Preparare la via significa riconoscersi peccatori
Se domenica scorsa l’orizzonte era l’attesa di un Dio che viene a riempiere di senso la nostra vita e a colmare quei vuoti d’amore causati dalle nostre imperfezione umane, in questa seconda tappa dell’Avvento Giovanni Battista ci consegna l’invito a preparare la via del Signore!
Il Precursore, insieme al profeta Isaia e alla Vergine Maria, è il grande protagonista di questo tempo forte! Ci è presentato come l’ultimo grande profeta della storia di Israele: un piede rivolto all’Antico Testamento e l’altro pienamente inserito nel Nuovo. Ricorda Elia per la sua veemenza e radicalità, per il suo amore alla Verità, per la sua dedizione totale alla causa di Dio. Pagherà con la vita la sua coerenza, la sua schiettezza, la sua irremovibilità.
Vive nel deserto, sulle rive del fiume Giordano. In quella terra brulla che è contemporaneamente luogo di intimità con Dio e banco di prova del credente. Il deserto è l’ambiente ideale per poter fare esperienza del divino: non ci sono distrazioni – solo sabbia, rocce e sterpaglie -, regna un silenzio che scava nelle profondità della coscienza mettendo l’uomo davanti a sé stesso; sopra un cielo oscuro costellato di tanti piccoli puntini di luce, unici compagni nelle notti fredde e tenebrose. Ma il deserto è anche il luogo dove il cuore è più vulnerabile: quando l’uomo permette a Dio di far breccia in lui, inevitabilmente Satana si insinua seminando dubbi, paure, ambizioni… Più l’uomo si avvicina a Dio e più il male attacca ferocemente! Il libro del Siracide è lapidario da questo punto di vista: “Figlio se vuoi servire il Signore preparati alla tentazione…” (Sir 2, 1).
L’Avvento, come la Quaresima, è il tempo del “deserto” che induce il cristiano a misurare la propria fede, a puntualizzare i propri dubbi, a dare almeno il nome al peccato che dimora nel proprio cuore. D’altra parte l’uomo capisce chi è veramente, su quali risorse può contare, su quali appigli può aggrapparsi soltanto quando vive la prova. Guai all’uomo che nella propria vita non ha mai fatto naufragio, non si è mai confrontato con il fallimento, non si è mai ritrovato nelle paludi del tradimento, dell’irriconoscenza, della delusione! Quanto è salutare, allora, ogni tanto, entrare nel deserto per saggiare la propria coscienza!
Giovanni grida al popolo di Israele che “preparare la via al Signore” significa soprattutto riconoscere quanto il peccato sia devastante nel proprio rapporto con Dio, con i fratelli, con sé stessi.
D’altra parte che cos’è il peccato? La risposta sbagliata al nostro desiderio di felicità, di pienezza, di completezza. Satana, il grande maestro dell’inganno, tenta in tutti i modi di convincerci che il frutto dell’albero proibito è così bello, così buono, così gustoso e che il limite che Dio ci ha imposto è solo un subdolo gioco per renderci infelici e insoddisfatti e per non permetterci di assaporare il suo stesso potere, la sua stessa libertà.
Dovremmo davvero imparare a capire quanto il peccato sia deturpante ed estraniante, fomentatore di odio e di egoismo, di spietatezze e di insensibilità. Più ci si abbandona al peccato e più la nostra umanità si imbruttisce e declina. Occorre, poi, grande attenzione non solo al peccato mortale, quello più grave, ma anche ai cosiddetti peccati veniali: non vanno mai sottovalutati, perché creano delle abitudini cattive che, giorno dopo giorno, inaridiscono il cuore negandogli slanci e progetti ambiziosi.
Preparare la via del Signore significa soprattutto questo! Quando l’uomo riconosce quanto grave è la malattia dell’anima che lo investe e che gli preclude una felicità vera, intensa, duratura, allora corre ai ripari e si affida a chi può salvarlo. Giovanni indica Gesù come l’unico rimedio al nostro amore malato, alla nostra sbagliata ricerca di quella bellezza, di quella felicità, di quella pienezza che danno sapore e colore alla vita.
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