"Lettere al mio corpo": la psicoterapeuta Emanuela Spotti racconta il viaggio intimo di Dana, tra la paura e la speranza di riscoprire l'amore per il proprio corpo
“Caro corpo, scusami. Scusa tanto, non volevo ridurti così, non volevo farti soffrire così. Non ti meriti un male così atroce, non ti meritavi di essere ridotto così. Povero, fragile, privo di vita, spento. Ti ho distrutto con le mie stesse mani, il primo capello fino alla punta dei piedi. Ti ho tartassato godendo del tuo dolore. Ma cosa ottenuto? Solo macerie, questo sei ora!...
‘Caro corpo’ è il testo, diviso in due parti, con cui ho deciso di aprire e chiudere questa intervista alla Psicoterapeuta Emanuela Spotti, autrice del libro ‘Lettere al mio corpo’ (Ronca Editore).
Due parti come due parentesi, per racchiudere un’intervista che mi sta particolarmente a cuore per l’argomento trattato.
La protagonista di questo libro si chiama Dana, che in arabo significa ‘la perla più preziosa e bella’, ed è la figura scelta dall’autrice per raccogliere più voci, accomunate da un’esperienza comune: quella del Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA).
Un libro che, attraverso le esperienze che lo attraversano, racconta di un tentativo di cercare di ristabilire il contatto con il proprio corpo, azzerato da una disaffezione con il proprio corpo causata dal rifiuto di un cambiamento naturale che causa sofferenza, paura e solitudine.
Una dissociazione tra quelle che sono le esperienze e i processi mentali e la propria consapevolezza corporea, che scatena un rigetto che influisce negativamente sulla salute psicofisica della persona.
Situazioni che maturano in modo silente e che sempre più spesso si identificano nei giovani adolescenti e che, a maggior ragione, necessitano di una diagnosi precoce, per iniziare un percorso di accompagnamento da parte di figure professionalmente preparate e dal sostegno incondizionato della propria famiglia. Detto così sembra facile e scontato, ma non lo è mai.
In oltre vent’anni di esperienza professionale, Emanuela Spotti ha avuto modo di occuparsi di molti pazienti afflitti da questo genere di patologie. Un percorso che scorre come un fiume, a cui ogni affluente porta un vissuto differente ed è sfociato in questo progetto in modo quasi inaspettato.
La forma della scrittura è legata al contesto terapeutico, ma l’impatto è emotivamente coinvolgente. ‘Lettere al mio corpo’, per come è strutturato, si potrebbe definire un ‘dialogo epistolare’ redatto in forma narrativa. Un viaggio intimo, che si snoda attraverso dialoghi, confronti e riflessioni che Dana elabora mettendole ‘nero su bianco’, per condividerle volutamente e apertamente.
La scrittura assume un valore taumaturgico, che accompagna la protagonista in un percorso di introspezione che la porterà a dare un nome ed un volto alla sua malattia, attraverso emozioni contrastanti, proprio grazie alla potenza e al valore delle parole, che ne daranno un significato ed un valore: “Dana, guidata dalla sua terapeuta, attraversa le diverse stagioni emotive: dalla disperazione più cupa al dolore lacerante, dal coraggio nascente alla fiducia ritrovata, fino all’amore che guarisce”.
L’obiettivo dell’autrice è di sensibilizzare i lettori rispetto ad un problema che, anche se appare lontano anni luce dalla propria quotidianità, in realtà, per le peculiarità distintive della malattia, rimane un pericolo latente che non fa distinzioni di genere, età o ceto. Si materializza con un’esplosione improvvisa, tanto silenziosa quanto devastante. Un violento spostamento d’aria che azzera i sensi e che lascia solo macerie, non risparmiando niente e nessuno, denudati delle proprie certezze.
Dopo questa lunga ma necessaria introduzione, è il momento di entrare nel vivo dell’intervista, attraverso le parole di introduzione dell’autrice. “LETTERE AL MIO CORPO è un racconto intenso sul percorso di guarigione di Dana dall’anoressia, narrato attraverso uno scambio di email con la sua terapeuta. Il viaggio psicoterapeutico la porta dalla disperazione alla fiducia, fino all’amore per sé stessa. La sua storia si intreccia con altre testimonianze di rinascita. La copertina simboleggia la fragilità e la resistenza: Dana su un’altalena dorata, avvolta da un’edera minacciosa, ma con una mano libera, segno della sua lotta e della speranza di vittoria sulla malattia”.
D: Innanzitutto ringrazio l’autrice Emanuela Spotti per la disponibilità. Inizierei con il parlare del suo percorso professionale e dell’esperienza che lo ha contraddistinto sino ad oggi.
R: “Per me è davvero un piacere condividere con lei questa mia prima intervista per l’opera ‘Lettere al mio corpo’. Oggi, come ho voluto mettere in evidenza nel libro, sono una professionista, ma soprattutto una persona con un vissuto, che posso permettermi di mettere a disposizione dei pazienti. Nello specifico, le mie esperienze professionali mi hanno portato a specializzarmi sui disturbi del comportamento alimentare, come anoressia, bulimia, binge eating disorder ed obesità”.
D: Nel prologo del libro, lei racconta quando è nata l’idea di dare vita a questo libro. Vorrei lo riassumesse per i lettori.
R: “Ufficialmente è nato nel 2023 durante il Convegno all’Ordine dei medici di Cremona fatto il 15 marzo per celebrare la Giornata Nazionale sui ‘disturbi del comportamento alimentare’, dove ho letto per la prima volta un elaborato sul corpo. Uscendo dalla stanza analitica e utilizzando lo scritto come materiale clinico, ne ho realizzato la potenza comunicativa. Mi sono sentita ‘voce’ di un urlo che non poteva più rimanere inascoltato”.
D: Questo libro è parte di un progetto che si completa con un cortometraggio, che è stato realizzato in parallelo insieme alla ‘performer’ Erica Biazzi, con cui aveva già collaborato ad un podcast che ha toccato gli stessi temi. Ci può spiegare di cosa si tratta?
R: “Informare e sensibilizzare è già cura. Da alcuni anni ho deciso di fare questo: dare informazione e arrivare al mondo dei giovani come prevenzione. Vado nelle scuole con progetti dedicati alla sensibilizzazione, con l’aiuto di una Nutrizionista, e con Erica abbiamo ideato un podcast dal titolo ‘Farfalle viola’ con un linguaggio giovane e fresco sui disturbi alimentari, che si può ascoltare su Spotify e sul mio profilo Instagram”.
D: Personalmente sono rimasto colpito dall’illustrazione scelta per la copertina del libro. Nella quarta di copertina ne spiega il significato, che è simbolico. Vorrei lo riassumesse, perché secondo me è una delle chiavi del libro.
R: “Le sono grata della sua domanda perché tengo in modo particolare all’immagine di copertina che è ricca di simboli. L’idea è stata pura ispirazione durante i mesi di scrittura. Innanzitutto dalla tinta lilla, che è il colore ufficiale del ‘Fiocchetto lilla’, simbolo della lotta ai disturbi alimentari. L’altalena richiama il dondolio della culla su cui Dana si ondeggia senza nessuna energia, in attesa di decidere che cosa fare di sé stessa e della sua vita. Sul suo volto, leggermente girato di tre quarti, si può scorgere lo sguardo fisso nel vuoto in sospesa attesa, come in una nuova gestazione di sé stessa, in un moto quasi conservativo. La giovane dà la schiena al mondo e alle sue richieste, alle relazioni dalle quali si sente giudicata. Il senso dell’anoressia vista come l’edera, perché come essa è invasiva e si arrampica in modo incontrollato, soffocando gli alberi che la ospitano, ovvero la vita stessa che la ospita. La mano sinistra della ragazza è avvolta dall’edera che nel vuoto arriva minacciosa per prenderne il sopravvento, proprio come l’anoressia. La mano destra di Dana è invece ben salda e libera per non permettere al disturbo alimentare di sopraffarla e rappresenta la via d’uscita”.
D: “Tu hai un ruolo importante Dana: dare speranza sia alla tua vita, sia alla tua storia e a tutte le ragazze che temono di non farcela”. Chi è e chi rappresenta Dana, la protagonista che, con le sue storie, si fa largo tra le pagine del libro?
R: “Dana è la storia di diverse pazienti e di chiunque lotti per vivere liberamente e non sopravvivere. Dana rappresenta tutti i resilienti che non si arrendono, che cadono ma si rialzano e chi riesce a trovare un’opportunità anche nel dolore”.
D: Questo libro pone le sue radici nell’esperienza personale di alcune sue pazienti, ma in realtà il terreno è anche quello condiviso dagli affetti della famiglia, che si ritrova a condividere il percorso di malattia e guarigione. A chi è rivolto?
R: “Il libro sicuramente è rivolto a chi vive la malattia: ai familiari, agli operatori stessi, come psicologi che si occupano della cura, ma anche agli insegnanti che possono cogliere i primi segnali di un disagio”.
D: La scrittura come cura, se così la possiamo definire, è un’idea che mi affascina e condivido. Che importanza assume per chi soffre di queste patologie?
R: “La parola scritta, in un contenitore bianco che è il foglio, ha una cornice ben definita. È come per le nutrizioniste che chiedono di compilare al paziente il diario alimentare della settimana. Così dentro un percorso di psicoterapia, scrivere una lettera al corpo è un atto terapeutico, dove il paziente non viene lasciato solo nella prima stesura. ‘Avvicinarsi al corpo’ tanto odiato e minaccioso non è facile, tant’è che inizialmente è un lavoro a quattro mani che scuote la persona”.
D: Nella prima presentazione alla ‘Libreria del Convegno’ a Cremona, ha parlato dell’urgenza comunicativa di dare voce a chi ha condiviso con lei un percorso intimo e personale.
R: “Per quanto mi riguarda è stato uno sforzo emotivo e psichico importante, ma il senso di responsabilità che sentivo mi ha aiutata a trovare una forma di scrittura rielaborata il più possibile vicina ad ogni lettore. Ho deciso di fare entrare sempre, tutelandone la privacy, le persone che di solito rimangono fuori dalla psicoterapia, soprattutto i genitori. Il messaggio è che tutto questo rappresenta un lavoro articolato in ascesa e complesso, tra il terapeuta e il paziente. Sicuramente non si beve un caffè, ma è un continuo lavoro di trattativa, in attesa -spero- di trovare uno spiraglio per poter creare un varco nella ‘muraglia del controllo’ che la mente anoressica crea”.
D: Lei ha scelto di ‘inserire’ molto di sé nel libro, condividendo anche la sua sensibilità ed esperienze personali. Cosa l’ha spinta ad esporsi in modo diretto al lettore?
R: “Esprimere una piccola parte del mio vissuto è stata una scelta ben ponderata. L’obiettivo è far vedere che ‘il terapeuta’ è prima di tutto ‘una persona’ e anche chi sembra in assoluto ‘perfetto’, in realtà è un essere umano che ha saputo con fatica trasmutare il proprio dolore e renderlo un’opportunità. Sapere che il tuo terapeuta empaticamente ti capisce, può essere d’aiuto in una terapia lunga e complessa”.
D: “Intendo il controllo che sposti sul tuo fisico. Metti costantemente il tuo corpo sotto una lente di ingrandimento. Lo fai tramite i rituali dell’attività fisica, il calcolo delle calorie o constatare in centimetri le forme del tuo corpo”. Come possiamo riassumere il concetto del Disturbo del Comportamento Alimentare?
R: “Il disturbo della nutrizione è la Patologia del Controllo. È lo sguardo mancato e, a discapito del corpo che sparisce, la persona che soffre di anoressia viene vista e purtroppo in alcuni casi -soprattutto tra adolescenti- ammirata per la forza che si ha a vivere senza nutrimento. La vera mancanza in queste ragazze è proprio dell’amore per sé stesse”.
D: Qual è stato il ‘fattore’ esterno che l’ha convinta a condividere il suo percorso emotivo e professionale, per arrivare al traguardo che poi si è prefissata?
R: “Sono stati i genitori e le ragazze stesse nella prima edizione della ‘settimana lilla’ nel 2024 che mi hanno chiesto di dare un contributo concreto per far conoscere la malattia. Mi sono arrivate email di alcune persone, non mie pazienti, che hanno raccontato la loro storia di sofferenza. Tutto ciò mi ha dato la carica per continuare a scrivere”.
D: L’ultimo pensiero, non certo per importanza, va ai genitori. Più in generale alle persone che si ritrovano a condividere questo percorso di malattia/guarigione e che non si rendono conto che per capire, prima di tutto, bisogna accettare. In quest’ottica, quanto è importante l’informazione come prevenzione?
R: “Come le ho detto, questo progetto si basa essenzialmente sul trovare qualsiasi forma per informare e sensibilizzare: dall’immagine di copertina, al cortometraggio, all’opera stessa. Scuotere, informare, provocare perché ancora oggi si pensa che sia solo una ‘questione di moda’, che basta chiudere la bocca per chi soffre di obesità, o al contrario che basta mangiare. Non è così. Serve intervenire il prima possibile, con un’équipe specializzata, affinché il disturbo non cronicizzi come purtroppo accade frequentemente. Il genitore all’inizio stenta a credere ad una diagnosi così grave; la paura, i sentimenti di colpa e l’impotenza possono prendere il sopravvento e procrastinare una vera presa in carico. Essere correttamente informati dà la possibilità di accedere più velocemente alla cura”.
Sfogliando il libro e ripercorrendo, attraverso le note e le sottolineature, il percorso che mi ha portato a questa intervista, mi colpisce ancora una volta la sensazione di come ogni parola ed ogni emozione, sia al posto giusto nel momento giusto, per accompagnare e sostenere il lettore, in una lettura spesso dolorosa e tagliente. L’importanza che assume il dialogo attraverso il gesto della scrittura, l’attenzione che necessita e la sensibilità che esprime nell’intento di compensare quell’urgenza di comunicazione di cui parla l’autrice.
Non posso che sottolineare ancora una volta l’importanza del messaggio esaltato dalle mille emozioni che ci offre Dana: l’accettazione e l’amore di sé stessi e di quel dono unico ed irripetibile che è la vita.
“... terribili macerie ammassate sei uno schifo ,così ti ho ridotto una merda. Scusa. Sei la mia casa, eppure ho avuto paura di te, quindi ti ho privato di tutto: del ciclo, della forza e della tua luce. Tu mi permettevi di fare tante cose, di avere la possibilità di realizzare i miei sogni, di vivere… e ora, con te distrutto, non posso fare nulla. Senza di te, sono povera anch’io. Ti ho spezzato e frantumato in mille pezzi, fino a ridurti uno scricciolo di ossa. Sei vuota, senza forma e senza forza, la tua pelle non brilla, le gambe sono fragili. SCUSAMI, è tutta colpa mia. Ti credevo sbagliato, invece eri sano. Avevi energia, ora non più. Ti ho abbandonato per seguire centinaia di corpi diversi, ma che non son o il mio. Il mio sei tu, ora però mi ritrovo solo macerie da dover ricostruire. Scusa per averti ucciso, non voglio farlo più, voglio riaverti più che mai. Scusami corpo, scusami per tutto questo odio. Grazie”. Dana.
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