21 febbraio 2024

”Esodo Giuliano-Dalmata e campi di raccolta profughi”, la conferenza a Crema

La sala Frà Agostino da Crema del Museo Civico della nostra città sabato 17 febbraio, ha accolto una conferenza di natura storica: ”Esodo Giuliano-Dalmata e campi di raccolta profughi”. Un’iniziativa resa possibile dal Touring Club Crema in collaborazione con gli “amici” de l’Araldo OdV, dell’Associazione Nazionale
Venezia Giulia e  Dalmazia e col patrocinio comunale. Mario Cassi, Presidente de l’Araldo, ha ricordato la figura di Tommaso Caizzi, esule Zaratino, illustre figura cremasca, gentiluomo, che sempre espresse, in occasione delle celebrazioni commemorative, profonda emozione e commozione nel narrare gli avvenimenti accaduti in quel dato periodo storico. Grazie al suo impegno di Uomo pubblico come consigliere comunale del vecchio MSI si è ottenuta la titolazione della vecchia Piazza Trieste in Trento e Trieste, della Piazza Istria e Dalmazia nonché delle Vie Zara e Nazario Sauro in città.  Anna Maria Messaggi, console del Touring Club di Crema, ha ringraziato sentitamente il pubblico accorso, ha sottolineato la stretta collaborazione con l’Araldo nel dare vita ad eventi culturali, ha ricordato gli eventi relativi alle atrocità commesse dai Titini nei confronti degli Istriani, dei Giuliani, dei Dalmati, e di tutte quelle persone innocenti ed inermi, che sono stati costretti ad emigrare e ha lasciare i propri affetti più cari. In secondo luogo, ha introdotto la relatrice Anna Maria Crasti, originaria di Orsera d’Istria, esule Istriana, Vice presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia del comitato di Milano. Anna Maria Crasti, ha iniziato la relazione spendendo parole in merito alle figure degli esuli, che, a seguito dell’occupazione dei partigiani comunisti slavi, hanno abbandonato tutto, hanno abbandonato le abitazioni, hanno lasciato i cari familiari, hanno lasciato le amicizie, il lavoro, e sono stati  posti nelle condizioni d’emigrare, in cerca di speranza, di fortuna, di lavoro e di dignità. Dopo l’8 settembre 1943, a seguito dell’occupazione tedesca, resa incondizionata dell’Italia, e conseguente perdita di Fiume, di Zara, delle proprie terre hanno visto cambiare radicalmente le loro vite. Rimangono nelle terre d’origine gli anziani e i soggetti più fragili. Proseguendo la Relatrice ha ricordato le diverse fasi dell’utilizzo delle foibe: la prima si verificò in Istria nel 1943, quando il crollo del regime fascista permise ai partigiani di occupare la penisola Istriana. La seconda fase, più lunga e sanguinosa, si svolse nel 1945, a compimento della guerra, ed ebbe il suo epicentro nei territori di Gorizia e Trieste, quando al collasso delle potenze dell’Asse, i partigiani comunisti uccisero “barbaramente” migliaia di fascisti, di militari, di cittadini italiani e di slavi collaborazionisti. I massacri vengono ricordati identificandoli con il nome da una formazione tipica del Carso, una specie di grotta naturale o artificiale, che sprofonda nel sottosuolo. In queste fosse, i partigiani gettarono i corpi di centinaia delle loro vittime. Ma la maggior parte delle morti avvennero nei campi di prigionia, a causa della fame, della malattia o della brutalità dei carcerieri. Il 25 aprile 1945, in Istria, sbarcarono i militari dell’esercito slavo, che nell’arco di una settimana presero il controllo del territorio, dando vita alla terza fase dell’infoibazione: l’orrore dell’essere buttato vivo nelle foibe.

Il 1 maggio 1945, Trieste è occupata dall’esercito di Tito: si contano migliaia di persone torturate, uccise, mandate nei campi di concentramento; si muore di fame, di sporcizia, si verificano azioni “terrificanti”. Fiume, Trieste, Gorizia e tutta l’Istria sono occupate dall’esercito slavo. Trieste viene liberata dall’occupazione Titina, ma non s’interviene a difesa dei Triestini. L’8 maggio 1945 Slavi e forze alleate “brindano” alla liberazione di Trieste. Quest’ultima è liberata dagli americani, perché hanno bisogno del suo  porto per giungere in Austria.

La strage sulla spiaggia di Vergarolla, avvenuta il 18 agosto 1946, a Pola, fu causata dall’esplosione del materiale bellico, che provocò la morte di un centinaio di persone, di cui solo 64 furono identificate. Un terzo delle vittime erano bambini. In  quel dato periodo storico, l’Istria era rivendicata dal partito comunista slavo di Tito, che l’aveva occupata fin dal maggio 1945. Pola dal canto suo, era amministrata dalle truppe britanniche, e rappresentava l’unica parte dell’Istria al di fuori del controllo slavo. La responsabilità dell’esplosione, la dinamica e il numero delle vittime divengono fonte di animati dibattiti. L’inchiesta delle autorità giudiziarie inglesi stabilì che “gli ordigni furono fatti esplodere da persona o persone ignote”. Gli slavi traggono beneficio dalla strage di Vergarolla e con quest’ultima  inizia l’esodo. Il 10 febbraio 1947 gli esuli non sono più considerati di nazionalità italiana; l’Italia cede alla Yugoslavia l’isola di Pelagosa, le isolette adiacenti, e in Istria rimarranno i Titini e le persone anziane. A seguito dell’emigrazione forzata dei contadini e dei pescatori, categorie esperte per mantenere vivo il tessuto produttivo, l’economia Yugoslava subì un forte rallentamento. L’esodo e il conseguente “sventagliamento” furono configurati come una tragedia nella tragedia, non si sa che fine hanno fatto i parenti, gli affetti più cari, non esistono punti di riferimento, si emigra in varie nazioni date le circostanze avverse venutasi a creare. Gli esuli chiedono comprensione e compassione, ma non ricevono nulla in tal senso. Lo stato italiano, nonostante la presenza di numerosi campi profughi, non sa come gestire e collocare l’ingente massa di persone in cerca di lavoro e di dignità.


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