Il perdono che spalanca il futuro
“Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra” (Gv 8,6). Di fronte alle persone che gli conducono una donna colta in flagrante adulterio, quindi in una situazione certa e conclamata di peccato, e gli chiedono cosa ci sia da fare, Gesù, senza dire nulla, scrive con il dito per terra.
Gesù scrive col proprio dito come molti secoli prima Dio stesso aveva scritto col suo dito le tavole della Legge (cfr. Es 31,18) che poi furono distrutte a causa del peccato del vitello d’oro, fabbricato da Israele nel deserto (cfr. Es32,19). Non ci è dato di sapere se il gesto di Gesù abbia inquietato coloro che gli hanno portato la donna peccatrice. Se essi si fossero accorti che quel che Gesù stava facendo richiamava loro l’azione di Dio sul Sinai, avrebbero potuto anche ricordarsi che il peccato di Israele non ebbe per punizione lo sterminio di tutta quella generazione, come Dio aveva minacciato, ma il perdono per intercessione di Mosè, che pregò a favore del popolo peccatore. È sempre facile per l’uomo di religione richiamarsi a figure sante, interpretandone la volontà secondo i propri criteri. Meno facile è imitare la loro santità. Di fronte al peccato che la Legge condanna, anche Mosè ha chiesto a Dio di fare un passo indietro e di ricordarsi del suo amore, e così: “Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,14).
Leggendo questo brano di Vangelo possiamo anche noi chiederci chi osservi meglio la Legge, se coloro che vorrebbero applicarla letteralmente o Gesù che ne coglie il senso come invito alla conversione, richiamo al cambiamento.
Guardando Gesù che scrive per terra, senza poter sapere che cosa abbia scritto, ci è data però la possibilità di immaginarlo. Gesù scrive la Legge, confermandola, la riscrive perché sia praticata a partire dal cuore, la riscrive perché sia vissuta da tutti e non semplicemente applicata nei giudizi contro qualcuno.
Di fronte al peccato degli altri la condanna è sempre facile. Di fronte al mio peccato, la sentenza di non colpevolezza è immediata. Umanamente resta per noi la domanda su come tenere unite la misericordia che invoco per me e la giustizia che desidero sulla vita degli altri, quando è segnata dal male.
Gesù, senza condannare lei e noi, ci invita a non sentirci migliori di quella donna, ci invita a lasciarci tutti porre sotto il velo della misericordia, che in Dio non è diversa dalla sua giustizia. Gesù ci invita a chiamare per nome il male e il peccato e ci dice che ogni male ed ogni peccato li si può vincere non eliminando chi li compie, ma eliminando prima di tutto il male stesso dalla nostra vita. Questa è vera liberazione.
Nell’ascolto di questa pagina di Vangelo, ciascuno di noi è chiamato a lasciar cadere i sassi di cui ha piene le mani, i sassi che scagliamo contro tutti coloro che sbagliano e peccano, forse per sentirci un po’ migliori di loro.
E in questo gesto di liberazione delle mie mani dalla tentazione di lanciare pietre, non sento solo più leggere le mie braccia, ma anche il mio cuore, perché non colpendo nessuno, so anche con certezza di non essere da nessuno colpito, so di essere protetto dalla volontà di bene che Dio ha verso ogni uomo, anche verso di me.
Quasi giunti al termine della Quaresima, alleggeriti dalla penitenza vissuta in queste settimane, anche di questo alleggerimento abbiamo bisogno: più leggeri nei giudizi, più leggeri nelle condanne, più leggeri nel mettere sotto accusa la vita degli altri. Che bello sarebbe celebrare la Pasqua svuotati dal lievito del giudizio e della condanna che fa fermentare odi ed esclusioni fuori e dentro di noi.
La vicenda dell’incontro di Gesù con la donna, mi porta a pensare una situazione reale e concreta, con la quale è bene avere il coraggio di confrontarci: il carcere.
La società ha bisogno di un luogo in cui si corregge l’errore commesso, in vista di una nuova capacità di stare in essa dopo che è stata ferita dal male che le si è inflitto sbagliando. Non meno, però, la società ha bisogno anche di quell’individuo che ora le è sottratto, privato della sua libertà. Ne ha bisogno perché anch’egli le appartiene. Le parole di Gesù alla donna riaprono un futuro per la sua vita. La correggono, ma non la condannano. Quanto sarebbe bello se lo spirito del Vangelo imbevesse a tal punto la nostra cultura, il nostro senso comune, lo spirito di chi fa le leggi, da far diventare capaci anche noi, di fronte a coloro che sbagliano, di volere la loro correzione in vista di un nuovo futuro, lasciando che la condanna spetti a Dio, se proprio la vorrà esprimere, senza pretendere mai di mettere noi al suo posto.
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