Cremona» è il suo mantra, il suo grido di battaglia, la sua ossessione. Il suo sogno. Chi sostiene il contrario è falso o opportunista.
Cinque anni fa, Crema ha cercato di trasformare il desiderio in realtà, ma la scissione è naufragata. Della tentata ribellione è rimasto uno studio sulle strategie di sviluppo del Cremasco che nessuno ricorda e la conquista della poltrona di presidente della provincia da parte di uno dei rivoltosi. Della provincia di Cremona, naturalmente.
A seguire è giunta la spaccatura dell’Area omogenea, culminata con l’ingloriosa fine del forno crematorio di Spino d’Adda. Ora l’Area omogenea, nata per rappresentare la coesione e la forza propulsiva del Cremasco, è in sala di rianimazione. È accanimento terapeutico. Ha in parte abbandonato il ruolo di organismo politico e interpreta quello di procacciatrice di appalti pubblici per un’azienda partecipata. Non è né una sorpresa, né una novità. Crema è la Repubblica del Tortello, non della politica e la subalternità è scritta nel suo karma. Fanno eccezione gli industriali, tosti e tanto bravi da conquistare i vertici provinciali e nazionali della propria associazione di categoria.
Casalmaggiore è orgogliosa della propria storia, tradizione e specificità. È terra di eccellenze, ma viene snobbata, condizione che nel linguaggio giovanile è paragonata ad una funzione fisiologica del corpo. «Non siamo figli di un dio minore», dicono i casalaschi e tengono mille ragioni per sostenerlo, ma gli interlocutori sono sordi e così l’Oglio Po è tra color che son sospesi.
Casalmaggiore è più vicina a Parma che a Cremona. Mantova non è molto distante, ma non si raggiunge con una fucilata. L’autostrada potrebbe risolvere il problema, ma non tutti concordano sulla necessità di costruirla. Anzi molti dissentono e sono apertamente contrari.
Tre territori, tre dialetti, tre potenzialità. Un denominatore comune: l’incapacità di comunicare tra di loro. Di allearsi su obiettivi condivisi. Di sfruttare al meglio le risorse. Tre cellule indipendenti, fenomenali ad autocelebrarsi e inflessibili a non riconoscere i meriti altrui, spesso a negarli.
La provincia di Cremona è un ossimoro: si muove, ma sta ferma. Parla, ma non si sposta. Predica la cultura del fare, ma gli oratori sono fancazzisti di professione, pippaioli che hanno fatto dell’onanismo parolaio la loro professione.
La provincia di Cremona è una palude. In tanti lo riconoscono e auspicano uno scossone, ma non vanno oltre i buoni propositi. È un surplace infinito senza lo scatto vincente. Nel nostro territorio non si trovano molti pistard e ancora meno degli Antonio Maspes. Basterebbe anche un Sante Gaiardoni, ma coloro che hanno i numeri non ci provano. La classe dirigente non si mette in gioco. Vivacchia.
I partiti orfani dell’ideologia, confusi, cangianti e preoccupati di non scontentare nessuno, disorientano e non aggregano. Esasperano la tattica e, per loro, la strategia è una parola semisconosciuta e troppo impegnativa. Vivono alla giornata. Fingono di litigare e intanto cercano di accordarsi su decisioni prese nel nome di un bene comune che, spesso è il proprio. I cittadini non capiscono e liquidano la questione con «è un casino e non si capisce una mazza».
I partiti si spartiscono equamente le cariche, stipulano trattati di non belligeranza tra di loro, con la concessione di reciproche scaramucce salva-faccia. Un paio di comunicati stampa, un’intervista polemica, poi si torna alla normalità. Al tran tran deprimente di questi anni.
I partiti sono importanti, ma se omologati risultano inutili. Un’iniezione di conflittualità sana, reale, costruttiva, dialettica potrebbe solo far ben ad una provincia una e trina. addormentata, refrattaria al cambiamento, incapace di comunicare al proprio interno. L’iniezione potrebbe giovare anche agli amministratori pubblici e alle associazioni di categoria. Per un po’ di tempo si abbandoni l’unanimità, il consenso bulgaro, la mano alzata per non avere rotture di coglioni. Si ritorni a fare politica. Quella impolverata e stipata in solaio. Si esca dalla melassa. Si ripudi il grigio. Per un po’. Per vedere l’effetto che fa.
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commenti
Michele de Crecchio
7 maggio 2021 22:12
Come al solito, l'ottimo Grassi fotografa con esattezza lo stato attuale della politica locale che non riesce a sottrarsi alla pigrizia di idee e di iniziative alla quale, soprattutto il capoluogo, sembra da tempo condannato.