Le tentazioni? Spazi di libertà per l’uomo credente
La Quaresima è caratterizzata da luoghi precisi che oltre ad essere sfondo degli avvenimenti che hanno Gesù come protagonista posseggono sempre un forte significato spirituale.
Il nostro cammino di conversione inizia nel deserto, in questo caso è il deserto di Giuda che si apre maestoso e solitario dalla periferia orientale di Gerusalemme fin all’attuale Giordania. Su queste alture brulle, spazzate dal vento, Gesù si ritira per quaranta giorni. La tradizione colloca questo evento biblico su un monte, detto della Quarantena, che si erge sull’infuocata pianura di Gerico nel punto della massima depressione terrestre. Su questa altura esistono molte grotte e anfratti, trasformati nel V secolo dopo Cristo in romitaggi di monaci bizantini. Verso la fine dell’Ottocento è stato eretto un monastero greco-ortodosso che si può raggiungere solo con una teleferica.
È suggestivo pensare che Gesù, soprattutto di notte, quando la temperatura cala notevolmente, si sia rifugiato in queste caverne scrutando il Cielo e dialogando con il Padre.
L’evangelista Marco, con il suo stile scarno ed essenziale, afferma che Cristo è letteralmente scaraventato dallo Spirito nel deserto per subire le tentazioni di Satana. Non è dunque Gesù che sceglie di compiere questa esperienza, ma è lo Spirito Santo, subito dopo il suo battesimo nel Giordano, che lo spinge quasi con violenza. Luca, invece, molto più delicatamente, spiega che lo Spirito l’ha condotto nel deserto. In ogni caso questa esperienza si rivela necessaria nel progetto pensato dal Padre.
Perché?
Gesù, prima di iniziare il suo ministero pubblico, deve anzitutto fare una prolungata esperienza di unione con Dio così come accadde al popolo di Israele. Nell’Antico Testamento il deserto è il luogo dell’incontro con Jahvé, della relazione profonda con il Signore. In esso Israele riceve la legge e quindi si configura come vero e proprio popolo: gli viene concessa una chiara identità! I grandi profeti definiscono il deserto proprio come il luogo dell’intimità, della complicità, dell’ascolto confidente, della relazione amorosa: “Ecco la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” canta emozionato il profeta Osea.
Nel silenzio e nella solitudine Gesù contempla il volto del Padre, unifica tutte le sue forze per compiere la sua missione di servo dell’umanità. Nel deserto scopre sé stesso, la sua identità, la sua apertura agli altri, la sua libertà.
Ma più l’uomo si avvicina a Dio più Satana cerca di distrarlo: il deserto, infatti, è anche il luogo della prova, della tentazione, della lusinga. Nel deserto Gesù saggia la sua fede, la sua relazione con il Padre, la sua libertà, quelli che sono i suoi valori, le sue aspirazioni. La tentazione, dunque, forgia Cristo, la sua volontà, il suo abbandonarsi alla Parola. E così è anche per i suoi discepoli. La Quaresima, con il suo invito ad entrare nel deserto dell’austerità, della solitudine e del silenzio, è il tempo in cui possiamo conoscere noi stessi, la fede che ci anima, il male che ci assale, la fragilità che ci contraddistingue. Più il credente si avvicina a Dio e più avverte i morsi rabbiosi della tentazione. Viceversa chi non ha fede in Dio non sente di essere tentato.
La tentazione ci ricorda che siamo liberi e la libertà è certamente il bene più prezioso che possediamo ed è ciò che ci permette di amare, di aprirci al mondo con responsabilità, di decidere cosa vogliamo essere e come porci di fronte agli altri.
Proprio per capire se siamo liberi o meno dobbiamo anche noi entrare nel deserto, combattere contro lo spirito del male, isolare quelle “bestie selvatiche” che ruggiscono nel nostro cuore e che ci rendono violenti, insensibili, egoisti, avari, indolenti… Guardare in faccia le “bestie selvatiche” significa accertarsi nella propria fragilità e affidarsi a qualcuno più grande di noi che è capace di renderle mansuete. Pensare, infatti, di vincere le tentazioni da soli è da stolti, solo confidando in Dio e avendo come bussola la sua Parola, potremo guardare in faccia Satana con occhi di sfida.
Chissà in che modo gli evangelisti sono venuti a sapere di questa esperienza forte di Gesù: lui stesso ha raccontato ai suoi discepoli la lotta con il demonio o si tratta di un espediente letterario che raccoglie tutte le tentazioni che Gesù ha vissuto nella sua esistenza umana?
Fondamentalmente la grande tentazione che Gesù ha dovuto contrastare in tutta la sua vita è quella del potere, della forza, dell’evidenza: egli avrebbe potuto attirarci a sé ostentando la sua onnipotenza, compiendo gesti eclatanti o mostrando che la sua volontà è davvero l’unica strada per la felicità dell’uomo. Ma in questo modo Dio si sarebbe guadagnato dei sudditi e non dei figli e gli avrebbe attirati a sé con la paura del castigo e non con l’amore. E Satana nella paura, nell’angoscia, nella disperazione ci sguazza allegramente. Ciò che il demonio teme è l’uomo libero affascinato dall’amore di Dio e contagioso nell’amore.
Non per nulla Luca annota che, il diavolo, sconfitto e umiliato, si allontanò fino al momento fissato, cioè fino all’ora della croce. In quegli istanti così solenni e tragici l’avversario userà le labbra degli aguzzini di Cristo per spingerlo nuovamente a mostrare la maestosità della sua divinità: “Se sei il figlio di Dio scendi dalla croce”. Se l’avesse fatto avrebbe contraddetto tutta la sua vita caratterizzata da un amore disarmato, umile e nascosto. Ci avrebbe negato la nostra libertà. Il bene più prezioso. Il fondamento essenziale dell’amore.
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