14 gennaio 2024

Un Vangelo fatto di sguardi

È un Vangelo di sguardi quello che ci propone la liturgia in questa fredda domenica di metà gennaio. E lo sguardo dice molto del cuore dell’uomo: ne rivela la profondità, l’ampiezza dell’orizzonte che si desidera esplorare, la bontà o la cattiveria d’animo, la ferma volontà di ricercare il senso ultimo e profondo delle cose o, al contrario, l’accontentarsi di rimanere in superfice.

Si potrebbe semplificare: dimmi come guardi e ti dirò chi sei! 

Lo sguardo che Giovanni posa su Gesù quando questi passa in maniera quasi improvvisa ed inaspettata, racconta tutto di quest’uomo dall’apparenza burbera e arcigna, ma che in realtà possiede una straordinaria docilità e umiltà di cuore.

Quello di Giovanni Battista è lo sguardo stupito e appagato di chi ha finalmente trovato tutto ciò che anelava, tutto ciò che cercava con forza e radicalità nella propria vita. È arrivato alla meta del suo itinerario: il suo cuore è in pace! Ma è soprattutto uno sguardo contagioso e gratuito: egli contempla Gesù non solo per sé stesso, ma per condividerlo con gli altri. Il suo modo di fissare Gesù e la sua professione di fede – “Ecco l’Agnello di Dio” - inducono i suoi discepoli ad abbandonarlo per andare dietro a Gesù. 

Il Battista, come tutti i buoni padri spirituali non seduce, cioè non lega a sé, alla sua persona, i discepoli, ma li educa, cioè li conduce fuori, verso una profonda autonomia che è garanzia di dignità e di libertà. Fortunato chi nella propria vita incontra un maestro e non un seduttore!

Il maestro, infatti, è colui che non dà mai la risposta pronta, non insegna ricette semplici, ma offre quegli strumenti che permettono alla persona di fare una scelta chiara e consapevole. Egli non cela le difficoltà, la necessità di compiere dei sacrifici, la complessità del cammino per giungere al bene, l’importanza di darsi delle mete alte, una progettualità che superi il presente e guardi al futuro. Il maestro rammenta sempre il valore del sacrificio e la grandezza della sofferenza che è spesso l’unica via per umanizzare il cuore. Il maestro non condiziona, non attrae a sé, non crea dipendenza, ma fa di tutto perché il discepolo diventi autonomo e intraprenda la propria strada con entusiasmo e buona volontà. Il maestro, però, nelle situazioni difficili e inedite non scompare, ma accompagna. Nel maestro non ci sono secondi fini se non la ricerca del bene per il proprio allievo.

Tutt’altra cosa è il seduttore: egli fa di tutto per creare dipendenza, per legare l’altro a sé così da usarlo per i propri scopi e quindi trarne vantaggio. Al seduttore non interessa nulla della persona a cui si affianca: egli mira solo a manipolarla per i propri scopi! Offre gioie istantanee, effimere, che al momento sono particolarmente piacevoli, ma a lungo andare rendono il cuore solo più arido, insicuro, assoggettato al pensiero dominante. Satana è il maestro della seduzione: egli anela schiavi non figli!

Il Battista mostra non solo con le parole, ma con i fatti di essere “voce che grida nel deserto”. Il suo compito è quello di indicare e non di trattenere. Lascia liberi i suoi discepoli di seguire il Signore in maniera così subitanea da neanche salutarlo e ringraziarlo: che profonda libertà interiore mostra quest’uomo che è vissuto solo per servire e non per servirsi di Dio!

Lo sguardo di Gesù, invece, penetra l’intimo dei due discepoli del Battista e poi di Simone, il figlio di Giovanni. Uno sguardo che è dolce e violento come è l’amore. Dolce perché comunica una tenerezza, un’attenzione, una compassione, una benevolenza mai provata prima e violento perché costringe a fare delle scelte, a prendere una posizione. È uno sguardo che inquieta, che rimesta nell’intimo, che risveglia domande sopite. È lo sguardo che fa fuggire il giovane ricco perché troppo attaccato ai suoi beni materiali, che fa scendere Zaccheo dal sicomoro e gli fa cambiare vita, che induce Pietro a fuggire in pianto dopo lo scellerato tradimento del Venerdì Santo.  

Ma Gesù non si ferma allo sguardo e, invece di un comando imperioso, rivolge ai due discepoli una domanda: “Che cercate?”. 

Spesso Dio si avvicina all’uomo facendo domande, cioè risvegliando in lui la consapevolezza del proprio vivere, delle proprie scelte, delle proprie azioni. Fare domande significa esaltare la dignità dell’interlocutore, la sua importanza, ma anche riconoscere l’importanza di rimotivare sempre le proprie scelte, di non dare mai per scontato nulla! Per Gesù questi due discepoli sono importanti ed è ancora più importante che sappiano quello che fanno, quello che cercano. Gesù non offre risposte facili, ma domande che scavano nel profondo del cuore. Gesù non è un rifugio, ma è un trampolino! L’incontro con lui non porta consolazione, ma una sana inquietudine, la ricerca di ciò che è vero, autentico, appagante in maniera definitiva e non transitoria. 

Se uno vuol seguire Gesù per guadagnarsi la tranquillità allora ha sbagliato strada!

 

Claudio Rasoli


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commenti


Miriam

14 gennaio 2024 10:30

Riflessioni di don Rasoli che aprono scenari che personalmente da sola non avrei scoperto.
Parlare dell’importanza dello sguardo in una società così sempre di corsa e conseguentemente disattenta sembra quasi fuori luogo ed invece mi viene proprio da dire : fermati, rifletti e guarda con occhi diversi chi incontri. Grazie quindi!

Massimiliano

14 gennaio 2024 12:10

Solo un grande grazie.