Siano nati per "uscire", possibilmente "uscire bene"!
Siamo nati per “uscire”. Se ci pensiamo bene tutta la nostra esistenza è caratterizzata da questa azione. Per venire alla luce siamo “usciti” dal grembo di nostra madre; per manifestare la nostra autonomia siamo “usciti” dalla nostra casa di origine per costruirne una nuova; per gustare appieno la relazione con l’altro siamo “usciti” e continuamente tentiamo di “uscire” dal nostro individualismo; per seguire seriamente Cristo cerchiamo di “uscire” dal nostro piccolo orticello egoista per percorrere le strade del mondo; per trovare una serenità ed un equilibrio esistenziale combattiamo per “uscire” da certe crisi che soffocano cuore e mente. Al termine della nostra avventura terrena, quando sorella morte busserà alla nostra porta, “usciremo” da questa vita per godere della bellezza del volto di Dio.
Chi vive “esce” da quella bolla – al tempo stesso soffocante e confortante - che è il proprio “io”, dalle sicurezze che possono trasmettere i muri e le recinzioni, dalle certezze di un orizzonte conosciuto minuziosamente.
L’uscire implica un atteggiamento di fiducia, una sete di novità, una buona dose di coraggio, ma anche la consapevolezza che investigare e percorrere territori nuovi è sempre arricchente e, soprattutto, evita l’asfissia di stanze chiuse, senza ossigeno. Esce chi riconosce di avere bisogno di qualcosa d’altro che non sia il proprio ego e chi ama scommettere non solo sulle proprie forze, ma su qualcuno (o qualcosa) che è affidabile, affascinante, appetibile.
Evita di uscire il narcisista perché basta a sé stesso, l’ansioso perché atterrito dal nuovo, l’indolente perché insofferente ad ogni fatica, il cinico perché estraneo ad ogni ideale, il disincantato e l’incredulo perché incapaci di stupirsi dinanzi al mistero della vita.
Scrive argutamente il teologo don Luigi Maria Epicoco: “Non esiste un’esperienza di fede che coincida con un movimento statico. La vera fede è uscire dalla solitudine del nostro io per andare incontro a ciò che può compiere il nostro vero io”.
Chi fa esperienza di Cristo solo per guadagnare per sé pace e sicurezza, quel benessere personale che è il miraggio di tutti, illude solo sé stesso. Gesù non promette nessun benessere, ma la salvezza dell’anima che spesso passa dal crogiuolo della purificazione e della sofferenza. Chi incontra sul serio Cristo “esce” nei territori inesplorati eppure affascinanti dell’amore che tutto dona senza reclamare niente.
Ma non basta “uscire”, occorre “uscire bene”, forti di quella sapienza che è cantata mirabilmente nella prima lettura di questa seconda domenica di Novembre. Per la Bibbia il sapiente non è l’acculturato, l’erudito, lo studioso, ma colui che è talmente immerso nel mistero di Dio da vedere, giudicare, interpretare la realtà con occhi di Cielo. È colui che sa discernere il bene e il male e ne soppesa con esattezza le conseguenze. Il sapiente è ricco di quel sacro timore di Dio che gli permette di riconoscere i propri limiti e le proprie fragilità e di aprirsi con fiducia all’azione dell’Onnipotente.
Le cinque vergini del Vangelo sono sapienti perché si possono presentare all’incontro nuziale con l’olio necessario per accendere la lampada: esse hanno quel tanto che basta loro per fare luce intorno, per riconoscere e farsi riconoscere dallo Sposo.
Ma cosa rappresenta l’olio in questa parabola? L’olio è tutto ciò che permette all’uomo di maturare in sé la statura alta dell’amore verso Cristo e verso i fratelli: è la fede in Dio, sono i gesti di carità compiuti verso il prossimo, i talenti messi a disposizione di tutti, la buona testimonianza data ai fratelli più fragili e increduli. È tutto ciò che permette all’uomo di conformarsi il più possibile a Cristo così che egli, al momento dell’incontro finale, possa riconoscerlo e accoglierlo nel suo abbraccio.
Le vergini stolte quando bussano alla porta sbarrata ricevono una amara sentenza: “Non vi conosco”. Un cuore stolto, che non ha mai scommesso sull’amore, che ha sempre e solo cercato il proprio “benessere”, il proprio godimento, la propria salvezza è totalmente estraneo a Cristo. Un cuore così non potrà mai incontrare, capire, accogliere il cuore di Cristo.
Così sarà alla fine dei tempi: quando saremo di fronte a Dio, che è amore potente e assoluto, ci sentiremo attratti da lui soltanto se nella nostra vita avremo assimilato il suo linguaggio, il suo stile, la sua prossimità, la sua apertura di cuore; viceversa se avremo imboccato la strada dell’egoismo e del male proveremo – noi e non lui - una violenta repulsione perché Egli ci apparirà lontano, estraneo, totalmente in antitesi alla nostra visione della realtà, quella che ci ha accompagnato in tutte le fasi della nostra esistenza.
È oggi, in questo difficile ma esaltante presente, che prepariamo la nostra riserva di olio o - per usare un’altra suggestiva immagine - forgiamo la chiave per aprire quella porta che non è stata sbarrata da Dio, ma che è chiusa perché l’uomo non è capace di aprirla, non ne ha gli strumenti! Uno che ha vissuto la propria vita solo per sé stesso non riuscirà mai a varcare quella soglia che introduce in un mondo di amore puro, gratuito, disinteressato. Un mondo che per lui sarà incomprensibile!
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