8 marzo 2023

Sono donna, quindi? Non chiedetemi di festeggiare l’8 marzo

Non scriverò di quale dono meraviglioso sia essere donna. Penso sia un dono meraviglioso essere vivi ed avere una vita in cui poter esprimere il proprio potenziale, coltivare i propri sogni e, magari, non doversi scusare ogni giorno per l’essere umano che si è. Stesse cose potrebbero essere affermate da un uomo. L’argomento potrebbe esaurirsi qui, in realtà, c’è molto da dire, da fare. È necessario valorizzare le differenze tra le persone, più che tra i sessi. C’è questa assurda tendenza a generalizzare tutto e tutti. In qualche modo, anche in quelle persone che definisco insospettabili, c’è l’incomprensibile tendenza a fondare argomentazioni sui piani opposti uomo-donna, su cosa fa meglio uno o in cosa riesca meglio l’altro ed attraverso questa faciloneria comportamentale si creano stereotipi.

L’8 marzo, in gran parte del mondo, si celebra la “Festa della donna” ma, in modo più corretto, dovremmo iniziare a chiamarla “Giornata Internazionale della Donna”. In apparenza la differenza può sembrare banale, ma non è così. Dovremmo fermarci a riflettere sul contesto politico, sociale ed economico in cui la condizione femminile ha tentato la svolta. Non credo che, allo stato attuale delle cose, ci sia molto da festeggiare. I tempi cambiano, fiumi di parole vengono scritte, si ostenta la parola libertà in ogni dove, eppure, c’è ancora molta strada da fare. A partire dall’utilizzo della parola rispetto. Qualcuno ha scritto che tutte le donne nascono principesse, poi la vita … le addestra guerriere. 

Il percorso che ha portato a questa giornata è lungo e per nulla facile. 

Io appartengo a quel ramo di donne “fortunate” perché sono nata in un contesto lontano da guerre, lontano dalla fame, lontano da soprusi verbali e fisici, o meglio, questi ci sono, ma ci viene detto che prima o poi dobbiamo farci i conti e dobbiamo imparare a difenderci. Siamo nel 2023 e siamo ancora qui.

Impossibile non riflettere su quanto sta accadendo tra Ucraina e Russia. Non entrerò nel merito del perché si è arrivati alla guerra, non è il fine del mio scritto ma, sicuramente, la vita per questi nostri vicini di casa non è semplice. Se c’è una cosa che l’esperienza di vita e professionale mi ha insegnato, oltre al fatto che c’è sempre da imparare, è che, se c’è in corso una guerra, la parte peggiore è sempre vissuta da donne e bambini. Le testimonianze provenienti da ogni dove nel mondo non lasciano spazio ad interpretazioni. Si vive la disumanità della violazione dell’essere.

Primo Levi nell’ incipit di “Se questo è un uomo” scriveva “… voi che vivete sicuri … nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a casa la sera. Il cibo caldo e visi amici…”; quanto, ancora, nel presente risuonano vere queste parole. Quanto sono attuali. Non posso non tornare con la memoria agli anni della Grande Guerra e leggendo capirete il fine del mio ricordo.

Molti uomini avevano lasciato le loro vite perché chiamati a combattere contro l’esercito austro-ungarico, la loro assenza provocò conseguenze molto pesanti a livello economico e sociale. Gran parte dei nuclei familiari erano di origini contadine e operaie, tutto legato alle consuetudini del tempo: gli uomini lavoravano fuori dalle mura domestiche e le donne badavano alla casa e ai figli. Nel 1915 tutto cambiò. Contadini ed operai furono sostituiti da chi non era al fronte: le donne. Non solo, anche dal punto di vista socio-culturale le donne si misero in gioco, si trasformarono in maestre per insegnare ai più piccoli ed a chiunque avesse la necessità di imparare a leggere, scrivere, contare, così come furono indispensabili le infermiere per curare feriti e malati. In questa situazione è mutato in modo inequivocabile il ruolo della donna. A questa emancipazione lavorativa non corrisponde, però, una evoluzione della libertà personale, basti pensare che le donne hanno espresso il diritto di voto per la prima volta il 10 marzo del 1946. 

Con la macchina del tempo ritorno all’oggi. In tutto il mondo si stima che circa il trentacinque per cento delle donne abbia subito violenza, sessuale e non, almeno una volta nella vita. Nel trentotto per cento dei casi di omicidi di donne, il colpevole è il partner. Il numero di bambine già sposate con un uomo (solitamente più grande) ammonta a ventidue milioni circa. Queste sono cifre ma non possiamo non sottolineare che i numeri sono storie di vita reale. Una vita che nessuno vorrebbe. Proprio per questo voglio mettere l’accento su quanto sia differente l’unità di misura del concetto di libertà, dipende da dove si vive. 

Se penso alla libertà intesa come coraggio, mi viene in mente Sara Khademolsharieh che, a soli 25 anni, lei giovane campionessa di scacchi, che fa parte dell’Iran Chess Team, il 27 dicembre 2022 ha deciso di giocare senza velo ai campionati del mondo di scacchi ad Almaty, in Kazakistan. Ha rifiutato l’imposizione dell’hijab obbligatorio mettendo a rischio la vita. Tutto ciò mentre i suoi connazionali manifestavano a Teheran e venivano uccisi nel peggiore dei modi. Con stile e garbo ha dimostrato forza.

Oggi scandalizza il pensiero, o meglio, infastidisce ancora il successo professionale femminile. Infastidisce alcuni uomini perché non accettano il paragone con una donna ed infastidisce una certa categoria di donne perché invidiano quella “fortunata” che, a loro parere, è riuscita in qualcosa a cui loro mai avrebbero nemmeno immaginato pensare. Oggi, che piaccia o meno, stiamo vivendo un passaggio epocale. Cosa accade? Abbiamo una donna Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, prima donna nella storia d’ Italia a ricoprire questo ruolo, Elly Schlein, la neo eletta Segretaria PD, donna a capo di uno dei partiti storici d’ Italia e Margherita Cassano, prima donna presidente della Corte di Cassazione. Abbiamo un gineceo di prime donne che sta emergendo, non sicuramente per i capricci con cui si è soliti definire le prime donne, ma per la loro capacità di intelletto che piaccia o meno lo schieramento politico a cui appartengono. È vergognoso che i giornali impongano continuamente titoli denigratori sull’aspetto fisico di una piuttosto che dell’altra. Brutta, grassa, non curata, gonfia, con le rughe, sciatta, bassa, spilungona e via dicendo. Oggi c’è il processo alla bellezza o meno femminile. Lo chiamano body shaming, io lo chiamo bassezza. Il valore dell’apparenza e la totale mancanza di stile anche sui social ha raggiunto livelli di pochezza indefinibili. Non è per mancanza di cultura ma per incapacità nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione e senso del limite. Spesso chi scrive non si rende conto del contesto in cui lo fa. Ci si dimentica troppo facilmente che la libertà termina dove inizia quella dell’altro. Si supera il limite troppo facilmente senza pensare alle conseguenze. 

Una donna molto più titolata e capace di me scriveva: “Le donne che hanno cambiato il mondo, non hanno mai avuto bisogno di “mostrare” nulla se non la loro intelligenza” Rita Levi Montalcini. Io la penso esattamente come lei.

Beatrice Ponzoni


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commenti


ada.ferrari

9 marzo 2023 09:33

Concordo. L'intelligenza femminile riesce tutt'ora indigesta a molta, troppa parte del mondo maschile. E a giudicare dallo scempio estetico
chirurgico con cui tante donne umiliano se stesse per rendersi più conformi a canoni correnti di penosa volgarità estetica, direi che c'è ancora tanta strada da fare non solo per gli uomini ma anche per le donne.