12 aprile 2021

Le pecore matte e la conservazione dei beni culturali: solo la bellezza sopravvive al tempo (e alla paura).

Selezione, scarto ed eliminazione sono tre fasi essenziali dell’attività che viene svolta in un archivio: è attraverso queste fasi che sostanzialmente si decide cosa lasciare ai posteri, quali documenti verranno distrutti e perduti per sempre e quali invece resteranno quale testimonianza del nostro presente a chi verrà dopo di noi. Una scelta che messa in questi termini potrebbe dare i brividi, ma che nella prassi viene ahinoi effettuata talvolta con una leggerezza sconfortante, con l’unico criterio del fare spazio senza distinzioni.

La conservazione (o la perdita) dei beni culturali, e più in generale il lasciare attraverso l’arte una testimonianza di sé, è una questione che accompagna dagli albori la civiltà umana. Dalla piramide di Saqqara fino al grattacielo Burj al –Arab di Dubai, dai parterres di Versailles alle pinacoteche di San Pietroburgo, dal Taj Mahal all’esercito di terracotta del primo imperatore della Cina, tutti i potenti della terra hanno sempre investito somme esorbitanti in opere d’arte, biblioteche e edifici per lasciare una traccia di sé ai posteri. L’idea che noi ci siamo fatti di chi ci ha preceduti, e anche ciò che in buona parte noi stessi siamo, è inevitabilmente frutto di ciò che appunto ci è pervenuto più o meno intatto.

I criteri e i fattori che incidono sulla conservazione delle opere sono molteplici: regole e norme emanate da accademici e legislatori, popolarità e gusti dell’epoca, materiali di realizzazione o semplice casualità. E’ quest’ultimo per esempio uno dei casi più noti e influenti della storia: il ritrovamento nel 1709 di Ercolano e poi nel 1748 di Pompei. Un caso questo di conservazione non decisa, non ragionata ma totalmente casuale e dovuta ad un evento tragico come una eruzione vulcanica. Eppure quella scoperta, oltre a far nascere l’archeologia, fece letteralmente esplodere in tutta Europa, e poi nel mondo intero, una nuova corrente di pensiero che divenne vera e propria mania, al punto da ridiscutere completamente gli edifici, gli arredamenti e perfino il modo di vestirsi: il Neoclassicismo. Paladino e fondatore di questa corrente fu Johann Winckelmann, tedesco, bibliotecario, archivista e storico dell’arte, nonché uno dei primi archeologi ed anche uno dei primi “sovrintendenti” ai beni culturali di Roma. Il Neoclassicismo fu talmente travolgente da consentire ad un rivoluzionario come Napoleone di nominarsi Imperatore, e da obbligare addirittura la neonata Repubblica americana ad essere neoclassica nella costruzione del Campidoglio e della Casa Bianca a Washington. Una dimostrazione straordinaria di come un processo di conservazione abbia potuto condizionare un’epoca intera dell’umanità dagli assetti geopolitici fino agli oggetti di uso casalingo quotidiano.

Una delle altre questioni centrali della conservazione sono i materiali che vengono utilizzati: la scoperta del calcestruzzo, unita alla incontenibile protervia di noi contemporanei, portò nel dopoguerra a pensare che il cemento sarebbe stato eterno nonché perfetto sostituto di ogni altro materiale. Oggi, ahinoi, abbiamo scoperto che dopo 80 anni esso inizia a sgretolarsi. Quando nel 1506 Giulio II, per costruire l’attuale San Pietro, iniziò a demolire l’antica Basilica Vaticana costruita dall’imperatore Costantino, scoprì che le travi del tetto in cedro del Libano recavano ancora marchiato a fuoco il suo stemma imperiale: il legno dunque aveva resistito per 1200 anni, altro che il cemento…

Oggi noi sappiamo con certezza che il papiro, in certi climi secchi, ha una conservazione di quattromila anni; le pergamene, realizzate con pelli di pecora, nei nostri climi freddi e umidi resistono dal VI secolo, e la carta, se fabbricata con il cotone come a Fabriano, ci è giunta immacolata dopo cinque secoli. Pellicole, Floppy disk, cd-rom, microfilms, VHS, sono tutti strumenti apparsi come sconvolgenti rivoluzioni e che hanno esaurito la loro funzione conservativa in pochi anni. Oggi abbiamo internet e i server: non sappiamo quanto dureranno, ma nemmeno conosciamo quante altre mirabilia ci sta riservando la tecnologia. 

Ciò che però nella conservazione è denominatore comune è indiscutibilmente la bellezza, o meglio l’espressione della bellezza attraverso l’arte. Giò Ponti, uno dei più grandi architetti del ‘900, diceva che “l’elemento più resistente in edilizia non è il legno, né l’acciaio, né la pietra, né il vetro. L’elemento più resistente è l’arte. Quindi, facciamo qualcosa di veramente bello». 

Chi scrive è fortemente convinto che il nostro futuro e la nostra salvezza non possano essere riposti né nella politica né nella farmacologia o nella tecnologia, che quando funzionano (al momento pare non troppo…) servono certo a migliorare la nostra condizione e a prolungarla, ma sempre e comunque per un pugno di anni in più, altro non ci è dato di avere. 

Il nostro riscatto è in ciò che più abbiamo sacrificato durante questa pandemia: la cultura, intesa anche come produzione artistica creativa, eseguita su supporti e con strumenti di altissima qualità: condizioni necessarie non solo a esprimere il meglio di una società, ma ad elevarci a livelli di coscienza più alti, avendo anche a cuore che le nostre azioni sopravvivano al tempo per chi verrà. Dice Beatrice nel V° Canto del Paradiso: “omini siate, e non pecore matte”. Le pecore sanno solo pascersi paciose o correre terrorizzate. A noi è chiesto molto di più: alzare il capo dal fango e guardare alle stelle, come diceva Oscar Wilde.

E proprio quando sembra il meno adatto dei momenti, ecco è proprio quella l’ora di ricominciare a fare “qualcosa di veramente bello” e smettere di fare le pecore matte. Non ci illudiamo, il fango ci accompagnerà sempre, una volta era la miseria, un’altra volta la tirannia, oggi è la pandemia. Ma anche le stelle ci saranno sempre: decidere dove guardare e verso dove andare è tutto lasciato a noi.

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

 

Francesco Martelli


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commenti


Ornella Righelli

13 aprile 2021 06:28

Articolo efficacissimo
Valorizza il passato la storia dell'universo e la nostra personsle