31 dicembre 2023

Quelle applicazioni che sostituiscono il rapporto umano e ci condizionano

Le direttive che vengono richieste sono chiare, limpide e incontrovertibili: serve una applicazione sul proprio smartphone per poter accedere a determinati servizi. Mi guardo intorno e penso che quel servizio, che servirebbe a mia madre, parte con il presupposto di un qualcosa che tenda più ad allontanare le persone piuttosto che ad avvicinarle. La colpa di questa mancanza è relativamente attribuibile a mia madre, classe 1938, che ha avuto l'ardire di nascere prima della Seconda guerra Mondiale ma, soprattutto, è responsabilità mia in quanto non sono stato in grado di spiegarle e farle capire l'importanza di avere uno smartphone e di dover scaricare una applicazione per poter utilizzare determinati servizi. Sono colpevole, indubbiamente, me ne faccio una ragione e ammetto tutti i miei limiti; lei ha studiato sui libri e non sui modernissimi tablet, lei ragiona secondo la logica che una persona dovrebbe essere in grado di dialogare con altre persone prima ancora che con una icona su uno schermo mentre io ho cinquanta anni e, se non sono in grado di capire determinate cose, sono fuori dal mondo.

Giusto così, del resto è controproducente dover pensare a come rendere migliore la propria esistenza sulla base di ciò che il mondo ti offre o meglio; che ti impone, perché il processo di sviluppo tecnologico rivolto alle persone sembra sempre più un passaggio necessario e obbligatorio piuttosto che una scelta consapevole. Penso a mia madre che non ha neanche lo smartphone o il computer, il suo telefono portatile è di quelli che serve solo per quel retrogrado modo di comportarsi che è rappresentato dal comporre un numero e parlare con coloro che stai cercando. E' una questione di fiducia che si sviluppa con la controparte che stai contattando, ma viene da pensare che, se siamo costretti a condividere dati e informazioni con chiunque, vuol dire che quel nesso di fiducia negli altri, più o meno ben riposta, sta sparendo.

Qualche settimana leggevo di una ragazza inglese o statunitense, non ricordo con esattezza, che urlava ai 4 venti – forte di social sempre più “raffinati” in materia di notizie - di aver lasciato il suo ragazzo perché, condividendo con lui i dati sulla attività fisica grazie ad un orologio “intelligente” o smartwatch, aveva scoperto che lui la tradiva dato che all'una di notte, invece di dormire nel suo letto, stava facendo attività fisica bruciando calorie. Quale tipo di attività fisica è facilmente intuibile, evidentemente il ragazzo ci teneva al mantenimento della propria forma fisica ma un consiglio è spendibile per l'appassionato di attività aerobiche; la prossima volta, magari, togliti lo smartwatch, ammesso e non concesso che una volta slacciato quel orologio non informi la tua nuova ragazza sulle reali intenzioni che hanno accompagnato quella scelta.

L'alternativa è vivere 24 ore al giorno 365 giorni all'anno attaccato ad uno strumento elettronico che determinerà la tua validità come persona degna di fiducia o meno, il processo di moralizzazione e di attribuzione delle responsabilità di una applicazione non ammette esoneri, non accetta compromessi, non ritaglia tempo per se stessi e illumina su come gestire le relazioni umane. Non accetta azioni al di fuori di quelle previste o necessarie per il mantenimento di quella pressione continua che fa leva sulla sfera sociale. Il cervello di una controparte sarà sempre meno importante, valgono i dati sullo smartphone non le scelte personali, vale il fatto di doversi allontanare da una socializzazione vecchio stampo a favore di relazioni sempre più legate a quel feroce concetto di privacy tanto caro a tutti da rendere ogni spostamento o ogni pensiero pubblico e non contestabile. Ci arriveremo presto, sempre per rinsaldare quello stupendo rapporto di fiducia tra due o più persone o tra un cittadino e una qualsiasi istituzione.

Mi rendo conto di essere lontano da ciò che il XXI secolo elargisce senza limiti di sorta, quasi come una cornucopia che, addormentata fino a pochi lustri fa, adesso inonda le persone di possibilità che prima non esistevano e se le possibilità non sono presenti si può sempre fare in modo di crearle fino a renderle necessarie o obbligatorie. Ragionando in questo modo so di apparire limitato, frustrato, ignorante e anche retrogrado secondo l'ottica per cui uno strumento evoluto rappresenta un balzo avanti per il cervello di ognuno di noi, il fatto di non volerlo rendere parte necessaria e fondamentale nella vita quotidiana suona malissimo; sei contrario al progresso. Sarà anche vero ma quel rapporto di fiducia su cui, storicamente, l'uomo ha compiuto determinate scelte sia personali che collettive è ancora, secondo me, il più grande progresso che le persone possano ottenere. Non ho le capacità per affrontare un percorso così repentino che sia in grado di fugare ogni dubbio sulla valenza di quei prodotti i quali, con una rapidità impressionante, si trasformano da utili ad obbligatori; nel mio piccolo ho sempre pensato che lo strumento migliore esistente è ancora l'uomo, non la venerazione per il sostituto di un rapporto umano che offra continuamente informazioni su cosa dobbiamo o dovremmo fare, chiedendo come controparte una fiducia cieca ed illimitata.

Marco Bragazzi


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti