La pesca nel Morbasco e la casa del colonnello da via del Sale
La "Cremonella" passa anche, sotterranea e segreta, al centro di quel tratto della strada che dalla strettoia della caserma arriva fino alla piazzetta di S.Lucia. L'estremo limite di quella via era costituito dal vecchio muro dell'antico mattatoio comunale, invalicabile per tutti ma non per lei che lo sottopassava. Nei giorni della mattanza, quando il disperato grugnire, travalicandolo, inondava la strada, si diceva che la sua acqua si colorasse di rosso per il trasporto di colaticci ed interiora. Poco più a valle, al ponte di via del Sale, la parte dell'acqua grassa che la Cremonella riversava nel Morbasco attirava, in quel punto di confluenza, l'affamata fauna ittica che viveva nell'antico rivolo. S'ammassava vorace, guizzante in un perpetuo tremolio, balenante se raggiunta dai raggi dal sole. Dal ponte sul Morbasco in via del Sale, prima che vi arrivasse la Coop Lombardia che tutto distrusse, guardando un po' di sbieco, si poteva vedere parte della bella villa del colonnello ed un tratto del portico. Nella stagione fredda, chiuse le grandi vetrate e trasformato in serra, vi venivano messe a riparo alcune delle piante del giardino. Il portico, costruito ad arte, prendeva il calore dell'ultimo raggio anche quando le giornate si erano fatte brevi ed il sole tramontava velocemente dietro l'argine. Nel giardino non mancavano l'edera, il glicine e i fiori gialli, buoni per gli invernali infusi emollienti, dell'alto e spontaneo tasso barbasso ormai quasi scomparso dalle nostre campagne, poi erano i colori diversi delle rose.
Dal piano di calpestio del portico, con ampi terrazzamenti del terreno, il giardino scendeva verso il Morbasco ed una ringhiera, a protezione degli incauti, chiudeva verso il fosso l'ultimo gradone. Da questa, perennemente appeso al palo di sostegno, dondolava il "bilancino" da pesca del colonnello, la rete sempre pronta per essere usata tesa ad asciugare. In quei giorni di macellazione anche il colonnello pescava, calava il suo reticolo nel sottostante punto dove le due acque brulicanti si univano. Altri lo facevano dal parapetto del ponte. In quei giorni di abbondanza, deposte le abituali diventate inutili lenze con esca alla quale niente avrebbe abboccato, l'insidia ai pesci veniva posta con bilance e bilancini differentemente tramati.
Del colonnello non era noto con certezza a quali campagne avesse partecipato, né se fosse proprio lui il colonnello, l'abitante della villa in quei giorni o un suo avo, ma per tutti noi era il “colonnello”. C'era chi sosteneva che fosse stato in quell'Africa oltre il canale quando, su di alcune di quelle terre, regnavano Menelik e la regina Taitù ed il tempo tornava a quello dell'altro secolo. Per ann li ho creduti due personaggi immaginari, inventati come lo erano gli eroi dei racconti per ragazzi e che, come questi, le parole dei loro dialoghi fossero graficamente racchiuse in fumetti e nuvolette.. Circolava anche un sonetto che veniva cantato su di un motivo popolare, forse il ritornello di un canto più lungo, diceva: " e Menelik con la regina Taitù/son la rovina della nostra gioventù". Il significato tragicamente vero di quella rovina lo scoprii anni dopo ed il sonetto smise di suscitarmi ilarità. Fra i nativi di quell'Africa, cautamente contrastato ed ampiamente tollerato dagli occidentali sempre più presenti dopo l'apertura del canale, si continuava a praticare il commercio degli schiavi ed il tempo non era ancora quello delle conquiste armate ma dei "protettorati", delle "Compagnie" e delle "penetrazioni scientifiche". Minacciosamente prudente però un piroscafo munito di cannoni (una cannoniera) era sempre alla fonda nella rada o incrociava lungo le coste. Ne sapevano qualche cosa gli abitanti di Zanzibar che in quegli anni, per una questione di bandiere issate e non ammainate, in quarantacinque minuti di cannoneggiamento da parte di una cannoniera inglese morirono in cinquecento. Ci fu chi tornò, da quelle esplorazioni, con un ragazzo comprato al mercato.
Il colonnello di porta Po da quelle imprese era tornato portandosi, per adibirla a "servitù domestiche", una giovane africana. Pare che i nostri, in quella terra, approfittassero largamente di questa possibilità. "Le brune ed aggraziate figlie del sole" , piacevano molto agli italiani.."In quelle giovani somale si scorgeva un assieme di femminilità greca e romana commista al profilo snello ed asciutto ed alle calde e vellutate tonalità di colore proprie del sangue arabo. Nelle brune ed aggraziate figlie del sole, sbocciate come fiori gentili in quelle serre dei tropici, si riscontra ancora una pastosità di forma, una pienezza di linee, ed una vaga dolcezza di espressione. Sferzano furiosamente il sangue con un fascino acuto, acre, selvaggio ed inebriante come il profumo e gli aromi di quelle resinose boscaglie di acacie".[..]Le giovani donne sono di una grazia armonica e statuaria. La testa piccina ed oblunga la curva ampia e voluttuosa dei fianchi, il ritto petto tondeggiante, che turgido erompe dalla veste che invano lo costringe"( Luigi Robecchi Bricchetti, geografo ed esploratore). "Dal momento che i bianchi comperavano le nostre fanciulle, non credevo che fosse male il comperare e cedere altri schiavi" si giustificava, per quel commercio, un funzionario arabo della compagnia del Benadir. "No, non per liberarle" controbatteva ed accusava il funzionario, "essi le comperavano per il loro piacere, per farne delle concubine, non per liberarle!".
Un "Regio Commissario Generale", al suo richiamo in patria, fu accusato dell'acquisto di una schiavetta di dodici anni "per fini immorali". Non era certamente il caso del colonnello, questa voce non circolava a porta Po Si diceva solo che sua moglie mostrasse la giovane africana alle amiche che, di tanto in tanto andavano a farle visita. "Capisce solo la frusta", pareva dicesse loro di lei, senza riuscire a far togliere gli sguardi delle signore dalle fattezze della ragazza. Ma queste erano storie che gli adulti si raccontavano fra loro.
Noi ragazzi di quel tratto di via Bissolati, se appoggiavamo l’orecchio ai legni di una certa robusta porticina bassa sempre chiusa, della Cremonella sentivamo il rantoloso gorgoglio o, nella stagione secca, l'appena percettibile fruscio. Invisibile ed incolpevole continuava a dividere gli abitanti della strada, quelli di riva destra da quelli di riva sinistra, ma questo a nessuno pesava, tutti compravamo il pane e la pancetta “dalla Emma”, la verdura e le carrube dalla “Zore” e, rare volte, i biscotti “osvego” rotti dalla signora Odilia Baresi sposata Naponi che, proprio perché rotti, li vendeva a prezzo di favore a noi della contrada.
La demolizione del macello di porta Po nella foto di Faliva (1962)
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