19 aprile 2025

Aprile '45, quei quindici giorni che videro la scomparsa dei protagonisti di un'epoca

Fa una certa impressione ricordare che 80 anni fa nel giro di due settimane morirono quasi contemporaneamente  tre protagonisti assoluti della Storia del ‘900 e non solo: Roosevelt, Mussolini e Hitler, esattamente il 12, il 28 ed il 30 aprile del 1945.

Nessuno di loro ha raggiunto i 65 anni, nessuno di loro ha visto la vittoria e la sconfitta definitive della guerra, nessuno di loro è morto dove era nato e nessuno di loro è morto serenamente.. 

FDR, come ancora lo chiamano gli americani, morì a 63 anni in una località termale della Georgia americana, lontano dalla sua adorata villa di campagna di Hyde Park nello Stato di New York in cui era nato da una delle più potenti famiglie d'America, e di cui era stato Governatore e Senatore. Morì devastato dallo stress devastante della gestione della Guerra, dalla poliomielite che lo affliggeva dalla nascita, dal fumo delle migliaia di sigarette confezionate per lui appositamente dal tabaccaio della 5th Avenue Nat Sherman, e forse anche dai quei troppi Martini Cocktail che tanto amava. Li amava al punto che durante la Conferenza di Yalta di poche settimane prima, ormai già vicino alle morte e provato dal viaggio terribile, ebbe solo a lamentarsi della mancanza di un scorzetta di limone nel suo Martini. Stalin venuto a saperlo e strabiliando tutte le delegazioni, gli fece trovare in piena guerra e in piena URSS un gigantesco albero pieno di veri limoni in un enorme vaso che gli fece portare nelle sue stanze.

Proprio come Abramo Lincoln, che incredibili coincidenze della Storia morì esattamente 80 anni prima nell aprile del 1865, FDR vinse la guerra e non ebbe modo di godersi la vittoria, come a render conto di quello che dicevano i capi indiani d'America,  che il Capo paga il prezzo di tutto il sangue versato nelle battaglie. 

Sedici giorni dopo, a Giulino sopra il lago di Como, davanti al cancello di Villa Belmonte, veniva giustiziato da un commando di partigiani comunisti, assieme alla sua amante Clara Petacci, Benito Mussolini, il Duce del Fascismo, dopo un rocambolesco e poco dignitoso tentativo di riparare in Svizzera. Avrebbe compiuto 62 anni alla fine di luglio. Le sue spoglie martoriate finirono appese in quel Piazzale Loreto dove un anno prima furono giustiziati 15 partigiani, in quella Milano dove nel 1919 il Fascismo era nato e dove era finito. E se come dicevano gli indiani il Capo paga per tutti, quel corpo martoriato del Duce era specchio del corpo dell'Italia devastata da una guerra senza senso in cui si era avventurato ormai già accecato dal potere assoluto.

Due giorni dopo, in una Berlino spettrale completamente devastata dalla furibonda avanzata di una Armata Rossa assetata di vendicare i suoi 26 milioni di morti,  Il Further del Popolo Tedesco nel suo Furerbunker si sparava alla tempia dopo aver assunto dei farmaci per essere certo di non sopravvivere. e dopo aver spostato e ucciso la sua Eva Braun.  Lui aveva 56 anni, lei 33.  I loro corpi furono carbonizzati dalla cerchia dei fedelissimi, come in un macabro rito nibelungo e proprio perché non subissero il destino di quelli di Mussolini e della Petacci e  sparissero nel vento come I personaggi di un dramma wagneriano, in quella atroce lucidissima follia che aveva causato cinquanta milioni di morti in cinque anni. La radio nazista ne diede la notizia suonando la Settima sinfonia di Bruckner, ultimo omaggio a quella estetica nazista cui tanto anevlava il suo Capo e che invece non produsse che morte e distruzione. Come solevano dire gli antichi greci, il Dio della Guerra aveva ricevuto il suo tributo da chi lo aveva risvegliato.

Ma proprio in quei giorni di devastazioni morte, precisamente il 25 aprile del 1945,  i miei nonni Attilio Martelli e Anastasia Barcillesi decisero nonostante tutto di sposarsi, convinti come milioni di altri italiani che la vita sarebbe continuata e il futuro sarebbe stato buono. rendendo possibile a chi scrive oggi di poterlo raccontare e a testimoniare che la vita è più forte della morte, che in fondo forse è il senso vero del 25 aprile.

(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano  

Francesco Martelli


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