La via della pace è sempre più ardua
Come costruttori di pace dobbiamo prendere atto della drammaticità e profondità a livello mondiale delle crisi in corso che modificano di tanto il quadro degli equilibri geopolitici precedenti al punto di far ritenere che correggerne il corso per ripristinare il vecchio ordine sia ormai impossibile. Ormai il mondo si è avviato in una grande e incerta transizione senza che i principali protagonisti, a cominciare dagli Stati più potenti, abbiano maturato una reale capacità di regia e una effettiva volontà di risolvere politicamente i conflitti. L’impressionante aumento di spese militari e l’impressionante corsa al riarmo sia convenzionale che nucleare di questi ultimi anni dimostra che gli Stati più potenti contano principalmente se non esclusivamente sulla propria potenza tecnologica e militare e non più sulle logiche e strumenti di soft power: diplomazia e cooperazione.
Dall’aumento delle spese militari alla affermazione delle economie di guerra.
Dalla militarizzazione della sicurezza alla naturalizzazione della guerra.
Dall’affermazione del doppio standard alla cancellazione del Diritto Internazionale.
Dalla emarginazione dell’ONU alle politiche di potenza per la supremazia militare.
Dal riarmo nucleare esteso al rischio di Olocausto Nucleare.
Il primato del Diritto Internazionale, del Diritto Internazionale umanitario, il ruolo dell’ONU derisi, calpestati, travolti. Non è solo Putin e il suo regime che ne ha fatto esplicitamente carta straccia anche se, una volta invasa l’Ucraina e occupato con successo il Donbass, tenta ultimamente di recuperarne il ruolo. Adesso è il Governo di Israele che va oltre: mette sotto accusa il ruolo di garante del Diritto Internazionale e dei diritti umani del Segretario generale Guterres, disconosce l’ONU e il suo ruolo di cui pure lo Stato di Israele è figlio, non ferma i massacri a Gaza dove è in corso una pulizia etnica malgrado il Tribunale penale internazionale accusi esponenti del Governo di crimini di guerra e crimini contro l’umanità e la Corte di Giustizia dichiari illegale l’occupazione dei territori palestinesi, bombarda invade il Libano e minaccia la missione internazionale di interposizione dell’Unifil pretendendo che si ritiri dall’area. Alla Knesset, il Parlamento israeliano, la destra fondamentalista ha proposto con successo non solo di accusare di terrorismo l’UNRWA ma di cancellarne ruolo e funzione storica di aiuto e sostegno ai milioni di profughi palestinesi assistiti da questa Agenzia dell’ONU dai tempi della Nakba, la loro cacciata dai territori che proprio l’ONU nella Partizione del 1947 attribuì al nascente Stato di Israele.
In queste ultimi mesi siamo entrati in una fase nuova della tormentata storia del Medioriente: l’attacco alle basi militari iraniane da parte della superiore forza militare di Israele, superiore almeno sul piano tecnologico, dimostra che le ambizioni di Netanyahu di ridisegnare l’intera area mediorientale non si ferma alle uccisioni mirate dei leaders nemici ma mira a realizzare il “Grande Israele” annettendo la Cisgiordania e Gaza, negare la nascita dello Stato di Palestina, ridimensionare l’influenza sciita ponendo nel mirino l’obiettivo, per ora rinviato, di distruggere la capacità dell’Iran di arrivare a produrre e detenere l’arma nucleare. Il tutto con la debole reazione dell’Occidente, a cominciare dall’Unione Europea, e con la complicità degli Stati Uniti che, da un lato raccomandano moderazione, dall’altro finanziano e riarmano potentemente Israele considerato il loro bastione in tutto il Medioriente.
Ci concentriamo sulle responsabilità dell’Occidente, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, non perché l’Iran e le tre H, (Hamas, Hezbollah, Houthi) non abbiano responsabilità criminali ma perché toccherebbe ai più forti, ai più ricchi, ai più sicuri provvedere a risolvere politicamente e non militarmente i conflitti e addirittura provare a prevenirli. In questo senso dovremmo riscattare il nostro Occidente dall’Occidente peggiore e guerrafondaio che sta prendendo il sopravvento. Recuperando e rilanciando la cultura dei diritti umani e della pace che va da Kant a Kelsen e, in Italia il pacifismo nonviolento di Aldo Capitini e quello istituzionale di Norberto Bobbio, quello profetico di Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Tonino Bello e Luigi Bettazzi. La pace è un principio, un valore, un sentimento di fondo e profondo. A chi fa parte di Pax Christi dovrebbe piacere molto l’ultima Enciclica di papa Francesco “Dilexit nos” là dove formula l’auspicio che il mondo “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso antiumano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”
L’Enciclica lamenta giustamente che la filosofia, l’antropologia, la sociologia e le scienze hanno dato poco spazio se non svalorizzato il cuore come nucleo umano più autentico e sintesi di ragione e sentimento preferendo altri concetti come ragione, volontà, libertà.
Viene ricordato Stavroghin, un personaggio di Dostoevskij, uomo senza cuore, freddo e vuoto, incapace di ogni rapporto che non fosse funzionale al proprio cinico egoismo. Solo il cuore crea intimità, relazione con l’altro, riconoscimento reciproco della comune umanità. E qui l’Enciclica scolpisce una frase per me bellissima e profetica “SOLO IL CUORE SA ACCOGLIERE E DARE UNA PATRIA”.
E’ l’assenza di cuore nella geopolitica mondiale che favorisce e fa prevalere la disunità del mondo, la crisi del primato del Diritto internazionale, la sacralizzazione dei confini e la criminalizzazione dei migranti, le logiche di potenza e di riarmo convenzionale e nucleare. E’ l’assenza di ciò che è il cuore della pace e cioè che l’altro non è un nemico ma un altro me stesso, con uguali diritti, desideri, speranze, il motore delle guerre, delle violenze, delle persecuzioni, delle discriminazioni.
Fondamentale negoziare il disarmo
In forza dell’articolo 11 della Costituzione e se c’è volontà politica, l’Italia può procedere tanto sulla strada di rimettere in discussione l’accordo di condivisione nucleare – nuclear sharing- con Stati Uniti e Nato che riguarda le Basi militari di Ghedi e di Aviano quanto sulla strada multilaterale nell’ambito di iniziative da assumere come Unione Europea: quella di procedere per gradi alla proposta di riduzione bilanciata e progressiva dei sistemi d’arma nucleari dislocati in tutta Europa, Russia compresa. Questo obiettivo comporta di aprire nuovi negoziati, dopo le rotture già avvenute ben prima dell’invasione dell’Ucraina, per ristabilire i Trattati INF e New START non solo tra Stati Uniti e Russia, ma anche con la partecipazione attiva degli Stati europei e delle Istituzioni europee perché questi accordi internazionali, soprattutto quelli sui missili a medio e corto raggio, sono chiaramente connessi con la maggior sicurezza da assicurare proprio sul territorio europeo a tutti gli attori in campo anche se avversari: Paesi dell’Unione Europea, Russia ma soprattutto Ucraina.
Il destino dell’Ucraina e la fine della guerra sono fortemente intrecciati con la sua collocazione di neutralità oppure dentro la Nato. Ma la sua neutralità non potrà mai essere il frutto avvelenato di una vittoria militare della Russia così come l’Ucraina dentro e pedina della Nato non avrà mai sicurezza nei confronti di una Russia umiliata ma sua eterna confinante. In entrambi i casi la soluzione di questo conflitto non può che scaturire in modo stabile da un accordo più complessivo che riguarda le reciproche garanzie di sicurezza nel medio-lungo periodo e dunque al fatto che si arrivi ad un accordo sulla questione del controllo e della riduzione delle armi nucleari.
Di questo dovrebbero preoccuparsi i movimenti pacifisti italiani ed europei e lavorare insieme per meglio definire questa prospettiva anche attraverso una loro Conferenza per la pace e il disarmo in Europa come contributo alla pace globale. Si tratta di mettere insieme le varie proposte contenute nel Documento “Uscire dal sistema di guerra, costruire insieme la pace” elaborate dal Tavolo pace e disarmo in vista dell’Arena 2024 con papa Francesco.
Di fronte alla globalizzazione della guerra, pensiamo al conflitto israelo-palestinese, al Libano, allo Yemen, alle tensioni irrisolte nel Caucaso, ai colpi di Stato nel Sahel divenuto retrovia mondiale del terrorismo jihadista, ai milioni di morti in Congo, alla tregua mai diventata pace tra le due Coree, alle mire di Pechino su Taiwan e alla militarizzazione dell’indo-pacifico con la trasformazione della Nato in Nato globale, la pace e le condizioni per la pace diventano o dovrebbero diventare la priorità assoluta. E nel cuore della costruzione della pace globale ci stanno i negoziati per il disarmo convenzionale e nucleare e l’utilizzo di maggiori risorse ed energie nella lotta ai cambiamenti climatici e alle disuguaglianze.
Mi pare interessante e abbastanza condivisibile il Manifesto “La Promessa di pace dell’Europa: abbracciare la sicurezza umana e la pace giusta nelle politiche dell’UE” sottoscritto da Justice and Peace Europe, Comunità Sant’Egidio, Pax Christi International ma forse le opportune raccomandazioni chiave non fanno i conti a sufficienza con lo stravolgimento politico che le guerre stanno trasferendo dentro le stesse istituzioni europee e dentro la maggioranza dei partiti politici europei.
Difficilissimo oggi trovare in Europa e in Italia interlocutori politici e istituzionali davvero disponibili a prendere in seria considerazione le raccomandazioni avanzate se non con impegni astratti privi di reale concretezza e impatto sui processi bellici e di riarmo già avviati e incrementati. Da questo punto di vista la guerra in Ucraina, guerra sempre più guerra per procura, parte della “guerra grande” come la definisce Limes, è stata un vero disastro per l’Unione Europea che, consapevolmente o meno, ha seguito i disegni egemonici degli Stati Uniti e perseguito l’allargamento della Nato ad est, almeno concausa remota anche se non automatica della invasione decisa dal regime di Putin che ne è la causa prossima e di questa pienamente responsabile.
Mai come in questi due ultimi anni l’Unione Europea ha deragliato dalla possibile prospettiva di una unità sovranazionale più integrata e autonoma in politica estera per scadere nel ruolo che solo i cortigiani sanno recitare con bravura: la rinuncia opportunistica ad ogni autonomia di pensiero e di azione, l’interiorizzazione dei voleri imperiali del potere a cui si presta servizio.
Questa deriva, favorita da élites senza popolo, si è avvalsa di un gigantesco dispiegamento dei media che anche in Italia hanno sposato in toto la tesi della guerra “giusta” e cavalcato la narrazione di Putin nuovo Hitler, intenzionato ad attaccare la libertà delle democrazie europee, deciso a riprendersi porzioni dell’Europa dell’Est, a cominciare dall’Ucraina, per passare poi a realizzare la minaccia di riprendersi le tre Repubbliche baltiche: Estonia, Lettonia, Lituania.
Narrazione volutamente forzata, utile però a giustificare la crescente militarizzazione della sicurezza adottata da tutte le Istituzioni dell’Unione Europea: Consiglio, Commissione, Parlamento. Narrazione che intende riportarci alla “guerra fredda” e alla logica dei blocchi politico-militari contrapposti, ma efficace se è vero che Finlandia e Svezia hanno abbandonato la loro “neutralità” per entrare nella Nato. Narrazione però infondata, visto il rapporto di forze sproporzionato a favore della forza militare complessiva della Nato, cui le tre Repubbliche baltiche appartengono, nei confronti della forza militare della Russia. La grave decisione poi dei vertici Nato di installare gli euromissili in Germania entro il 2026, decisione condivisa dall’attuale governo tedesco anche se il cancelliere Olaf Scholz appare meno entusiasta rispetto alla sua ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, dimostra che
1) l’escalation militare si accresce e si impone rispetto ai residui margini di negoziato rimasti
2) la “deterrenza nucleare” è la dottrina strategica che l’Unione Europea, a cominciare dalla Germania malgrado la sua Costituzione, deve adottare come principale strumento politico-militare nei confronti della Russia
3) la guerra in Ucraina deve continuare ad oltranza fino alla vittoria sulla Russia di Putin o almeno fino ad ottenere un riequilibrio nei rapporti di forza sul terreno.
Ecco perché, per tentare di rovesciare le sorti del conflitto, Zelensky chiede a gran voce di poter utilizzare le armi più sofisticate ricevute in dotazione non solo per difendersi ma per colpire in profondità le infrastrutture logistiche e militari russe in territorio russo. Questa sua richiesta di portare la guerra oltre i confini ucraini, tabu già infranto unilateralmente da lui stesso con l’operazione dell’entrate di truppe scelte ucraine nella provincia russa di Kursk, trova favorevoli i governi di Regno Unito, Francia, Polonia, Stati baltici e gli stessi Vertici Nato, compreso l’ex segretario generale Stoltenberg, dal 1° ottobre sostituito dall’olandese Mark Rutte. Il governo degli Stati Uniti, che sin dall’inizio tiene la vera regia dello scontro con la Russia, da un lato suggerisce e sostiene con enormi finanziamenti questa possibile e rischiosa offensiva che cambierebbe la natura del conflitto, dall’altro si nasconde dietro un paravento formale: per portare la guerra in territorio russo, perché di questo si tratta, raccomanda di utilizzare missili e tecnologia non statunitense. E infatti i militari ucraini pensano di utilizzare gli Storm Shadow inglesi e accantonare per il momento gli Atacams statunitensi.
Deriva militarista del nuovo Parlamento Europeo
Di questo azzardo pericolosissimo, che ci porterebbe sull’orlo di una guerra nucleare, non pare se ne rendano conto le opinioni pubbliche europee anche perché la posizione iperatlantista e più bellicista ha fatto strada tra quasi tutti i governi europei: conservatori, liberali, socialisti. E ha fatto strada nello stesso nuovo Parlamento Europeo dove giovedì 19 settembre è stata votata a grande maggioranza una Risoluzione non vincolante che non solo riconferma e rafforza l’appoggio militare all’Ucraina con l’impegno a inviare armi sempre più sofisticate ma con l’articolo 8 chiede ai governi U.E. di revocare le attuali restrizioni che impediscono all’Ucraina di usare queste armi per colpire obiettivi russi in territorio russo. Hanno votato a favore dell’intera Risoluzione comprensiva dell’articolo 8, anche se singolarmente approvato da una maggioranza meno ampia, gli europarlamentari di Fratelli d’Italia, Forza Italia e PD. Mentre hanno votato contro gli europarlamentari del M5S, Alleanza Verdi Sinistra, Lega, astenuti Cecilia Strada e Marco Tarquinio del PD. Può essere interessante analizzare in modo più scrupoloso come hanno votato gli europarlamentari italiani sull’articolo 8, quello politicamente più inquietante: scontato il No di M5S, Alleanza Verdi Sinistra, Lega perché già contrari all’intera Risoluzione. Ma a questi si è aggiunto il No degli europarlamentari di Fratelli d’Italia e di Forza Italia (tranne il cremonese Massimiliano Salini a favore) che su questo punto hanno voluto salvaguardare la posizione del governo Meloni. Spaccati invece gli europarlamentari del PD: 10 contrari seguendo le indicazioni di Nicola Zingaretti, due a favore: Elisabetta Gualmini e Pina Picierno; l’intera ala riformista del PD non ha partecipato al voto sull’articolo 8 pur presente in aula per poter sostenere “in modo coerente” l’intero testo della Risoluzione: tra questi Stefano Bonaccini, Irene Tinagli, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti. L’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori, attuale europarlamentare del PD, rientrato anticipatamente in Italia, ha voluto far sapere che avrebbe votato convintamente a favore sia dell’articolo 8 che della Risoluzione.
Nel suo recentissimo libro in dialogo con Susanna Turco “L’imprevista. Un’altra visione del futuro” Elly Schlein cerca di dare un respiro lungo alla propria iniziativa politica nel PD e con il PD e la basa sulla credibilità del proprio percorso politico precedente. Tentativo legittimo che però è chiamato a misurarsi con le novità e le sfide attuali che stanno cambiando e hanno già cambiato il quadro nazionale e internazionale precedente. Il principale limite che si può riscontrare è che la segretaria del PD ha parole troppo generiche sulla questione pace-guerra sia perché si muove tutta all’interno dell’Alleanza Atlantica, che non mette minimamente in discussione come invece fa l’europarlamentare indipendente Marco Tarquinio, sia perché deve fare i conti con correnti interne al suo partito che sostengono apertamente non solo di continuare a dare armi all’Ucraina ma di utilizzarle per colpire obiettivi sensibili in territorio russo. Si veda l’intervista rilasciata al giornale La Repubblica dall’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ora presidente del COPASIR. Si veda il documento dell’area riformista del PD, rappresentato dallo stesso Guerini con Graziano Del Rio e Alessandro Alfieri, che in vista delle elezioni europee ha sostenuto come indispensabile il ricorso alla “deterrenza nucleare” in piena sintonia con l’aggiornamento strategico promosso dal Pentagono che, per fronteggiare Russia e Cina, prevede per L’Unione Europea e per gli alleati del Pacifico l’adozione della “Deterrenza Nucleare Estesa”.
E’auspicabile che il PD, principale partito progressista italiano, non rimanga prigioniero della “tenaglia” della Nato e della sua logica di blocco; tenti piuttosto, come fece Enrico Berlinguer, di proporre in Europa dentro la Nato la riduzione bilanciata dei missili nucleari sia a Est che a Ovest e si impegni a riaprire i negoziati sul disarmo nucleare per arrivare a nuovi Trattati sia sui missili a corto e medio raggio sia su quelli balistici a lungo raggio.
Come interlocutori credibili si stanno creando nel Parlamento Italiano e nel Parlamento Europeo “Intergruppi per la pace, la diplomazia, il dialogo multilaterale”.
Quello che occorre nel tempo sempre più difficile che ci aspetta è il coraggio di tentare di riaprire una prospettiva di pace che, è sempre più evidente, non è solo assenza di guerra ma sistema complessivo – olistico- alternativo al sistema guerra.
La pace: principio costituzionale, costituente, costitutivo
Ormai la dimensione internazionale della politica ha assunto un’importanza sempre più decisiva e solo una visione geopolitica coraggiosa e libera è in grado di guidare la politica estera e interna di uno Stato e, dunque, ispirare forze politiche e sociali se queste intendono contribuire davvero a costruire la pace, le condizioni per la pace, il disarmo e il cambiamento del modello di sviluppo: fattori indispensabili per avviare la costruzione di un cambiamento rispetto alla deriva attuale. Questa “metanoia”, questa conversione di mente, cuore, sguardo, impegno concreto è indispensabile per cominciare a delineare una prospettiva che si ispira alla cultura della pace come alternativa al sistema guerra, all’economia di guerra che si sta rafforzando in Europa con la riduzione della sicurezza umana a sicurezza tecnologica e militare e con crescenti finanziamenti agli apparati militari in Italia e in Europa.
Il ripudio della guerra come delineato dall’Articolo 11 della Costituzione richiede che la pace sia affermazione positiva in tutti i settori della società, per questo dovrebbe essere considerata principio costituzionale, in quanto garantita a tutti i cittadini da tutti i livelli istituzionali; principio costituente in quando ispiratore di un ordine più giusto e motore di soluzioni innovative nonviolente; principio costitutivo di tutte le politiche che uno Stato democratico o una Unione come quella europea dovrebbero assumere in tutti gli ambiti economici, sociali, educativi, sanitari, ambientali per non lasciare indietro nessuno.
Oggi comprendiamo sempre di più che la pace non è solo assenza di guerra, è un’alternativa: la pace è un sistema sociale, economico, politico, istituzionale alternativo al sistema di guerra.
Tuttavia di fronte al paradigma del mutamento globale alcune importanti tessere istituzionali ci possono essere ancora utilissime, anzi indispensabili. La prima tessera che non va svilita è quella del primato del Diritto internazionale, oggi sotto attacco. In questa ”oscurità del disordine”, come l’ha definita papa Francesco, servono vie creative per sfuggire alla tentazione di tornare alla assolutizzazione degli Stati nazionali. Serve ridiscutere l’architettura finanziaria internazionale ma soprattutto serve rilanciare e riformare quella istituzione internazionale multilaterale che è l’ONU. Se il “Patto per il Futuro” proposto dalle Nazioni Unite e adottato il 22 settembre 2024 a New York dai leader mondiali appare generoso di buone intenzioni, ma generico, anche se comprende la bella idea di un Patto Digitale globale e una Dichiarazione sulle generazioni future, di maggior consistenza e forza di proposta si rivela il Convegno “Salviamo l’ONU” organizzato a Roma dalla Fondazione PerugiAssisi. Riprendendo l’elaborazione di Antonio Papisca, Flavio Lotti e Marco Mascia dell’Università di Padova avanzano precise proposte di rilancio, riforma e democratizzazione dell’ONU e dello stesso Consiglio di Sicurezza. Dalle maggiori garanzie per la difesa dei diritti umani universali, alla creazione di una Assemblea parlamentare mondiale di secondo livello, alla compiuta realizzazione dell’Articolo 43 del Capitolo Settimo della Carta dell’ONU.
Sullo scenario internazionale stanno ormai emergendo due scenari antitetici : uno con il Diritto Internazionale, l’altro caratterizzato dall’uso e abuso della forza militare; uno con l’ONU e le Organizzazioni Internazionali multilaterali, l’altro senza l’ONU e al suo posto le Alleanze politico-militari dotate di Deterrenza nucleare; uno in transizione verso un possibile multipolarismo democratico e non gerarchico, l’altro in crescente competizione e conflitto per determinare nuove o vecchie egemonie.
Non illudiamoci che le elezioni USA siano risolutive
Non è indifferente per il futuro della U.E. la vittoria di Trump o di Kamala Harris ma, a differenza dell’influenza statunitense che è andata da Kennedy a Obama, l’attuale grave crisi della democrazia e della egemonia statunitense, sempre più incapace di costruire consenso globale, rischia di trascinare l’U.E. in un declino irreversibile e anticipato rispetto a quello dell’impero americano dotato comunque di maggiori risorse.
Il declino introverso della U.E. potrà assumere forme diverse: più nazionalismo, più populismo, più polarizzazione verso destre ispirate al suprematismo bianco e razzista se vince Trump. Più subalternità finanziaria, economica, tecnologica, militare agli USA se vince Kamala Harris.
La vittoria di Kamala Harris è comunque preferibile perché formalmente salva i principi dello Stato di Diritto e dell’equilibrio dei poteri, il mantenimento delle Istituzioni multilaterali anche se relegate come l’ONU ad un ruolo secondario.
L’Unione Europea sarà comunque coinvolta nel processo accelerato di disunità del mondo e di ulteriore subalternità al tentativo illusorio di ripristino dell’egemonia statunitense sia attraverso la Nato globale sia nella guerra multilivello che contrappone e contrapporrà Stati Uniti e Cina.
Nei Documenti ufficiali tanto dei Democratici quanto dei Repubblicani statunitensi l’obiettivo geostrategico principale è quello della superiorità militare sia convenzionale che nucleare rispetto ad ogni altra Potenza concorrente, quindi l’adozione della Deterrenza Nucleare Estesa in vista di un possibile doppio conflitto con Russia e Cina da poter sconfiggere contemporaneamente.
In questo quadro è evidente che se l’Unione Europea vuole salvare il progetto di una integrazione politica basata su Stato di Diritto, democrazia, giustizia sociale e ambientale, welfare, non può limitarsi ad una autonomia debole e subalterna alla logica di blocco politico-militare della Nato ma nemmeno ingannarsi illudendosi di diventare un gigante militare con un proprio esercito europeo come fondamento della propria unità politica che sarebbe tecnocratica e militarista. Quello che serve all’Unione Europea è piuttosto un forte rilancio di una propria autonoma Politica Estera Comune che sappia e possa guidare quella della Sicurezza e della Difesa e non che sia guidata dalla logica della militarizzazione della sicurezza e dunque del riarmo. Una Politica Estera di pace in un mondo in trasformazione che vede possibile superare in Africa il retaggio postcoloniale e formarsi nuove alleanze come i BRICS.
Anche nella possibile Riforma dei Trattati istitutivi della U.E. il “principio pace”, l’esigenza di una Politica Estera autonoma, l’impegno per il Disarmo e la lotta ai cambiamenti climatici per la casa Comune devono diventare i 4 valori guida se intendiamo contribuire a orientare positivamente la transizione verso un ordine multipolare policentrico alimentato anche da un “multipolarismo dal basso “(Fratelli Tutti). ,
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commenti
Roberto Cigala
30 ottobre 2024 10:56
L'analisi è corretta ed è sicuramente condivisa da molte persone in Italia e all'estero, serve una nuova visione politica italiana e internazionale per la risoluzione di tali problematiche e serve l'impegno concreto delle persone e delle istituzioni .
Antonio
1 novembre 2024 14:10
Questo tizio ( che mi dicono essere anche stato un parlamentare) non ha ancora capito dopo due anni e mezzo che la Nato era, ed è, solo una scusa per l’invasione della dell’Ucraina.
Povera Italia, con questa classe politica abbiamo pagato le pensioni a gente di 39 anni…